È
passato qualche tempo da quando ho promesso di parlare delle mie
letture ma poi ho continuato a rimandare il momento nel quale
parlarne. Il motivo è ovvio: scrivere dei libri letti è faticoso,
impone di fermarsi, riflettere, raccogliere le idee, scriverle,
cancellarle, riscriverle... una fatica, in breve.
Lo
so, lo so, da un certo punto di vista è una fatica maggiore
leggerli, i libri, ma non è questo il mio caso. A me, nonostante i
plurimi tentativi messi in atto dai grandi editori, sempre più
simili a una Banda Bassotti editoriale che infesta le librerie, piace
leggere. Almeno finché i miei vessatissimi occhi non decideranno che
ora basta.
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Elif Batuman |
Per
questo giro mi limiterò a tre libri, per semplici motivi di spazio.
Prossimamente seguiranno altri tre o quattro libri.
E
inizio è con un libro edito da Einaudi, I posseduti di Elif
Batuman, sottotitolo: storie di
grandi romanzieri russi e dei loro lettori. Mmmhhhh, un
po' criptico, come titolo e sottotitolo, ma lo acquistai ugualmente,
affascinato da un assurdo Dostoevsij intento a una surreale partita a
tennis.
Sul retro di copertina, comunque, è scritto:
I
posseduti non solo un libro di lettura: è prima di tutto una storia
d'amore, il racconto della passione che si scatena quando ogni
lettore, ogni lettrice incontra Anna Karenina, Oblomovm Evgenij
Onegin...
Bene,
tutto ciò detto, il libro si è rivelato una delusione. Non una
delusione atroce, intendiamoci, ma comunque una delusione, un qui
pro quo librario che se fossi stato abbastanza attento avrei
potuto evitare. Mi aspettavo un saggio non troppo ponderoso, una
storia della letteratura russa un po' meno ingessata, al limite un
breve e saporoso gossip su alcuni miei personali miti...
Viceversa mi sono trovato a leggere delle avventure di una
studentessa di origine turca a Stanford, California, della sua
passione per gli scrittori russi, ma anche per la letteratura e la
lingua Uzbeka (più o meno metà del libro), con lunghe parti
dedicati alla formazione personale di Elif Batuman e ai suoi
incontri, discussioni, piccoli e grandi contrattempi, sogni e
desideri.
Sono riuscito, è pur vero, a raggranellare qualche info in
più su Tolstoi, Cechov, Dostoevskij e Babel - soprattutto su
quest'ultimo - ma mi sono dovuto sopportare la compagnia e le allegre
chiacchiere della cara Elif, scritte con uno stile che inclina
talvolta verso quello dei messaggini scritti su FB e con
l'incrollabile ottimismo del quale spesso si accusano gli americani.

Per
farla breve, se cercate notizie, fatti o fattoidi sugli scrittori
russi evitate senza farvi nessun problema il libro di Elif Batuman e
cercate magari una buona, vecchia storia della letteratura russa.
Potrà magari essere un po' noiosa ma non quanto può esserlo, nei
suoi momenti peggiori, una garrula ed entusiasta scrittrice e critica
turca.
«Sempre
così. A parlare con insufficiente garbo dei tuoi amati russi
reagisci sempre come un moujik incannato».
No,
non ci siamo capiti. Io se compro un barattolo dove c'è scritto
“fagioli spezzati” e vi trovo - per l'appunto - fagioli spezzati,
non mi incazzo. Se però ne compro uno dove c'è scritto “piselli
finissimi” e dentro vi trovo fagioli spezzati, beh, capirai che...
E comunque non ho ben capito che senso abbia porre sullo stesso piano
la vita degli autori russi con quella di una laureanda in lettere
moderne. È per poter dire: «In fondo siamo tutti uguali»? No.
Nemmeno in tempi di social networks e di world wide web a manetta lo si può
affermare.
Piccolo
ma non del tutto trascurabile motivo del mio disappunto - fossi stato
più attento nel leggere «prima di tutto una storia d'amore»... -
il prezzo di 20 eurini, (sia pur scontati del 15%), che mi è costato
il libro.
...
Invece
di 17 euro, il libro del quale parlerò ora mi è costato 50
eurocentesimi. Certo si tratta di un fuori catalogo, fuori commercio,
edito da una casa editrice scomparsa in una collana chiusa a suo
tempo per scarsa risposta da parte del pubblico, ma comunque un libro
in carta e pagine: Francis Stevens, Le teste del cerbero,
sottotitolo: «Un capolavoro dimenticato che si può considerare a
pieno titolo il primo romanzo di fantascienza moderno sul tema degli
universi paralleli», editrice Nord, 1993, edizione originale 1918.
Cominciamo
dall'autore. O, per meglio dire, dall'autrice.
“Francis
Stevens”, infatti, era lo pseudonimo di Gertrude Barrows, nata nel
1884 a Minneapolis. Sul motivo della scelta di uno pseudonimo
maschile riferisce Robert Weinberg nel suo A Forgotten Mistress of
Fantasy (1984):
La
scelta di adottare lo pseudonimo Francis Stevens fu probabilmente
dovuto al tipo di storie che l'autrice scriveva. […] Erano gli
uomini a scrivere quel genere di narrativa o, almeno, così sembrava
a giudicare dai loro nomi. Fra essi, vi erano George Allen England,
Abraham Merritt, Max Brand, Charles Stilson, Edgar Rice Burroughs e
altri ancora. Non era insomma una compagnia dove avrebbe ben figurato
il nome di una donna. Quindi, come molte colleghe prima e dopo di
lei, Gertrud […] si rese conto che era più facile cambiare nome
che il tipo di narrativa che voleva scrivere.
Quando
uscì sulla semiclandestina rivista Thrill Book il
romanzo a puntate Le teste del Cerbero il genere
“Fantascienza” non era ancora nato e, come scrive Weinberg, «le
storie con elementi fantastici o fantascientifici venivano chiamate
semplicemente “insolite”, “diverse”, “fuori dalla norma”
oppure “alla Poe”».
L'autrice,
normalmente pubblicata dalla rivista Argosy, (in compagnia di
Abraham Merritt ed Edgar Rice Burroughs) fece uscire il suo romanzo
in una rivista neonata che prometteva un'attenzione particolare per
la narrativa di genere fantastico: la già citata Thrill Book.
Il vero problema fu che Thrill Book si rivelò mal diretta,
del tutto priva di editing, con un basso livello di collaborazioni,
copertine molto al di sotto della media di per sé spesso non
altissima delle riviste dell'epoca, una pessima distribuzione e una
tiratura minima, tanto che i lettori abituali di “Francis Stevens”
nella maggior parte dei casi non riuscirono nemmeno a sapere
dell'uscita del nuovo romanzo del loro “autore” preferito. Alla
chiusura della rivista, arrivata immancabilmente dopo pochi numeri,
Gertrud dovette abbandonare la scrittura causa problemi familiari e
si trasferì nell'Ovest, dove, detto di passata, scomparve
misteriosamente nel 1939, a 55 anni.

Venendo
al romanzo, si tratta di una sf ad alto tasso fantastico, basato su
un oggetto abbastanza tipico del romanzo di mistero: un'ampolla
«decorata da Benvenuto Cellini per il suo protettore, il Duca di
Firenze», contenente una misteriosa polvere «raccolta dal poeta
Dante alle porte del Purgatorio». Che il viaggio di Dante sia stato
un evento in qualche modo reale rimane ovviamente non dichiarato e il
lettore può anche pensare si tratti di un buffa convinzione del
protagonista, ma la polvere funziona, spostando l'uno dopo
l'altro i tre personaggi principali dapprima nel mondo “fantastico”
di Ulithia e da questo nel Mondo di Penn, un curioso esempio di
antiutopia dallo sfondo insieme religioso e politico ambientata un
una Philadelphia alternativa di una Terra futura.
Non
mi sembra il caso di raccontare le numerose e animate avventure dei
tre personaggi e le imprese grazie alle quali riuscirono a ritornare
sulla nostra Terra, ma sottolineo volentieri l'aspetto
storico-politico tutt'altro che dilettantesco della Terra alternativa
e anche la curiosa, inattesa potenza narrativa di Ulithia, ovvero,
come scrive Damon Knight:
[…]
L'interludio nel mondo di Ulithia non è strettamente indispensabile
alla trama, ma è scritto per soddisfare il puro gusto del fantastico
e vi sono alcune parti in quel capitolo che sono una delizia per il
lettore.
Non
c'è altro da aggiungere, credo. Non è facile trovare il libro in
italiano - nell'ottima traduzione di Sergio Perrone -, ma si tratta
di un libro facilmente accostabile anche nella lingua originale. Non
perdetelo.
Ultimo
libro per questo giro Occhio nel cielo, di P.K.Dick, edizione
originale 1957.
«Tu
ci sei fissato, con Dick. Come se non esistessero altri autori di
sf.»
Non
sono fissato, è passato almeno... vabbé, è un pochino che non
leggo Dick, ma questo libro mi è stato prestato - prestato, ripeto -
da mia figlia...
«Che
è anche mia figlia, lo sai, no?»
No,
appunto. Prestato significa “leggilo in fretta e rendimelo quanto
prima, pena rappreseglie terrificanti». Più o meno come avere un
libro in prestito da Ceausescu. Quindi l'ho letto a passo di carica e
lo sto trattenendo col la scusa di una recensione. Pericoloso, lo so.
E adesso non scocciarmi mentre dico due parole su questo libro.
Allora.
Occhio
nel cielo è stato il quarto romanzo scritto da P.K.Dick,
pubblicato nello stesso anno de La città sostituita,
delirante incursione in un fantasy oscuro e terrificante.
Lo
spunto è facile da raccontare. Otto persone vengono coinvolte in un
incidente in un impianto nucleare. Tra il momento dell'incidente e
l'arrivo dei soccorsi passano alcuni minuti, durante i quali gli otto
- uniti da una sorta di telepatia collettiva - vivono una serie di
incubi partoriti dalle menti di alcuni di loro, incubi in forma di
psicoambienti nati dalle personali convinzioni o dai deliri
personali, ovvero, come scrive una mia ottima amica:
I
protagonisti della vicenda, per vari casi, si trovano a vivere per un
po' di tempo in mondi diversi, ognuno dei quali è "creato"
involontariamente da uno di loro, è il loro mondo personale,
regolato dalle leggi individuali con cui ognuno di loro vede la
realtà.
Anche
qui non mi sembra il caso di riferire punto per punto ciò che
accade, il libro,
nell'ottima traduzione di Maurizio Nati, è facilmente reperibile,
persino
nelle librerie di catena. Ciò che mi sembra davvero meritevole di
attenzione è la cura letteralmente maniacale con la quale Dick
descrive i deliri attentamente costruiti dei suoi personaggi[1] e la
capacità di rendere a distanza di mezzo secolo e più il clima
ferocemente, psicopatologicamente anticomunista degli USA di quegli
anni.
Un
ottimo libro, figlio di un giovane Dick, in qualche modo ancora
convinto che la realtà si potesse cambiare con le parole di un
libro. Come sappiamo in seguito Dick cambiò modo di vedere il suo
e il nostro mondo. Se volete sapere come, potete leggete «Un
oscuro scrutare» o «Episodio
temporale»[2].
Arrivederci
al prossimo giro.
[1]
soltanto un piccolo esempio: «”Abolisca le autoradio!” propose
Hamilton. Il rumore cessò. “E anche i televisori e i film”[...]
“E gli strumenti musicali più economici... le fisarmoniche, i
banjo, e le armoniche a bocca”. Quegli strumenti scomparvero in
tutto il mondo. “Le scritte pubblicitarie” strillò Joan Reiss
[…] “Gli oceani” disse Hamilton […] In un ultimo, debole
rigurgito di energia, Joan Reiss si sollevò sulle braccia e disse in
un sussurro, “Aria!”.
[2]
titoli originali: A Scanner Darkly [1977];
Flow my Tears, the Policeman Said [1974]