24.3.13

Un sax, un clarone e un'eco


John Surman è un sassofonista inglese nato nel 1944.
Lo conobbi ascoltandolo in un disco di John McLaughlin - sovrumano ex-chitarrista di Miles Davis - il mitico Extrapolation
L'algido, freddo suono di Surman fu un ottimo viatico alla conoscenza del jazz o free-jazz inglese degli anni '70, a gruppi come i Nucleus, i Soft Machine e musicisti come Robert Wyatt.
...
L'album dal quale è tratto questo brano è Upon Reflection, del 1979, un album di improvvisazioni in solitudine. Un grande album, a mio personalissimo parere.  
Da ascoltare in solitudine, possibilmente essendo di un umore incerto tra la malinconica reminiscenza e la ricercata solitudine.   

 

22.3.13

Due libri e mezzo


È passato qualche tempo da quando ho promesso di parlare delle mie letture ma poi ho continuato a rimandare il momento nel quale parlarne. Il motivo è ovvio: scrivere dei libri letti è faticoso, impone di fermarsi, riflettere, raccogliere le idee, scriverle, cancellarle, riscriverle... una fatica, in breve.
Lo so, lo so, da un certo punto di vista è una fatica maggiore leggerli, i libri, ma non è questo il mio caso. A me, nonostante i plurimi tentativi messi in atto dai grandi editori, sempre più simili a una Banda Bassotti editoriale che infesta le librerie, piace leggere. Almeno finché i miei vessatissimi occhi non decideranno che ora basta.
Elif Batuman
Per questo giro mi limiterò a tre libri, per semplici motivi di spazio. Prossimamente seguiranno altri tre o quattro libri.
E inizio è con un libro edito da Einaudi, I posseduti di Elif Batuman, sottotitolo: storie di grandi romanzieri russi e dei loro lettori. Mmmhhhh, un po' criptico, come titolo e sottotitolo, ma lo acquistai ugualmente, affascinato da un assurdo Dostoevsij intento a una surreale partita a tennis.
Sul retro di copertina, comunque, è scritto:

I posseduti non solo un libro di lettura: è prima di tutto una storia d'amore, il racconto della passione che si scatena quando ogni lettore, ogni lettrice incontra Anna Karenina, Oblomovm Evgenij Onegin...


Bene, tutto ciò detto, il libro si è rivelato una delusione. Non una delusione atroce, intendiamoci, ma comunque una delusione, un qui pro quo librario che se fossi stato abbastanza attento avrei potuto evitare. Mi aspettavo un saggio non troppo ponderoso, una storia della letteratura russa un po' meno ingessata, al limite un breve e saporoso gossip su alcuni miei personali miti... Viceversa mi sono trovato a leggere delle avventure di una studentessa di origine turca a Stanford, California, della sua passione per gli scrittori russi, ma anche per la letteratura e la lingua Uzbeka (più o meno metà del libro), con lunghe parti dedicati alla formazione personale di Elif Batuman e ai suoi incontri, discussioni, piccoli e grandi contrattempi, sogni e desideri.
Sono riuscito, è pur vero, a raggranellare qualche info in più su Tolstoi, Cechov, Dostoevskij e Babel - soprattutto su quest'ultimo - ma mi sono dovuto sopportare la compagnia e le allegre chiacchiere della cara Elif, scritte con uno stile che inclina talvolta verso quello dei messaggini scritti su FB e con l'incrollabile ottimismo del quale spesso si accusano gli americani.
Per farla breve, se cercate notizie, fatti o fattoidi sugli scrittori russi evitate senza farvi nessun problema il libro di Elif Batuman e cercate magari una buona, vecchia storia della letteratura russa. Potrà magari essere un po' noiosa ma non quanto può esserlo, nei suoi momenti peggiori, una garrula ed entusiasta scrittrice e critica turca.
«Sempre così. A parlare con insufficiente garbo dei tuoi amati russi reagisci sempre come un moujik incannato».
No, non ci siamo capiti. Io se compro un barattolo dove c'è scritto “fagioli spezzati” e vi trovo - per l'appunto - fagioli spezzati, non mi incazzo. Se però ne compro uno dove c'è scritto “piselli finissimi” e dentro vi trovo fagioli spezzati, beh, capirai che... E comunque non ho ben capito che senso abbia porre sullo stesso piano la vita degli autori russi con quella di una laureanda in lettere moderne. È per poter dire: «In fondo siamo tutti uguali»? No. Nemmeno in tempi di social networks e di world wide web a manetta lo si può affermare.
Piccolo ma non del tutto trascurabile motivo del mio disappunto - fossi stato più attento nel leggere «prima di tutto una storia d'amore»... - il prezzo di 20 eurini, (sia pur scontati del 15%), che mi è costato il libro.
...
Invece di 17 euro, il libro del quale parlerò ora mi è costato 50 eurocentesimi. Certo si tratta di un fuori catalogo, fuori commercio, edito da una casa editrice scomparsa in una collana chiusa a suo tempo per scarsa risposta da parte del pubblico, ma comunque un libro in carta e pagine: Francis Stevens, Le teste del cerbero, sottotitolo: «Un capolavoro dimenticato che si può considerare a pieno titolo il primo romanzo di fantascienza moderno sul tema degli universi paralleli», editrice Nord, 1993, edizione originale 1918.
Cominciamo dall'autore. O, per meglio dire, dall'autrice.
“Francis Stevens”, infatti, era lo pseudonimo di Gertrude Barrows, nata nel 1884 a Minneapolis. Sul motivo della scelta di uno pseudonimo maschile riferisce Robert Weinberg nel suo A Forgotten Mistress of Fantasy (1984):


La scelta di adottare lo pseudonimo Francis Stevens fu probabilmente dovuto al tipo di storie che l'autrice scriveva. […] Erano gli uomini a scrivere quel genere di narrativa o, almeno, così sembrava a giudicare dai loro nomi. Fra essi, vi erano George Allen England, Abraham Merritt, Max Brand, Charles Stilson, Edgar Rice Burroughs e altri ancora. Non era insomma una compagnia dove avrebbe ben figurato il nome di una donna. Quindi, come molte colleghe prima e dopo di lei, Gertrud […] si rese conto che era più facile cambiare nome che il tipo di narrativa che voleva scrivere.


Quando uscì sulla semiclandestina rivista Thrill Book il romanzo a puntate Le teste del Cerbero il genere “Fantascienza” non era ancora nato e, come scrive Weinberg, «le storie con elementi fantastici o fantascientifici venivano chiamate semplicemente “insolite”, “diverse”, “fuori dalla norma” oppure “alla Poe”».
L'autrice, normalmente pubblicata dalla rivista Argosy, (in compagnia di Abraham Merritt ed Edgar Rice Burroughs) fece uscire il suo romanzo in una rivista neonata che prometteva un'attenzione particolare per la narrativa di genere fantastico: la già citata Thrill Book. Il vero problema fu che Thrill Book si rivelò mal diretta, del tutto priva di editing, con un basso livello di collaborazioni, copertine molto al di sotto della media di per sé spesso non altissima delle riviste dell'epoca, una pessima distribuzione e una tiratura minima, tanto che i lettori abituali di “Francis Stevens” nella maggior parte dei casi non riuscirono nemmeno a sapere dell'uscita del nuovo romanzo del loro “autore” preferito. Alla chiusura della rivista, arrivata immancabilmente dopo pochi numeri, Gertrud dovette abbandonare la scrittura causa problemi familiari e si trasferì nell'Ovest, dove, detto di passata, scomparve misteriosamente nel 1939, a 55 anni.
Venendo al romanzo, si tratta di una sf ad alto tasso fantastico, basato su un oggetto abbastanza tipico del romanzo di mistero: un'ampolla «decorata da Benvenuto Cellini per il suo protettore, il Duca di Firenze», contenente una misteriosa polvere «raccolta dal poeta Dante alle porte del Purgatorio». Che il viaggio di Dante sia stato un evento in qualche modo reale rimane ovviamente non dichiarato e il lettore può anche pensare si tratti di un buffa convinzione del protagonista, ma la polvere funziona, spostando l'uno dopo l'altro i tre personaggi principali dapprima nel mondo “fantastico” di Ulithia e da questo nel Mondo di Penn, un curioso esempio di antiutopia dallo sfondo insieme religioso e politico ambientata un una Philadelphia alternativa di una Terra futura.
Non mi sembra il caso di raccontare le numerose e animate avventure dei tre personaggi e le imprese grazie alle quali riuscirono a ritornare sulla nostra Terra, ma sottolineo volentieri l'aspetto storico-politico tutt'altro che dilettantesco della Terra alternativa e anche la curiosa, inattesa potenza narrativa di Ulithia, ovvero, come scrive Damon Knight:


[…] L'interludio nel mondo di Ulithia non è strettamente indispensabile alla trama, ma è scritto per soddisfare il puro gusto del fantastico e vi sono alcune parti in quel capitolo che sono una delizia per il lettore.


Non c'è altro da aggiungere, credo. Non è facile trovare il libro in italiano - nell'ottima traduzione di Sergio Perrone -, ma si tratta di un libro facilmente accostabile anche nella lingua originale. Non perdetelo.

Ultimo libro per questo giro Occhio nel cielo, di P.K.Dick, edizione originale 1957.
«Tu ci sei fissato, con Dick. Come se non esistessero altri autori di sf.»
Non sono fissato, è passato almeno... vabbé, è un pochino che non leggo Dick, ma questo libro mi è stato prestato - prestato, ripeto - da mia figlia...
«Che è anche mia figlia, lo sai, no?»
No, appunto. Prestato significa “leggilo in fretta e rendimelo quanto prima, pena rappreseglie terrificanti». Più o meno come avere un libro in prestito da Ceausescu. Quindi l'ho letto a passo di carica e lo sto trattenendo col la scusa di una recensione. Pericoloso, lo so. E adesso non scocciarmi mentre dico due parole su questo libro.
Allora. 
Occhio nel cielo è stato il quarto romanzo scritto da P.K.Dick, pubblicato nello stesso anno de La città sostituita, delirante incursione in un fantasy oscuro e terrificante.
Lo spunto è facile da raccontare. Otto persone vengono coinvolte in un incidente in un impianto nucleare. Tra il momento dell'incidente e l'arrivo dei soccorsi passano alcuni minuti, durante i quali gli otto - uniti da una sorta di telepatia collettiva - vivono una serie di incubi partoriti dalle menti di alcuni di loro, incubi in forma di psicoambienti nati dalle personali convinzioni o dai deliri personali, ovvero, come scrive una mia ottima amica:

I protagonisti della vicenda, per vari casi, si trovano a vivere per un po' di tempo in mondi diversi, ognuno dei quali è "creato" involontariamente da uno di loro, è il loro mondo personale, regolato dalle leggi individuali con cui ognuno di loro vede la realtà.


Anche qui non mi sembra il caso di riferire punto per punto ciò che accade, il libro, nell'ottima traduzione di Maurizio Nati, è facilmente reperibile, persino nelle librerie di catena. Ciò che mi sembra davvero meritevole di attenzione è la cura letteralmente maniacale con la quale Dick descrive i deliri attentamente costruiti dei suoi personaggi[1] e la capacità di rendere a distanza di mezzo secolo e più il clima ferocemente, psicopatologicamente anticomunista degli USA di quegli anni.
Un ottimo libro, figlio di un giovane Dick, in qualche modo ancora convinto che la realtà si potesse cambiare con le parole di un libro. Come sappiamo in seguito Dick cambiò modo di vedere il suo e il nostro mondo. Se volete sapere come, potete leggete «Un oscuro scrutare» o «Episodio temporale»[2].

Arrivederci al prossimo giro.

[1] soltanto un piccolo esempio: «”Abolisca le autoradio!” propose Hamilton. Il rumore cessò. “E anche i televisori e i film”[...] “E gli strumenti musicali più economici... le fisarmoniche, i banjo, e le armoniche a bocca”. Quegli strumenti scomparvero in tutto il mondo. “Le scritte pubblicitarie” strillò Joan Reiss […] “Gli oceani” disse Hamilton […] In un ultimo, debole rigurgito di energia, Joan Reiss si sollevò sulle braccia e disse in un sussurro, “Aria!”.

[2] titoli originali: A Scanner Darkly [1977]; Flow my Tears, the Policeman Said [1974]








20.3.13

Quasi un secolo...


A qualcuno debbo averlo detto, credo, Ma forse no.
Che io abbia una certa passione per la fantascienza credo sia ormai assodato. 
Che tra gli autori da me preferiti ci siano Dick, Ballard, Le Guin, Banks, Sturgeon - tanto per citare i primi che mi vengono in mente - credo sia altrettanto noto. Basta cercare gli articoli e le recensioni uscite su LN out-of-print e su LN on line per farsene un'idea. 
Solo che, tra gli altri, io amo anche (e non poco) Jack Vance, tanto da avergli dedicato un articolo/recensione/dichiarazione d'amore sul blog ALIA Evolution. 
Non è che non volessi pubblicarlo qui o su LN, ma non è solo ed esattamente una recensione, quanto un gesto di omaggio da parte di un fan. 
«Io odio i fan» affermò un giorno qualcuno e io mi dissi assolutamente d'accordo. 
Sicché meglio non farlo sapere troppo in giro. 
Fate un salto su ALIA Evolution, ma con aria casuale, quasi assente. 
Mi fido di voi.    

 

19.3.13

Sempre a fianco di Grillology, ovvero, «che fare?»


Oggi non è il giorno del post banale. 
Ciononostante cercherò di adeguarmi al clima generale, affrontando l'inaffrontabile dilemma del governo. 
«Che fare?» scrisse Cernysevskij, evitando così le ore d'aria a -40° nella sua prigionia in Siberia, dove lo Czar l'aveva spedito. Lenin rimase talmente colpito dal personaggio e dall'opera di Cernysevskij da scrivere un libro con lo stesso titolo: «Che fare?».
Li ho letti tutti e due. 
E nessuno dei due mi è in qualche modo utile per commentare la situazione attuale in Italia. 
È probabile che per commentare la situazione politica da noi sarebbe bene non essere italiani. Magari Estoni. O Kazakhi. O Dominicani. O Transnistriani. O Saturniani. Solo così penso che riuscirei a comprendere le discutibilissime mosse del grande partito che ingombra tuttora il nostro orizzonte politico: il PD. Un partito non molto amato, ma che nessuno si decide a buttar via. Più o meno come l'orso di pezza con il quale dormiva da piccola la mia bambina. Grosso come la lei dell'epoca, sul viso un sorriso a labbra strette innegabilmente idiota, una salopette blu su una camicia a quadrettini. Un orso assurdamente padano, ma al quale la bimba era spaventosamente affezionata. 
Noi non si apprezza poi molto il PD, ma si pensa a com'era una volta e non ci si decide a farlo volare nei rifiuti indifferenziati. E facciamo molto male. Ma è così. 
Ma ultimamente qualcuno si è alzato in piedi candidandosi a buttarlo via. Un'organizzazione che di nome fa Grillology. Un'organizzazione che ha come capofila uno che faticava a far ridere nei panni di comico (andate un po' a vederlo su YouTube), in seguito buttato fuori dalle reti di Berlusconi e che adesso, essendo tramontato in quanto showman, si accontenta di vellicare istinti pericolosi e poco urbani. Uno che infila ragionamenti rozzi e approssimativi su partiti, sindacati, statali, euro, UE e il futuro di noi tutti. Certo ha spesso ragione, per quanto mi riguarda, ma che non ha la più pallida idea di come realizzare i suoi sogni. E alza troppo spesso la voce, come fosse contraddetto da qualcuno che non compare mai in scena. 
Provaci te a discutere con uno così. 
Ma l'Italia è messa in una maniera tale che persino gli urlatori lasciano il segno. E anche le eminenze grige con pettinature seicentesche come il Casaleggio, uno con una faccia e un nome altrettanto seicenteschi e un'ambizione da far paura, come del resto Grillo. Sono loro gli inventori di Grillology e sono, come il bocconiano nostro Mario Monti, altrettanto fissati sull'apparire (o il non apparire), come se la politica fosse innanzitutto una rappresentazione, una sfilata, un talk show.  
Ma, un momento. 
La rete del M5S è una rete sostanzialmente territoriale, che opera sulla prossimità, che attrae nuove forze grazie all'impegno locale dei suoi sostenitori. Una rete che senza l'impegno - ognuno lo chiami come preferisce - di Grillo, non avrebbe mai avuto una fisionomia unitaria. E il paragone dei grillini (non di Grillo) con i Grüne tedeschi viene immediato e spontaneo. Un lavoro locale, un impegno politico nato da parole d'ordine nuove, innanzi tutto la compatibilità con l'ambiente e la decrescita felice. Ma questa è la parte più antica del movimento grillino, la sua anima profondamente alternativa, legata - in positivo o in negativo - alla sinistra storica o meno storica italiana. 
Ma esiste anche un'anima "di partito" del M5S, un insieme di militanti sul modello dei capi delegazione di Camera  e del Senato, evidentemente molto assidui nella difesa del movimento. Ed esistono, infine, i nuovi e nuovissimi arrivati, transfughi dal voto a sinistra o dal sostegno a Pdl e Lega. Questi ultimi, in particolare, come scrive «Europa», «Non manifestano [...] nemmeno un grande entusiasmo nei confronti dello stesso M5S e di Grillo, di cui però condividono l’asprezza feroce delle critiche». Queste le tre "anime", tenute unite da qualcosa di più forte dei semplici social networks. Da Grillo e Casaleggio, innanzitutto, e dalla struttura fortemente centralista del partito. Dove per "partito" si intendono i militanti di più antica data, i puri e duri del M5S.  
Che cosa aspettarsi da questo curioso centauro, insieme movimento caciarone che disegna faccine e scrive mi piace, partito della Terza Internazionale e setta Scientology style, Grillology, per l'appunto? E che cosa può sperare di cavarne il buon Vendola e il partito più inconcluso del mondo, il PD? Non facile supporlo. Ma ciò che è avvenuto con l'elezione dei presidenti di Camera e Senato e le reazioni del "partito" - compresa la scelta di un paio di tonton macoute virtuali che avranno il compito di difendere la linea a ogni costo - sono un ottimo esempio di che cosa potrebbe accadere in futuro. Se qualcuno pone il M5S davanti a scelte definitive, quasi elementari nella loro essere evidentemente alternative, il movimento si sfalda, si spezza, va in corto circuito. Le sue anime cessano di comunicare e Grillology si apre come un libro pop-up
Che il PD sia capace di scelte tanto nette è ancora, ovviamente da dimostrare.  Il fatto che in direzione girino tuttora elementi come D'Alema - il comunista frescone preferito da Berlusconi - o Veltroni, famoso per aver mandato al macero più di un milione di voti nel 2006, non lascia sperare troppo bene. 
Ma l'aria è cambiata e per la prima volta da molti anni a questa parte ho qualche piccola, smunta, emaciata speranza. Probabilissimo che venga trucidata non appena esce all'esterno, ma credo non sia male tenere gli occhi ben aperti. 

17.3.13

World music


Jazz, di nuovo o finalmente. 
Il pianista di John Coltrane - al quale dedicherò un post molto presto -, un solista inarrivabile, inventore di un jazz colorato, folle, inimmagibile prima di lui. 
Parlo di McCoy Tyner, autore di dischi come Sahara e Fly with the wind, albi sorprendenti che hanno illuminato il jazz degli anni '70.
...
Avrei diversi pezzi da proporre qui, ma mi limiterò a uno solo che credo possa presentarlo degnamente, il brano che dà titolo all'album del 1976, Fly with the wind, un brano curioso anche per l'uso degli archi e per l'orchestrazione che esprime la world music, tipica di McCoy Tyner.
Particolare del tutto personale: a suo tempo suonavo con un pianista "fissato" con il grande Bill Evans che apprezzavo e apprezzo ma che riconobbe, tuttavia, la grandezza del grande Tyner. Solo che non tentò mai di imitarlo, impedendomi di imitare a mia volta il grande Coltrane... 
Meno male.  
Per tutti. direi. 




15.3.13

Cieloverde



Un racconto pubblicato per la prima volta nel 2006, nell'antologia Fata Morgana 10, «Colori». Un po' troppo lungo per pubblicarlo semplicemente sul blog e che quindi ho pubblicato in forma di .pdf.
La storia è quella di HA, detto Virgola, una piccola chimera genetica, come in questo genere di futuro è piuttosto normale incontrare. In parte bambino e in parte... beh, leggete il racconto se volete saperne di più. Ma attenzione, lo scioglimento dell'enigma è nelle ultime frasi.
Il racconto si svolge in un universo narrativo più vasto, quello dei romanzi brevi «Il perdono a dio» e «Luna lontana», già disponibili in formato .pdf ed .epub e che potete scaricare la link posto nella colonna a sinistra di questo post. Del medesimo universo - o ciclo, per dirlo con un po' di vanagloria - fanno parte altri racconti apparsi in ALIA e due romanzi lunghi, tuttora inediti. Inediti, puntualizzo, il primo perché mai rivisto dopo una stesura che mi ha portato via anni (o molte domeniche pomeriggio, in realtà: lavoro da quando ho 22 anni) e il secondo scritto e rivisto ma impubblicato perché inviato inutilmente al concorso «Urania» nel 2010, dove non è stato nemmeno segnalato. Forse perché troppo lungo. O forse perché giudicato noioso. O forse perché i protagonisti parlavano troppo e quindi il mio «Show, don't tell» era un po' carente. O forse diosolosaperché. Non ho mai chiesto info in proposito e immagino di aver fatto male. 
In ogni caso come si vede non mi sono fermato per questo. 
Si chiama "complesso del Concorde" e consiste nel dedicare troppo tempo e troppa fatica per non ottenere risultati.
Ma i lettori , anche pochi, possono far contento uno che scrive. 
Quindi, per leggere il racconto  - 12 pagine- vi basterà

 
buona lettura!



14.3.13

Intervallo


No, non aspettatevi la passacaglia di Haendel le vedute B/N di ridenti località italiane dei tempi del Duce.
«Intervallo» significa soltanto che almeno per oggi questo blog non farà altro che fare il ponte verso ALIA Evolution (che non si è spostata, è sempre qui, a sx) dove ho appena pubblicato un breve, brevissimo articolo su uno scrittore, disegnatore, scultore e diosolosacosaltro: Fabio Lastrucci. 
Potevo far finta di nulla se uno scatenato Nick, nel nome della sua napoletanità da esiliato, va a intervistare uno degli autori della leggendaria ALIA? Potevo? No, non potevo. 
Ovviamente, dal momento che il mio ben noto e famigerato SuperIo non mi accompagna nelle mie incursioni su AE, è possibile che mi sia macchiato di numerosi peccati, come risultare eccessivamente sentimentale, sdolcinato, patetico, imbarazzante, commiserabile... 
...
O forse no. 
Io comunque andrei a controllare. 

 

13.3.13

Un post banale. Alla maniera di AB


Un uomo. 
Avrei anche potuto metterci un gatto, certo. 
Un gatto nero. O a righe. 
Ma sarebbe stata una storia per bambini e non è facile scrivere una storia per bambini. 
I bambini non se la bevono. 
Si stufano di tutti questi ritorni a capo. Di tutte queste frasi brevi come un temporale udito da una cantina.
Un uomo, dicevo. 
Stanco, disperato, innamorato. 
Di una ragazza semplice. Polly. 
Il nome completo era Pollyanna, ma aveva scelto di farsi chiamare Polly invece che Anna. Il che dà l'idea di che tipo fosse
Una donna breve, come un fulmine visto attaverso un vetro sporco. Cioé sempre da una cantina. Come il temporale. 
Poi mi verranno altre metafore. 
O metonimie
O zeugmi. 
Per il momento rimango lì. Mi piacciono i temporali. 
Da piccolo mi rifugiavo in cantina, convinto che un fulmine mi avrebbe colpito. Altrimenti.  
Intanto abbiamo un uomo, quarant'anni mal portati, la barba fatta senza cura. Come di chi si odia. Mi piacciono i personaggi che si odiano. Puoi lasciare le frasi sospese e i lettori si immaginano da soli le conclusioni. Così non rischi di fare qualcosa di sbagliato. Qualcosa che poi il lettore si stufa. 
No, niente di sbagliato. 
Era innamorato di Polly. Una che rideva, scherzava, appariva e scompariva. Un arcobaleno disegnato in cielo. Dopo il temporale
Una donna rapida, una donna breve. 
Un viso sottile, da giovane volpe. Un sorriso. Immutabile. Inestirpabile. Da completa idiota
Ma l'Uomo l'amava. E si odiava. Si odiava per quello. O per questo. Beh, fate un po'. Voi.
La sera precedente l'aveva amata
In cantina, durante un temporale.
Tra le ragnatele e i giocattoli dimenticati da un bimbo. 
Tuoni e respiri, trascinati via dal vento. 
Non male questa.
Respiri e tuoni, dispersi dal vento. 
Ama Pollyanna? 
Non saprebbe dirlo
Sa per certo che in una scuola di scrittura creativa non gli avrebbero mai passato una protagonista con quel. Nome. 
Ma la vita è la vita è la vita
Nulla a che vedere con una narrazione. 
Con un foglio di carta riempito di minuti, sottili segni azzurri. Bagnati dalla pioggia rabbiosa di un temporale.  
Sempre lo stesso
A me le idee rendono
E non ne spreco più di una per un racconto breve .