I cataloghi editoriali hanno oltre all'organizzazione «orizzontale» ovvero per autore e titolo e «verticale», ossia per fascia di prezzo, un terzo tipo di organizzazione, quello per collana.
La collana ha nei cataloghi di alcuni editori (Einaudi, Adelphi, Bollati Boringhieri) un evidente rilievo. In altri è quasi inapparente o del tutto assente.
Qual è la funzione di collana e come nasce?
A voler essere polemici, a questo punto bisognerebbe chiedersi: «Come nasceva una collana?».
Infatti una collana in senso proprio comporta la designazione di un curatore, un progetto editoriale a lunga scadenza e un obiettivo artistico o civile.
Di nuove collane in libreria ne escono, anche se non più numerose e feconde come un tempo, ma più che di collane si tratta di gruppi di titoli ad affinità attentamente controllata, accomunati da un logo e con un ben preciso target. Vale la pena di citarne due di nascita relativamente recente: Mondadori Strade Blu, nata sulla scia dal successo di Einaudi Stile Libero. Tutte e due collane che puntano esattamente allo stesso pubblico: un pubblico che, scimmiottando gli uffici marketing potrei definire così: «giovane metropolitano con studi medio-alti, molto attento ai fenomeni culturali e di costume, desideroso di apparire anticonformista e appagato dall'anticonformismo (più apparente che reale) esibito dal logo e che gli permette di non rinunciare al proprio approccio gregario alla lettura».
È proprio nella metamorfosi e nella tendenziale scomparsa del concetto di «collana» che si constata il definitivo ingresso del concetto di target nel mondo editoriale.
Che differenza c'è tra una collana e un logo?
Semplice. Una collana nasce da una convinzione, un progetto o un sogno e potenzialmente ha come pubblico l'intero bacino dei lettori.
Un logo punta invece dichiaratamente a una frazione ben definita di esso e nasce da un progetto di marketing e da un calcolo commerciale.
Nessun anatema in proposito, sappiamo bene in che mondo viviamo.
Questo non significa ovviamente che una collana in senso proprio non debba preoccuparsi dell'esito commerciale dei propri titoli. Il risultato economico - anche se oggi meno di un tempo - è l'unico termometro affidabile dell'andamento del progetto e del gradimento dei lettori.
Oggi meno di un tempo, ho detto, perché lo scalino della distribuzione nazionale è diventato ultimamente molto più alto. La diffusione delle grandi librerie di catena a scapito della rete diffusa di librerie indipendenti sparse sul territorio ha come immediato riflesso sul piccolo e medio editore la necessità di concedere condizioni di sconto molte elevate per poter accedere alle librerie di catena. Trattandosi di editori di proposta è però evidente che non avranno praticamente mai una produzione pensata per un pubblico molto ampio. Questo genere di editore non lavora sul mass-market. Si ritroverà quindi molto presto praticamente escluso dal circuito di distribuzione maggiore pur essendosi dissanguato a concedere sconti molto superiori a quelli richiesti dalla rete delle librerie indipendenti.
In sostanza l'affermarsi del concetto di logo, supportato dalla potenza economico-distributiva dei grandi gruppi editoriali, determina - e non si limita a confermare - la nascita di gruppi definitivamente separati di lettori, in possesso di un linguaggio e di riferimenti comuni che, mentre riconfermano al gruppo l'immagine autopercepita, allontanano da esso gli altri lettori.
L'affermazione della collana-logo non è un problema poi tanto piccolo per un tipo di impresa - l'impresa editoriale - nata con lo scopo di fornire strumenti unitari di analisi della realtà all'insieme dei cittadini, oltre che una lingua ricca e articolata. Ancor più è un problema per l'autore non in sintonia con questo genere di percezione della narrazione. Quando Sandrone Dazieri della Mondadori afferma: «Non è vero che gli editori non leggono i manoscritti. Li leggono. E se un autore vale, viene pubblicato», trascura di sottolineare che tale scelta non viene compiuta a partire da un giudizio di reale valore del manoscritto quanto - nella migliore delle ipotesi - da una cernita alla ricerca di testi adatti a incarnare la filosofia del marketing aziendale.
Ma non si tratta, come potrebbe sembrare della «leggerezza» teorizzata da Calvino, ma di calcolata inoffensività.
Voi ne siete capaci?
5 commenti:
Bellissimo articolo. Proprio 10 minuti fa ho ricevuto un rifiuto editoriale da uno degli editori che nomini, per cui è meglio che non aggiunga altro perché non voglio suonare troppo negativo.
Comunque su Internet i libri non li seleziona, edita e distribuisce nessuno... e la cosa incredibile è che questa sta diventando una caratteristica di pregio.
Simone
Nella collana stile libero (e nelle sue varie ramificazioni) è pubblicato Elmore Leonard, che da solo basta, ma ci sono anche Crumley, Bunker, e autori come Behm e Higgins che hanno scritto capolavori (del libro di Behm si può leggere la recensione sul sito di LN). Autori già noti, questo è vero.
Di recente un buon libro pubblicato da Strade Blu è quello di Junot Diaz, mentre per Stile Libero è uscita una raccolta di racconti di Lange (due autori "nuovi"). Altro esempio recente: Andrea Cisi ha pubblicato "Cronache dalla Ditta" per Strade Blu. Il tono da "parliamo di problemi, ma non sul serio", per me non c'è, sarà perché Cisi in fabbrica ci lavora (o ci lavorava), sarà che 950 euro al mese rimangono sempre 950 euro al mese, anche se usi un registro comico...
I libri di cui parli ci sono sicuramente, non leggendoli, per me non caratterizzano né loghi, né collane: per te che con i libri ci lavori la visione è più ampia; le eccezioni, però, ci sono, e non sono neppure poche.
Ringrazio Enzo per l'opportuna precisazione. Indubbiamente nelle due collane citate sono usciti ottimi libri. Si possono citare, tra gli altri, testi di David Forster Wallace, John Fante, Michael Faber, Grace Paley, Will Eisner, Jonathan Carroll, David Sedaris e Chuck Palahniuk. Ma il mio discorso era più «laterale» e riguardava non tanto i titoli e gli autori in sé quanto la «ragione sociale» delle due collane. Naturalmente immaginare una collana dove appaiano soltanto opere ovvie e mediocri non è realistico. D'altro canto è anche vero che gli autori sopraccitati possono trovare posto senza difficoltà in ogni genere di collana e presso qualsiasi editore. L'aspetto che miro a sottolineare non è la qualità in sé dei titoli pubblicati (anche se, a fronte di molti ottimi titoli ve ne sono altrettanti - se non di più - il cui valore è quantomeno dubbio) ma il progetto che li unisce. I libri sono un tipo di «merce» o di «prodotto» per il quale è molto difficile prestabilire uno standard qualitativo medio ed è necessariamente più vago che per un modello di jeans eleggere un target ben definito. Questo rende possibile trovare nello stesso «pool» di titoli capolavori e solenni porcherie. Ma il disegno che sta alla base del progetto è, per me, molto chiaro. Le due collane citate (ma anche la 24/7 di Rizzoli o l'intera produzione di Castelvecchi) presuppongono un «modello» di lettore che formano e definiscono ulteriormente a ogni nuova uscita.
Ma questo non esclude, ovviamente, che i personali percorsi di lettura possano condurre a incontrare le autori pubblicati nelle due collane in questione.
Leggendo nel post la descrizione del lettore target di Einaudi Stile Libero e Mondadori Strade Blu mi è venuto freddo, mi sono vergognata come una ladra perché mi capita molto sovente di leggere, e quindi di aver comprato, testi apparsi in queste collane. Che considero tutto sommato una garanzia (le collane) quando prendo in considerazione l'acquisto. In effetti riconosco la verità delle affermazioni di Max a proposito del déjà-vu, della rassicurazione a proposito di un certo distacco dalla materia trattata... ma non sapevo di essere così gregaria, mannaggia! Quindi ringrazio Enzo che mi ha un po' rimesso in sesto l'autostima.
Sostanzialmente penso che Max abbia ragionissima sul fatto che l'andamento economico è l'unico criterio di selezione dei testi all'interno di un logo. Ma forse certe volte ci acchiappano anche (almeno con me).
I percorsi dei forti lettori sono vivaci e imprevedibili. Per questo non è facile determinare target editoriali. L'uscita di un titolo delle due collane in questione è, qualunque sia il giudizio che se ne dà, comunque un piccolo «evento» che suscita curiosità. Come il barman skinhead della pubblicità di Bacardi, ci fa ballare un po' tutti. Anche perché buona parte di quel poco di nuovo che è uscito in Italia in questi anni è uscito con la cornice gialla delle due collane.
Ci tengo però a sottolineare che il senso del mio testo non era: «Non comprate i libri di quelle collane perché sono tutte porcherie» ma «Per quale motivo esistono collane che propongono insieme Behm e Aldo Nove, titoli modaioli e trascurabili e ottimi romanzi? Che cosa li lega? Qual è la coerenza all'interno di questa apparente incoerenza?»
Il mio testo è un tentativo di risposta. Comunque, per essere meno «serio» posso addurre altri motivi.
CS è convenzionata con la Scuola Holden e a volte ci è accaduto di ospitare un certo numero di apprendisti scrittori-sceneggiatori della Scuola. Tra gli snobbissimi allievi della Holden Einaudi Stile Libero va ovviamente fortissimo.
In secondo luogo, personalmente ho preso quasi solo fregature dalla collana Stile Libero. Ma non leggo noir, quindi in un certo senso mi sta bene...
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