30.9.12

Fantascienza o quel che ne resta


Sono appena ritornato dalla montagna.  
Non era una fuga partigiana né un momento di relax, semplicemente dovevo ridipingere - come Tom Sawyer - uno steccato o - meglio - una balconata e un po' di infissi. 
La mia esperienza in proposito era pari più o meno a zero ma la buona volontà non mi mancava. Sono stato su fino a oggi e, come è ormai noto, la connessione in montagna è quello che è. Senza contare che non ho avuto tempo praticamente per fare altro che smontare, cartavetrare, dipingere, rimontare e bestemmiare.
Di umore non proprio eccellente, scrivo qui quel che avevo da dire prima di partire. 
...
Martedì sera sono andato a vedere Prometheus, di Ridley Scott.  Sinceramente, un film che non merita nemmeno poche righe sul blog. Una stracca ripetizione, una minestrina riscaldata di temi già presentati in altri film, un prequel piuttosto confuso del ciclo di Alien, del quale se ne sarebbe comodamente fatto a meno.  Mi ha dispiaciuto vedere Noomi Rapace, costretta in una parte demenziale - la pseudoarcheologa stile Peter Kolosimo - e con una pettinatura assurda, ad arrabattarsi vanamente per rendere in qualche modo credibile un Alien revenant... 

Per non parlare degli alieni in formato neoclassico, o l'androide misteriosamente impegnato in tradimenti incomprensibili.
Se poi ricordo che la sera precedente ho visto un film delirante, M.A.R.K. 13, con Iggy Pop tra gli attori, buon esempio di sf/horror rinunciabilissima, ce n'è abbastanza da rinunciare alla fantascienza per un po'. 
No, sinceramente, potevo anche risparmiare il tempo e impiegare altrimenti i 10 euro, dedicandoli all'acquisto che so... di un Urania.
...
Quest'estate ho comprato e letto un paio di Urania, quello di agosto, L'evoluzione del vuoto /1 di Peter F. Hamilton, e quello di settembre, L'uomo che credeva di essere se stesso di David Ambrose. Il primo l'ho letto (quasi) fino alla fine, mentre il secondo l'ho finito - e regolarmente già dimenticato. 
Ed è così che altre nubi si addensano sul mio amore per la sf. 
Il romanzo di Hamilton l'ho comprato nel nome della buona volontà e della mia immarcescibile fiducia nella fantascienza e nei suoi autori.  L'ho letto nel nome della stessa fedeltà. Solo che, sinceramente, la scarsissima rilevanza dei personaggi, l'oscurità - probabilmente dovuta al mio scarso acume - dell'intreccio e la volontaria o involontaria comicità di talune locuzioni sul tipo: «La sua astronave viaggiava alla velocità di 85 anni luce all'ora», hanno dapprima sabotato e poi inchiodato definitivamente la lettura.
Ho letto alcune recensioni indipendenti in giro per la rete, trovando in più occasioni giudizi e valutazioni non troppo diverse dalle mie, anche se sicuramente meno radicali e più possibiliste. In molti lodavano l'inesauribile fantasia del buon Hamilton, dote che non gli nego minimamente ma che, minata alla base dalla bidimensionalità dei personaggi, finisce per apparire una semplice accumulazione, un gioco di prestigio che non ha molto a che vedere con la realtà (apparente) della vicenda.
«La traduzione, molto dipende dalla traduzione»
Vero, abbastanza vero. Senonché ho controllato lo stile di Hamilton on line e vi ho ritrovato lo stesso incedere frettoloso, lo stesso procedere affannato, come se soffermarsi per qualche istante a sbozzare meglio ambiente e personaggi fosse un insulto alla narrativa. I suoi personaggi girano una dozzina o forse più mondi diversi che nessuno, né il narratore e ancor meno i lettori, sarebbero in grado di distinguere l'uno dall'altro. Nemmeno la benedizione di un cielo di un colore appena un po' diverso dal nostro terrestrissimo azzurro... 
Ma l'insoddisfazione per il (mezzo) romanzo di Hamilton ha suscitato in me altri pensieri. Ho riguardato le recensioni scritte in altri momenti su altri numeri di Urania, recensioni che si possono trovare qui e qui oltre che qui e in una mezza dozzina di altri posti, basta inserire «Urania» come parola chiave in questo blog e in quello di LN-LibriNuovi-out-of-print, e mi sono messo a riflettere. Non anticipo il risultato della riflessione, anche perché non si tratta di una riflessione tanto breve e credo meriti un altro post dedicato. 
Fatto sta che comincio ad averne un po' pieni i corbelli dell'attuale gestione di Urania e soprattutto della politica mondadoriana in proposito. 
Ma non anticipo.  
Per intanto possiamo cominciare ad affollare le edicole, dove uscirà il nuovo Urania con il testo di due promettenti esordienti, uno nato nel 1917, l'altro nel 1919, il cui romanzo era stato originariamente pubblicato nel 1952. Ne riporto i nomi, nel caso non li aveste mai sentiti nominare: A.C. Clarke e F. Pohl.
Quanto al romanzo di David Ambrose, tanto per ritornare alle mie letture, si tratta di un romanzo a suo tempo già pubblicato da Meridiano Zero, editore che, come ognuno sa, non ha molto a che vedere con la sf. 
Quanto al libro, si tratta di un esempio stiracchiato di plot basato sul tema del viaggio temporale e degli universi alternativi. Condotto con discreta abilità fino a tre quarti della sua lunghezza, naufraga in un finale confusissimo, che sono del tutto incapace - oltre non averne la minima voglia - di riportare qui. Si tratta, per la cronaca, di un romanzo originariamente pubblicato 19 anni fa, nel 1993. Inevitabile pensare che all'epoca il libro potesse (forse) apparire in qualche modo «nuovo», ma nell'A.D. 2012, dopo quattro serie di «Fringe», risulta perlomeno superato. 
1993, appunto. 
Q.E.D. 

15 commenti:

Nick Parisi. ha detto...

Anche io sono stanco di molte cose dell' attuale gestione di Urania da parte della Mondadori, comincia a sembrarmi un cane che si mangia la coda, il problema è che gli interessati continuano a fare orecchie da mercante.

Massimo Citi ha detto...

@Nick: sinceramente sono persino un po' stufo di continuare a ripetere le stesse cose. Urania è una nave alla deriva, senza i denari per viaggiare, guidata da un capitano ubriaco e condotta da un ammiraglio incompetente. Ma siamo davvero così pochi non amanti della sf da non meritare una collana decente di sf? Urania è diventata una riserva indiana, una ridotta della Valtellina, una Wolfschanze dove si attende la fine. SEnza nemmeno ballare.

Glauco Silvestri ha detto...

Perdonatemi ma... perché comprare Urania se non vi piace? Se tutti i lettori di urania smettessero di comprarla, a Mondadori si drizzerebbero le antenne eccome.

Io, sinceramente, avrò in tutto 6 urania in casa. Tutti romanzi che avevo cercato in altre forme, ma che in questo "bel paese" erano ormai irreperibili, se non miracolosamente grazie a Urania.

Come collana, non mi è mai piaciuta, troppo legata al passato e mai propositiva verso i giovani se non per il concorso omonimo.

Paolo ha detto...

Urania ha i suoi meriti storici, e demeriti altrettanto grandi, moltiplicati nel tempo dall'uso delle stesse traduzioni negli Oscar Classici e nelle varie riedizioni. Ripubblicare ancora negli ani '90 la ridicola traduzione censurata anni '50 di "Childhood's End" di Clarke è cosa che gridava vendetta al cielo. La crici attuale è una nemesi tardiva ma non meno meritata.

Massimo Citi ha detto...

@Glauco: l'uovo di colombo, in apparenza. Basta smettere di comprare Urania. Solo che si è appassionati di sf, in fondo, e risulta difficile resistere a una rivista/libro che rimasta l'unica a occuparsi del genere prediletto. La tue osservazioni sono comunque sacrosante, anche se sospetto che la fuga dei lettori da Urania sia cominciata da tempo e l'unica reazione di Mondadori si limita, finora, a un "serrate le file" degno dei fanti del film "Barry Lindon".

Massimo Citi ha detto...

@Paolo: grazie, anche per il commento su FB. Assolutamente indiscutibile. Incredibile dictu, sul blog di Urania si levano peane sulla genialità del ripescaggio e si fanno discussioni di lana caprina sulla veste grafica del nuovo Urania, valutando le dimensioni del cerchio rosso che raccoglie la figura o i caratteri della copertina... Quasi da caduta dell'Impero.

Davide Mana ha detto...

Beh, se non la compri, non puoi sapere che non ti piace.
Anche perché noi primati siamo fatti così - impariamo dall'esperienza, ma ci illudiamo che il futuro possa essere diverso.
Che è poi il motivo per cui leggiamo fantascienza.
Che in italiano si dice Urania.
Dio, che complicazione.
Io Urania non lo compro più - farò un'eccezione per la prossima uscita di Forlani, ma perché già so che Forlani le astronavi non le fa andare a 85 anni luce l'ora...

Massimo Citi ha detto...

@Davide. Io invece ci sono ricascato. E mi capita ancora. Può darsi si tratti di una larvata forma di protesta del mio io bambino annichilito da troppe letture serie. Avevo mandato definitivamente in malora Urania quando esisteva la collana Argento della Nord, ma poi è andata come sappiamo e pelarsi 4 euro mensili per non perdere un autore meritevole mi sembra(va) accettabile. Senonché i troppi bidoni presi di recente mi suggeriscono di smettere. Ma resta la domanda: ma la sf va così male quanto a numero di lettori in Italia o il vero problema è la qualità dell'offerta? Insomma, stanno tentando di vendere frigoriferi agli eschimesi o cercano di rifilare agli africani vecchie e inutili ghiacciaie?

Davide Mana ha detto...

La seconda.

Massimo Citi ha detto...

@Davide: Già, la seconda.

Paolo ha detto...

Comprato, letto, soppesato. Un romanzo veramente brutto, in cui non c'è quasi nulla del Clarke che amavo (svanito del tutto dopo "I Canti della Terra Lontana") e una veste grafica che, giustamente, ha ispirato sul blog di Urania un dibattito degno delle riunioni nell'azienda di Dilbert. Aspetto sempre una decente versione italiana di "Le Guide del Tramonto" che dopo sessant'anni sembra ancora più attuale di questo insipido pasticcio schiacciato su un presente senza speranza.


Massimo Citi ha detto...

@Paolo: ho preso in considerazione almeno tre o quattro volte la possibilità di acquistare il «nuovo» Urania ma ho finito per comprare altro, «Le Scienxe», «L'Espresso» o un pacchetto di caramelle alla liquirizia. Il tuo benemerito intervento mi ha convinto definitivamente che non è il caso di spendere soldi in quell'Urania. E probabilmente nemmeno in Urania sic et simpliciter.

Paolo ha detto...

Non ho letto alcuna recensione entusiastica di questo libro, e non me ne stupisco. Le parti più divertenti sono i Preamboli e i Postamboli, e questo dice quasi tutto. Ad un certo punto ho cominciato a saltare intere pagine, perché Clarke non aveva scritto una storia così superflua né descritto (si fa per dire) un protagonista così stolido dai tempi di "Terra Imperiale". Ma il momento in cui mi sono cascate le braccia, insieme a vari attributi assortiti, è quello in cui i due autori, cioé Pohl con l'autorizzazione di Sir Arthur, riutilizzano parola per parola la prima metà di "Vento Solare", un racconto del 1963 che è una gemma della hard science fiction alla Clarke, per l'appunto, e che qui viene usato come riempitivo prima di uno dei tre o quattro colpi di scena da rigattiere che costituiscono la trama (anche qui si fa per dire) di questa deprimente parodia della SF classica. Alla fine della lettura ero talmente arrabbiato che sono andato a rileggermi gli ultimi capitoli di "Le Guide del Tramonto" solo per recuperare un po' di stima in uno dei miei autori preferiti.

Massimo Citi ha detto...

@Paolo: onestamente sono davvero perplesso. Non mi aspettavo un simile infortunio. Men che meno per festeggiare il cinquantenario di Urania. Sapevo che Pohl ha allineato accanto e numerosi capolavori anche qualche testo più debole, ma mi stupisco per lui e ancor di più per Clarke. Ma a qualcuno piacerà quell'avanzo di vecchia sf?

Paolo ha detto...

Nemmeno io mi aspettavo un disastro del genere, pur sapendo che il vecchio Clarke aveva esaurito le sue risorse scrivendo "3001", il sequel più inutile della storia della SF e non solo. Sir Arthur era in qualche modo scusabile essendo moribondo, ma Pohl non avrebbe dovuto prestarsi ad una operazione del genere.

Come cura omeopatica, domenica al mercatino di Moncalieri ho comprato un romanzo della collana Cosmo pubblicato nel maggio 1961, che devo avere letto nel 1967 o '68 e perso nel trasloco del 1970. Dopo tanti anni ricordavo ancora qualche passaggio. Ciò che allora non sapevo è che l'autore, Rocky Docson, era uno dei tanti pseudonimi di Roberta Rambelli. In quel particolare numero firmava sia il romanzo (un giallo ambientato su Marte) che i due racconti in appendice (come John Rainbell). Fantascienza ingenua ma divertente, l'altra invece è furba ma deprimente.