11.10.18

Calibano: Lords of the Bugs


Ratti e gatti sono due specie onnipresenti sulla faccia della Terra, infettiva l’una, fracassona l’altra.
Ciò che molti non sanno é che topacci e micioni, non più animali di me o voi, intrattengono rapporti praticamente quotidiani con le civiltà extra-terrestri che tutti, E. per primo, sognano di conoscere. Esistono alieni, incuranti della nostra civiltà che giustamente ritengono destinata ad una rapida scomparsa, che mandano le loro navi-osservatorio unicamente per incontrare i ratti o per partecipare a quegli strani riti notturni nei quali molti gatti si riuniscono in cerchio in un cortile litigando a gran voce.
Se vi siete mai chiesti dove va il vostro micio di notte o perché mai gli UFO non si fermino mai a parlare con voi dopo avervi abbagliato su sperdute stradine di campagna o perché – infine – le pantegane sopravvivano e prosperino nonostante le imprese di derattizzazione, ora ne conoscete il motivo.
Ma se non ci parlano mai! Se non ci fanno capire che sono intelligenti!
Eh no, onestamente non si può affermare che almeno i ratti non facciano il possibile per comunicare con noi. Ben consci che non sopportiamo la loro vista hanno selezionato una razza di insetti che facciano loro da messaggeri: le blatte. Il guaio è che le povere blatte in genere non riescono neppure ad iniziare il loro discorso di pace, amore e bellezza prima di essere spiaccicate o avvelenate.
I gatti sono più saggi e meno idealisti. Non perdono tempo a tentare di comunicare: vivono nelle nostre case per spiarci, ci chiamano con nomignoli affettuosi come Fofo, Birillo, Testadisega, Puzzone, Trippa, Topomorto ecc., ci concedono di nutrirli e ci osservano con sufficienza mentre ci affanniamo a mettere insieme il pranzo con la cena più qualche shopping, con uno sguardo che solo individui molto ottusi non definirebbero cinicamente divertito.
Durante la spiegazione E. ha terminato la sua self-orgia. Con lo sguardo affranto dell’uomo appagato, infila Samantha, Luana, Georgina et al. nella tasca della portiera, e si dà alla contemplazione del tramonto di periferia, inquadrato tra un muro di cemento screpolato ed uno scheletro di lavatrice arrugginito.

E. contempla per un po’, triste come tutti coloro che hanno conosciuto i piaceri della carne, poi si concentra su un pensiero molesto formato da due sottopensieri altrettanto fastidiosi.
Il primo gli ricorda che mamma tra 17 minuti e qualche secondo comincerà a telefonare a tutti gli ospedali della città, forse nell’inconscia speranza che le notifichino il coma irreversibile di E..
Il secondo concerne la presenza nello spiazzo di almeno duecento ratti disposti in file ordinate, i musetti aguzzi rivolti verso il cielo e le code tenute diritte a terra come bastoncini da shangai.
E., abbandona la dolce risacca del sesso e, finalmente conscio della sua inquietudine, osserva il fenomeno per qualche secondo, scuote la testa, accende il motore, lo spegne, torna a guardare, mette addirittura la testa fuori dal finestrino, tenta di fischiettare disinvolto ma non ci riesce, appoggia la mano sulla maniglia per uscire dall’auto, esita ed infine non esce.
Mentre Edoardo si agita nel modo caratteristico dell’homo sapiens sapiens stupefatto, i ratti, seduti sulle zampe posteriori e levate le anteriori al cielo, digrignano ritmicamente gli incisivi e squittiscono all’unisono in una passabile imitazione di musica salsa.
Al sicuro nel suo cubicolo bordò il protagonista del romanzo pensa distrattamente che mamma dev’essere già in linea con l’ospedale “Santissimi Martiri Derelitto e Periscopio” dove la sua voce è ormai nota come quella di un’annunciatrice, e si chiede cosa mai le racconterà nel caso di un ipotetico ritorno.
Contemporaneamente prova la curiosa sensazione che anche i suoi denti tentino di unirsi al coro incisivale dei ratti e ricorda tutti i film di serie B visti in compagnia di Mirella, la lillipuziana cugina che talvolta accettava di uscire con lui.
I film che ama lei sono quelli dove “La Natura violentata si ribella” e ratti delle dimensioni di un furgone, formiche grosse come tandem, gabbiani, api, cavallette, colossali mantidi religiose, dinosauri appena scongelati, scarafaggi piromani e cozze tossiche fanno scempio dell’umanità, preferibilmente americana.
Mirella ne esce sempre tonificata, allegra come una bambina il giorno che la maestra è malata.
Già che di evocare incubi si tratta, E. ricorda con un brivido anche zombi, lupi- mannari, hooligans, vampiri con fauci da squali e i compagni di scuola che lo chiamavano Arturo Sempreduro davanti alle ragazze scambiandosi ammiccamenti e risolini sardonici.
In quelle occasioni era come se un’abbagliante, fortissima luce lo illuminasse obbligandolo a sbattere le ciglia ed a fare le smorfie, con grande divertimento dei presenti.
Se adesso E. sbatte le ciglia e fa le smorfie non si tratta di potenza del ricordo, ma del fatto che effettivamente una fortissima luce bianco- violetta lo sta accecando, mentre un grosso arnese di forma lenticolare si posa maestosamente sulla discarica.

Sempre coraggiosamente inscatolato come un paguro, E. non sa che il romanzo è iniziato (Bidone Scala A, condominio Serenità) e ripensa a tutti gli episodi brillantemente documentati dalle edizioni Sinistro Presagio – avvistamenti, incontri ravvicinati di ogni tipo, rapimenti a scopo di studio da parte di creature umanoidi o meno – e comincia a fischiettare quattro note hollywoodiane nell’abitacolo dell’auto.
L’astronave si posa sul piazzale, disturba la ricezione delle previsioni del tempo su tutte le TV della zona, determina inesplicabilmente l’istantanea autodistruzione di tutti i furgoni APE delle vie adiacenti ed un improvviso desiderio di tamarindo nei soggetti più sensibili.
… Una parte della lucida parete metallica scivola lentamente all’interno e nel fascio di luce azzurra si disegna una forma argentea, di aspetto umanoide, che leva la mano destra in alto in segno di saluto…
E. si scaglia fuori dall’auto sollevando a sua volta la mano destra, fischiando le famose quattro note e insieme tentando di sorridere. Si ferma a quattro passi dal disco volante, rigido e solenne come il protagonista di un film di fantascienza degli anni 50.
L’alieno scende gli scalini (… i suoi movimenti, calmi, misurati, sprigionano un’immensa forza ed insieme una pacata sicurezza, come se tutte le misere armi e la povera tecnologia umana nulla potessero contro di lui…), si avvicina (…nelle sue mani appare un oggetto metallico argenteo, probabilmente un’arma di inconcepibile potenza…), gli passa accanto, lo supera, si ferma davanti alle file dei ratti, fa un lento cenno del capo, si inchina leggermente e squittisce.


Qualche tempo dopo dall’astronave decollata dalla Terra parte una comunicazione indirizzata ad una remota base su un pianeta lontano lontano.
“Qui Pelagio, nave Voodoo. Segnalo la presenza a bordo di due esemplari della specie umanoide abitante il pianeta Foxtrot. In buone condizioni. Penso. Avvertite Philemus, se vi sembra il caso. Seguiranno ulteriori comunicazioni.”
Ciò detto il pilota dell’astronave sbuffa, si toglie il casco e la tuta imprecando a bassa voce per la solita cerniera inceppata e parte per le viscere della nave con l’intenzione ancora vaga di mettere qualcosa sotto i denti e farsi un pisolino, prima che i due umanoidi comincino a scocciare con le loro domande idiote.

2 commenti:

Nick Parisi. ha detto...

Tutto l'incipit sui gatti mi ha ricordato molti racconti e romanzi di Fritz Leiber,notorio amante dei felini.
Vediamo cosa succederà nella prossima puntata.

Massimo Citi ha detto...

@Nick: bello avere un lettore tsnto attento. In realtà io non sono un grande lettore di Fritz Leiber, che viceversa mia moglie adora, ma immodestamente mi riferisco la grande Cordwainer Smith che, notoriamente, fu tanto amante dei gatti da inventare un personaggio come C'Mel (o G'Mel). Piccolo avviso ai miei quattro lettori: il romanzo parte lentamente ma poi viaggia particolarmente veloce. Spero sia un (piccolo) piacere leggerlo.