La distinzione è soltanto nella lunghezza? E qual è la differenza tra romanzo breve e racconto lungo? Esiste una differenza o è una questione di lana caprina?
Già che ci siamo con le domande, ricordo anche la domanda principe di questa serie di interventi: serve a qualcosa - ai fini della pubblicazione retribuita, s'intende - scrivere racconti e vincere premi dedicati al racconto?
Ancora una domanda, l'ultima - giuro: basterà un solo post per affrontare degnamente il tema?
Comincio a rispondere a quest'ultima.
NO.
È molto probabile ce ne vogliano almeno due se non tre.
Parlando di pubblicazione retribuita, comunque, riprendo volentieri un articolo di Sergio Sozi apparso su libmagazine che affronta il (doloroso) tema del pagamento degli autori, sia di narrativa che anche, semplicemente, di articoli per testate cartacee o on line.
Il quadro normativo presentato da Sozi si presenta tanto sconfortante da rendere ipso facto patetico parlare di pagamento. Aggiungo che, comunque, se non pochi autori faticano a ricevere il proprio compenso il problema è tutt'altro che circoscritto a loro. Diverse altre figure professionali - i traduttori, per esempio - hanno quotidianamente grosse difficoltà a riscuotere il dovuto dagli editori e i ritardi di pagamento agli studi editoriali "esternalizzati" sono all'ordine del giorno.
Insomma, se non si diventa rapidamente grossi nomi la prospettiva di vivere di scrittura è quantomeno molto labile. Bisogna mettere in conto, insomma, di continuare a essere qualcosa-e-scrittore. Oppure puntare a sposare uno dei famosi e proverbiali figli di Berlusconi.
Ma torniamo ai racconti.
Siamo pratici: in Italia esiste una domanda di racconti molto inferiore all'offerta.
Pochissime le testate che ne pubblicano e comunque marginali o dedicate a un pubblico di nicchia. Per quanto riguarda l'editoria libraria pochi gli editori che lavorano sul racconto. Tra questi Minimum Fax, che, in ideale omaggio al lavoro di Raymond Carver, dà uno spazio definito e ampio alla letteratura breve, ricavandone peraltro risultati commerciali tutt'altro che disprezzabili.
Al di fuori di (poche) isole felici il racconto - e peggio ancora il racconto lungo - è una forma narrativa relegata (in Italia) a una vita marginale e stentata. Gli editori lo considerano il parente povero del romanzo, una forma narrativa adatta ai principianti che, inevitabilmente, dovrà sfociare necessariamente nel romanzo pena l'oblio definitivo dell'autore. Tipica la domanda: «Belli questi racconti! A quando un romanzo?», come se l'uno fosse la premessa necessaria all'altro.
Non è così.
Credo sia abituale per chi scrive cimentarsi in entrambe le forme narrative, con esiti che tuttavia possono anche essere molto diversi. Personalmente ho scritto racconti di duemila battute come ho lavorato - e sto lavorando - a romanzi che superano il milione di caratteri. E sono ben conscio che le norme in base alle quali ho scritto gli uni e l'altro sono ben diverse. Pensare che il racconto sia una premessa al romanzo è come pensare che il geranio sia una premessa al faggio o alla quercia. Si tratta, semplicemente, di organismi differenti con una lunghezza di vita diversa, un diverso metabolismo e un diverso habitat.
In proposito ognuno ha propri pareri e interpretazioni.
Per quanto mi riguarda credo che la lunghezza del testo sia una soltanto una delle caratteristiche di un testo. Le altre - nessuna delle quali prescrittiva - riguardano le unità aristoteliche di luogo, tempo e azione, alle quali aggiungerei almeno un elemento - forse più tipico dei testi moderni - e che ritengo essenziale: il punto di vista. La pluralità dei punti di vista credo appartenga più nettamente al romanzo, non perchè sia impossibile scrivere un racconto breve nel quale si alternino punti di vista diversi (la portinaia e l'inquilino, l'insegnante e l'alunno, il poliziotto e il criminale o per citare il classico di Akutagawa: la vittima di un omicidio, sua moglie e un brigante) ma perché soltanto il movimento nel tempo e un'articolata serie di eventi sono in grado di valorizzare pienamente la differenza di visione nata dalle diverse storie personali dei personaggi.
Julio Cortazar definiva il racconto «una freccia», unendo in una sola metafora il senso della sua brevità e l'efficacia che può - e deve avere - nel penetrare e colpire profondamente il lettore.
Il racconto, da questo punto di vista, può essere descritto come un «viaggio in un istante», ovvero costituire una raffinata e perfetta raffigurazione di un mondo al momento « x », narrato da una voce prevalente e contrassegnato da un particolare evento. Pur senza averne troppo titolo faccio riferimento a un grandissimo autore del fantastico del Novecento: H.P. Lovecraft. Si tratta di un autore al quale si sono dedicati e si dedicano ponderosi e affascinanti studi e che possedeva in forma sublime il dono di scrivere racconti, ovvero di condensare in un numero limitato di pagine un gran numero di suggestioni.
H.P.L. partiva da un singolo evento, si basava sul solo punto di vista del suo protagonista e riusciva a evocare lontani e sconosciuti passati e remoti e minacciosi futuri ma soprattutto a trasfigurare la realtà sensibile suggerendo l'esistenza, accanto a essa, di realtà ulteriori inaccessibili ai limitati strumenti di comprensione umani. I suoi racconti sono viaggi a senso unico dal quotidiano al trascendente, nei quali il tema fondamentale è, nientedimeno, che l'ontologia del reale. Qualcuno può ragionevolmente affermare che H.P.Lovecraft - ma anche Edgar Allan Poe, Raymond Carver, Jorge Luis Borges, Julio Cortazar, P.K. Dick, J.G. Ballard - siano scrittori immaturi o che la parte significativa della loro produzione prescinda dal racconto?
Immaturo, semmai, è il punto di vista dell'editoria italiana sul racconto.
Già.
Ma siamo italiani.
Scriviamo in italiano.
Siamo letti (se va bene) da italiani.
E i racconti in Italia «non vanno».
Può sembrare paradossale ma scrivere racconti in Italia è un atto profondamente zen, privo di scopi che non siano il piacere di farlo.
Ma con i racconti non ho finito, come avevo annunciato.
Ci sono altre cose che restano da discutere.
Esiste una distinzione tra racconto lungo e romanzo breve?
Tempo fa ho mandato a Vittorio Catani un mio testo di una cinquantina di pagine, 150.000 caratteri: «Ti mando questo racconto lungo...». La sua risposta cominciava con la frase: «Riguardo il tuo romanzo breve...».
Diverse sensibilità o semplice equivoco?
E i racconti legati in un ciclo (Vermillion Sands, di J.G. Ballard, tanto per citare il primo che mi viene in mente senza dovermi alzare a guardare in blioteca, o Mille anni di piacere di Nakagami Kenji) in quale categoria vanno inseriti?
E i trii di Consolata Lanza, tre racconti lunghi uniti da un personaggio o da un luogo ma per il resto separati e autosufficienti?
Ci ritorneremo presto.
12 commenti:
Trovo piuttosto contraddittorio il fatto che in Italia il racconto "non vada", quando leggere pare richiedere troppo tempo all'italiano medio, ed una letteratura "in pezzi brevi" potrebbe essere più adatta ad una società tanto "veloce" a consumo tipo "fast food". Il vero fast food sarebbero ovviamente le barzellette su Totti, probabilmente, ma comunque trovo la cosa contradditoria.
Essendo il racconto (breve, spesso brevissimo) la mia forma preferita di espressione, apprezzo in particolare i riferimenti all'ottimo lavoro di Consolata Lanza e i classici tra cui H.P.L., ma sono convinta di aver letto ottimi esempi tra le pagine di Fata Morgana.
Solo un commentino minuscolo sulla faccenda della retribuzione: forse sono un po' antiquata, ma da che mondo è mondo la maggior parte degli artisti sono destinati a fare la fame come tali, indipendentemente dal loro talento. E uno scrittore è senz'altro un artista.
Il racconto «non va» forse per tradizione scolastica o, più probabilmente, per la mancanza di quel «lettore medio» che altrove costituisce l'ossatura della lettura. Non il lettore da 12 libri e più all'anno - il forte lettore - ma il lettore comunque curioso e disponibile. I primi a non credere al racconto, comunque, sono gli editori. Tanto è vero che le antologie, anche di autori molto noti, escono con tirature dimezzate rispetto ai romanzi.
È molto vero che il racconto parrebbe l'ideale di lettura veloce per tempi stretti ma di fatto non è così o almeno nessuno ci prova.
Gli editori reagiscono al problema della lettura veloce stampando «romanzi» di 80-100.000 caratteri con margini generosi e interlinee abissali per tirare un racconto lungo fino alle 150 pagine in rilegato a 16 euro.
La retribuzione, infine.
Credo che un paese civile (quindi non so se l'Italia...) dovrebbe porsi seriamente il problema della retribuzione delle cosiddette «opere dìingegno», romanticismi a parte. Giornalisti e scrittori troppo facilmente ricattabili sono un pericolo per la civiltà e la democrazia.
Detto in termini spicci, io classifico la narrativa in sole tre categorie, caratterizzate non (sol)tanto dalla lunghezza quanto dalla portata dello sguardo, dall'ampiezza del campo visivo, dall'evoluzione dei personaggi:
- racconto, che può essere breve o lungo qualche decina di pagine, ma è pur sempre una freccia: dice l'indispensabile, suggerisce l'importante, tralascia il superfluo. Di solito il racconto "vede" il mondo attraverso un unico paio d'occhi (nella narrativa di FS gli occhi possono essere in numero diverso, ma pur sempre proprietà di un solo essere pensante).
- Novella, che ha un campo visivo maggiore, un percorso più frastagliato e dedica maggior attenzione alla psicologia dei personaggi di contorno, ma di solito è "vissuta" da un solo protagonista ed è organizzata da almeno un elemento della trilogia aristotelica: tempo, luogo o azione.
- Romanzo, caratterizzato da pluralità di punti di vista, tempi, luoghi ecc.
Non vedo la necessità di definire un romanzo "breve" o "lungo": ci sono ottimi romanzi che non superano le duecento pagine e altri, altrettanto buoni, che hanno bisogno di superare le cinquecento. Il cosiddetto romanzo "breve" è spesso un racconto ipertrofico, con un intreccio e una cadenza troppo esili per diventare romanzo. Insomma, il romanzo breve è un bidone editoriale.
Sono un po' allergica alle classificazioni, perché proprio per quello che mi piace di più non so mai trovare il posto giusto... quindi grazie a Silvia che ha semplificato un po'.
Max: anche se è vero che lo Stato dovrebbe salvaguardare l'interesse comune, non mi pare che il nostro in particolare abbia mai fatto molto, se non partecipare ai ricatti.
Bisognerebbe partire da un po' più indietro e chiedersi perché la classe insegnante è tra le meno pagate e più maltrattate, le persone dedicate ad aprire gli occhi dei nostri figli/nipoti alla cultura in generale, le persone che dovrebbero essere "lettori forti" e fare in modo che le nuove generazioni lo diventino, per elezione e non per dovere...
Ciò che è bello di Silvia è la capacità di dare forma al caos.
Io invece tendo a confondere il particolare con il generale e a innamorarmi degli aspetti minori, delle eccezioni, degli ibridi.
Dato per assodato che la tua (di Silvia) sistematica dell'opera letteraria mi convince, mi chiedo - per puro amore della discussione - ma il romanzo procede per accumulo (di personaggi, luoghi, vicende) tenuti uniti da una "vettore", ovvero da una vicenda principale? È un certo grado (controllato) di ridondanza a distinguere un romanzo da un racconto? Siccome sono fatto come sono fatto, prendo un esempio - anzi due - al limite. «Se una notte d'inverno un viaggiatore» e «Le città invisibili» di Italo Calvino. Una collezione di incipit che suggeriscono l'esistenza di una pluralità di romanzi non scritti nel primo caso, una lunga premessa a un fantasy inesistente nel secondo. In questi casi è impossibile categorizzare, direi.
Eppure si tratta di romanzi, perché la «materia oscura» della quale sono fatti - il non scritto - danno loro un elevatissimo «peso».
E i super-romanzi? Le saghe fantasy, ma anche i cicli di sf nei quali esiste uno sfondo comune. Basterà citare il ciclo della Strumentalità di Cordwainer Smith?
Ecco, mi piacerebbe continuare così, collezionando eccezioni alla regola ferrea racconto-novella-romanzo.
una cosa che non capisco sul pagamento a carattere o cartella come popone l'autore del testo da te citato (non ho trovato come rompere le scatole a lui, quindi le rompo a te, perdona la mia ignoranza, ma sono qui anche per imparare): ma questo pagamento è slegato dalle vendite? cioè, il pagamento è fisso indipendentemente dalle copie vendute?
Credo che Sozi si riferisca in modo particolare alle forme di collaborazione continuativa con giornali o altri periodici, sia su carta che on line.
Per quanto riguarda i libri - di narrativa o di saggistica - propone una forma di contratto «minimo» o di base grazie nel quale all'autore viene comunque garantito un tot in rapporto al suo impegno.
Tutto ciò non è attualmente previsto in Italia, dove esistono contratti di edizione legati alla semplice trattativa privata tra autore e editore. Inutile dire che un autore sconosciuto non ha sostanzialmente potere di trattativa...
La proposta di Sozi, al di là della sua attuabilità, mi sembra importante perché definisce un principio civile minimo. Scrivere è un lavoro, non un hobby. Riconoscerlo sarebbe utile anche agli stessi editori, dal momento che giocare al ribasso sui pagamenti significa (anche) giocare al ribasso sulla qualità. E alla lunga il risultato si vede.
Ommamma.
Frequento anche il sito della "Parolata", e ogni tanto ci scrivo pure. Anzi. forse più di ogni tanto, visto che il generoso e temerario curatore ha persino varato una saltuaria rubrica chiamata "il fabbri-citante". Oltre ad un paio di round robin story, ci si trova anche altre cose, e ultimamente il citato curatore si sta interessando molto del concetto - che sembra essere molto a-la-page da qualche parte - di "iper-romanzo". Il concetto, che non conoscevo, si basa sul calco (e sulla filiazione, direi) dell'ipertesto. Curiosamente, sembra proprio che il termine sia stato introdotto per la prima volta da Calvino, nelle sue Lezioni Americane. E, obviously, soprattutto "se una notte d'inverno un viaggiatore" è citato spesso come esempio di iperromanzo. Un altro, molto citato, è "La Svastica sul Sole (The man in the high castle", del grande Philip K.Dick). Insomma, volendo, abbiamo di che discutere per una decina si almeno una decina di siti e blog. Se volete, organizzo una joint-venture...
Errata corrige:
Invece di:
"Insomma, volendo, abbiamo di che discutere per una decina si almeno una decina di siti e blog."
Si legga:
"Insomma, volendo, abbiamo di che discutere per una decina di anni su almeno una decina di siti e blog."
Ci sono anche altri errori di battitura, di sintassi e di sbaglio, ma questa frase non si capiva proprio....
Hai scritto:
«Frequento anche il sito della "Parolata", e ogni tanto ci scrivo pure».
Ma sei impressionante.
Sei un vero one-man-band: versatile, virtuoso e trasformista. Un Fregoli numerico e alfanumerico.
Non sto scherzando.
Sono passato un po' di corsa sul sito della Parolata e mi è parso decisamente interessante. Effettivamente sarebbe interessante continuare le nostre riflessioni spostandoci da un luogo web all'altro. Potendo disporre del tempo necessario...
Ti segnalo comunque una recente discussione aperta sul blolg ALIA Evolution (l'indirizzo è sulla colonna a DX) a proposito degli strumenti e dei momenti della scrittura. Mi viene in mente, chissà perché, un matto che sosteneva di avere scritto il suo primo racconto con una Olivetti lettera 82.
Se comunque ti ricordi di segnalarmi l'uscita dei tuoi «Fabbri-citante» te ne sarò grato.
Ringraziando caramente Max Citi per la citazione del mio articolo su LibMagazine, vorrei invitare chiunque volesse saperne di piu' a proposito della mia proposta di legge sui pagamenti agli autori, ad andare sul blog ''Letteratitudine'', dove, nel post ''La camera accanto 3'' (scorrere i commenti del giorno 17 APRILE 2008) e' presente la mia proposta di legge con tariffario nazionale - vi trovate l'articolo di Libmagazine piu' relative integrazioni e specificazioni, che per ora escludono il settore Internet, essendo impossibile per un editore trarre profitto da pubblicazioni in rete se non tramite sponsorizzazioni.
Grazie a tutti:
se lo condividerete, farete del bene a voi stessi (Perche' l'imprenditoria e' una cosa seria e va fatta coi soldi in tasca, non facendo i soldi con i lavoratori per poi pagarli a cottimo).
Cordialmente
Sergio Sozi
P.S.
Spero che il sig. Citi non se l'abbia a male per la mia citazione di ''link utile''. In ogni caso, mi scuso anticipatamente con lui.
Caro «Anonimo» Sergio.
Grazie per le info supplementari.
In quanto all'essere definito un «link utile», nulla può farmi più piacere. Per i blogowner il rischio è sempre quello di essere soltanto altro rumore bianco.
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