Qui a Torino, ma penso anche altrove, capita che salgano a bordo dei mezzi pubblici Rom o altri immigrati muniti di fisarmonica, più raramente di altri strumenti e, previa modesta (o modestissima) esibizione musicale richiedano ai passeggeri più o meno vivificati dall'esibizione dare un contributo alla sopravvivenza dei performer.
A passare all'incasso sono in genere ragazzini simpaticamente sfrontati che per mezzo di spintarelle, tocchi e vociferazioni cercano di scuotere i presenti, in genere poco o per nulla proclivi a mettere mano al portamonete.
Le reazioni sono comunque legate al momento e all'abilità del musicante. Le corse tra le otto e trenta e le nove sono probabilmente le meno fruttuose. Tanta gente su autobus e tram, ma immusonita, distratta o immersa in conversazioni telefoniche.
In quanto al talento di chi si esibisce, mi è capitato di vedere passeggeri che chiedevano bis (si trattava di un due peruviani muniti di chitarra e charango) come di mettere mano rapidamente al portamonete per far cessare al più presto un abominevole stupro musicale condotto ai danni di qualche famosa canzone popolare.
Ogni volta che ne ho la possibilità utilizzo i mezzi pubblici come sala di lettura. Del giornale ma anche di libri. Se sto leggendo reagisco con malumore alla comparsa dei musicanti. Oggettivamente, a meno non si tratti di veri virtuosi, li considero dei semplici rompiscatole.
Non mi considero buono né voglio apparirlo. Sono soltanto un essere umano.
Ma mi capita spesso di scoprire che c'è qualcosa di peggio del mio malumore e del mio sbuffare. Ed è la gente che fa osservazioni ad alta voce. «Stanno meglio di noi, quei lì», «Eh, sì. Li aiuta il comune. Mica devono lavorare».
Tecnicamente credo si tratti di cattiva coscienza.
Uno ha il dubbio di dover fare qualcosa per uno sconosciuto, ma non ha voglia di farlo. Per tirchieria pura e semplice, perché si sente disturbato e invaso, perché i poveri, come insegna l'immortale Superciuk, sono brutti, sgradevoli e disordinati. Il conflitto psicologico che deriva dalla coscienza della necessità di un gesto etico e l'intolleranza genera il bisogno di una pseudorealtà. I poveri «aiutati dal comune», si suppone anche generosamente («gli danno le case gratis, da mangiare gratis») salirebbero quindi sugli autobus per semplice perversità. Per bestiale avidità o nel malcelato tentativo di distrarre gli astanti affinché abili borseggiatori possano agire indisturbati. O per poter finalmente obbligare innocenti bimbi al lavoro minorile. O, magari, per il gusto maligno di storpiare immortali capolavori della musica come «La cumparsita» o «Quanne spunta la luna a'marechiare».
Quindi perché pagarli? Per fare da fiancheggiatori a tanta malvagità?
Vero.
Infatti stamattina, benché stessi leggendo con vero, carnale e incontenibile piacere della rabbia di Berlusconi verso i suoi ex-servi sciocchi ora impauriti e ribelli, nell'udire ancora una volta «tanto quei lì li aiuta il comune» ho piegato il giornale e ho dato al solito ragazzino una moneta da un euro.
Comunque sia preferisco la malvagità alla cattiva coscienza. La cattiva coscienza è sintomo di stupidità. Meglio un maligno che uno stupido, come insegna Carlo Maria Cipolla.
O, se siete credenti, è stato perché mi è venuto in mente che Gesù (sono agnostico, ma sono andato a catechismo, da piccolo) non ha mai detto che prima dell'elemosina bisogna chiedere copia del modello unico.
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