...Sarà lei a occuparsi di te.
Si tratta di un adagio coniato non so da chi ma che mi viene sistematicamente in mente quando una discussione o un ragionamento prendono a battere strade poco concrete o eccessivamente legate al contingente cioé all'emotività, alla passione o al desiderio di attribuire a un fenomeno i caratteri desiderati piuttosto che quelli reali.
Inutile dire, visto il mio lavoro, che la frequenza con la quale l'adagio mi torna alla mente in occasione di riflessioni e discussioni sul mondo del libro è veramente allarmante. Nel contempo mi viene in mente il mio insegnante di religione della scuola media e il suo personale racconto del Vangelo. Tutta la sua antipatia andava per i farisei che, se già Gesù - pericoloso radicale - non considerava con molta simpatia, nelle sue interpretazioni risultavano anche più meschini, sciocchi, ipocriti, fatui e perbenisti di quanto non li presentassero gli evangelisti. Tipico dei farisei del libro (minuscolo, non del Libro) è pensare che i libri siano spontanee manifestazioni del libero pensiero e della passione artistica. Che i libri arrivino in libreria o nei supermercati grazie alla mediazione dello Spirito Santo e che abbiano un costo vicino allo zero.
Altra serafica e malauguratamente diffusa convinzione è che le case editrici siano templi della Conoscenza e della Cultura - se non tutte, almeno molte - e che i libri nascano grazie a un prepotente erompere delle ragioni dell'arte dell'intelletto.
Non mi piace eccessivamente presentarmi nei panni del vecchio leone ormai rotto a ogni illusione, ma fatico a mantenere il controllo quando mi rendo conto che il mio interlocutore stenta ad applicare al mondo dell'editoria professionale le medesime leggi economiche e gestionali che non lo scandalizzano parlando di ortofrutta o di materie prime ferrose.
Tra queste il massiccio ingresso del marketing - con l'implicazione del concetto di target - nel mondo editoriale. Il marketing, che ce ne rendiamo conto o no, ha completamente sovvertito le norme che hanno governato per decenni il mondo editoriale. Un tempo esisteva la «letteratura popolare», considerata con degnazione dagli intellettuali e dai lettori più raffinati che prediligevano, invece la «letteratura alta». Il legame tra le due letterature anche se debole era comunque un legame dinamico, come dinamica era la figura del lettore che si postulava in grado, dopo una lunga frequentazione della letteratura meno nobile, di approdare finalmente al Parnaso letterario. La vulgata «progressista» di questa filosofia immaginava che tale ascesa del gusto fosse insieme stimolo e conseguenza del crescere della coscienza civile e di classe.
L'ingresso del marketing e del concetto di «target» in questo universo - che ci appare adesso un po' patetico - ha avuto e continua ad avere effetti catastrofici. Come dice Remo Bassetti nel suo «Contro il target» (Bollati Boringhieri 2008):
Tale meccanismo, di origine aziendale, mira al congelamento e alla cristallizzazione dei gruppi sociali esistenti […] Il progetto di vita che viene loro offerto è più seduttivo e accattivante: continuare a essere quello che sono.
Niente più magnifiche sorti e progressive, soltanto un accontentarsi perpetuamente di se stessi e della propria mediocrità. Sì, mediocrità, anche se sul campanello alla porta si porta scritto «prof. Umberto Eco» o «prof. Umberto Veronesi», perché cos'è la mediocrità se non la sensazione di essere perfettamente compiuti come si è?
Questo rintanarsi nella propria posizione, ideologia, visione del mondo, questo atteggiamento stizzosamente acritico («Le persono tendono a difendersi dalla dissonanza cognitiva e cercano di non ricevere informazioni discrepanti con le opinioni che già possiedono») che cerca di difendere la propria omeostasi sociale e culturale evocando estranei/nemici ai quali attribuire identità via via dettate dai media, è probabilmente una delle spiegazioni dell'esito delle ultime elezioni e se risulta pernicioso nei suoi addentellati politici è fatale sul piano culturale.
Un'editoria - come una musica, un cinema o una TV - che crei prodotti pensati in funzione di un determinato target rinuncia, con ogni evidenza, alla propria funzione civile e artistica.
Ancora più interessante - e allarmante - considerare un ultimo aspetto della «targettizzazione» del pubblico dei lettori. Un'industra editoriale che costruisce (costruisce, non seleziona) opere destinate a un pubblico predefinito lascerà ai margini della produzione opere e autori che non rassicurino e rafforzino le convinzioni e convenzioni dei lettori. La sorpresa, la scoperta, l'uscire fuori da sé per adottare altri panni e un altro punto di vista rischia così di essere definitivamente bandito.
A ogni spezzone o frammento andrà il libro che confermerà la propria visione del mondo.
C'è di che riflettere.
7 commenti:
Complimenti,
i tuoi post sono sempre interessantissimi e illuminanti. Già dentro di me stava maturando un malessere, anche se solo a livello viscerale, verso il concetto di "target" dei prodotti culturali (un concetto al quale, ahimè, mi sono dovuto in qualche modo piegare nel romanzo che pubblicherò); questo tuo post e il libro che hai citato mi hanno aiutato a chiarimi le idee.
Grazie e continua così!
Infatti per essere pubblicati, e magari vendere, conviene scrivere quello che già si trova in libreria. L'inventiva e l'innovazione non sono ben viste negli ambienti creativi ^^.
Simone
Infatti stando in libreria - «dall'altra parte del bancone» - si ha sensazione di avere a che fare con quattro o cinque «modelli» di libro che si ripetono instancabilmente. Ma non si tratta più di «generi» come potrebbero essere il rosa, il poliziesco, il fantasy o il romanzo storico, ma di cloni. Gli esempi potrebbero essere innumerevoli, ma mi limito a citare Camilleri che è riuscito nel miracolo di diventare clone di se stesso. «Scrivere ciò che già si trova in libreria» è precisamente ciò che anche Bassetti denuncia nel suo libro (pag. 65: «il mercato librario mette in circolazione le idee che già circolano»).
ci sono idee chomskianamente potenti: il darwinismo o la teoria del caos possono grosso modo "spiegare" indifferentemente un gran numero di eventi (l'efficacia di un sistema sociale o i modelli di crescita di un certa popolazione di piante). così è il marketing: se un autore scrive qualcosa di diverso dal rancio di tutti gli altri giorni, crea semplicemente un nuovo target.
il motivo per cui, ritengo, il persistere di "modelli" editoriali ci affascina e spaventa è che si tratta di un modello darwinisticamente suicida: da ghost in the shell in poi anche i sassi sanno che la varietà significa sopravvivenza. la meraviglia che si prova di fronte a un suicidio -- quantunque perpetrato con lenta metodica -- è al tempo stesso fascinazione e spavento, soprattutto se sappiamo che sta capitando a noi.
@max: però questa roba degli stampini è internazionale. o no?
Non c'è praticamente più nulla che non sia internazionale. Persino i conati leghisti nostrani fanno parte di un panorama internazionale di insofferenza e di risorgente localismo/nazionalismo.
Teoricamente l'apparizione di una nuova opera sancirebbe la creazione di un nuovo target. Teoricamente. Ma il fenomeno non ha nulla di spontaneo. E i target, ovvero segmenti di popolazione accomunati dall'atteggiamento nei confronti dei consumi, non sono entità elastiche. Un nuovo romanzo di successo si limita semplicemente a portare alla luce una pulsione o un comune sentire di questo segmento sociale più o meno esteso, ma non inventa né può inventare alcunché. Il lettore deve essere disponibile a confrontarsi con l'invenzione, ad accettare di vedere reinterpretate le sue convinzioni. Ma rischia di non incontrare il libro capace di farlo perché edito da un piccolo editore di proposta che non arriva da FNAC o alle Feltrinelli.
Si tratta di quella che è stata definita «censura del mercato».
Applicare a questa dinamica la teoria dell'evoluzione di Darwin dà comunque effettivamente risultati curiosi. Se poi si sovrappone a essa la teoria degli equilibri punteggiati di Gould e Eldredge... beh, ne abbiamo che si tratta di aspettare un cataclisma nel mondo culturale perché le «nuove specie» abbiano la possibilità di affermarsi...
Difficiel postulare un cataclisma che ringiovanisca il sistema considerando che l'intera struttura è costruita con lo scopo ultimo di mantenere l'equilibrio.
Ciò che avete descritto fin qui è un sistema chiuso progettato per non evolvere, ma solo per accrescersi dimensionalmente.
Non meglio, ma solo di più.
Se dobbiamo credere ai modelli dell'Istituto di Santa Fé, i risultati della crisi su certi sistemi è l'estinzione globale, non l'evoluzione attraverso una selezione naturale.
Alla prima crisi tosta, il sistema editoriale diventerà come Marte - un pianeta morto.
Vero. La struttura descritta è un sistema «chiuso», ovvero un paradigma. L'editoria targettizzata punta a coprire tutti gli spazi disponibili e a dare risposte predeterminate a una grande varietà di domande. Ovvero a vendere la sicurezza che non esiste null'altro al di fuori del paradigma.
Ma noi sappiamo che non è così.
Non siamo folla, ma esistiamo.
Non leggiamo libri per rassicurarci di far parte del gruppo sociale che legge quel genere di libri. Non siamo alla ricerca di una protesi per autodefinirci. Leggiamo i libri che ci interessano e che ci incuriosiscono.
Comunque il tuo discorso è particolamente interessante, anche perché coglie bene la tendenza all'implosione del sistema. Il numero di forti lettori - ovvero di grandi acquirenti di libri - è in diminuzione, in Italia. Da anni sono convinto che si tratti di una reazione di insoddisfazione alla qualità dell'offerta. Ma guai a dirlo ad alta voce: «Con tutta l'offerta che c'è...».
Già, c'è molta offerta ma una buona parte di questa non ha gli strumenti per arrivare all'attenzione del possibile lettore. Sviluppando questa doppia tendenza: la moltiplicazione dei cloni e l'estinzione dei libri di nicchia si arriva fatalmente alla distruzione dell'ecosistema libro.
Ma esistono controtendenze, controspinte e retroazioni impreviste.
Noi (non è una vanteria, ma una semplice osservazione) siamo una di queste.
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