25.8.19

Il Mare Obliquo 29

L'ospitalità del Cavaliere di Vandel è sicuramente delle migliori, ma un'incomprensibile minaccia incombe sul suo castello e sulla gente di Audiebarr. Usif-Lizhi e gli altri scopriranno presto di che cosa si tratta.
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Attraverso i vetri dalla grande sala, lavorati per assumere un aspetto simile a quello della superficie di un limpido ruscello, la luce chiarissima dei fulmini si sovrappone a quella tiepida delle candele e del camino, trasformando per un istante i volti dei convitati in marmo sbozzato da uno scultore frettoloso.

– Brutta notte, mio Signore. – Commenta il Cavaliere di Vandel rivolto al Duca Kwister, intento a terminare la propria porzione di cinghiale, generosamente annaffiata del buon vino verde del Lodhlen.

– Non oso pensare alla nostra miserevole sorte senza la vostra magnifica ospitalità, cavaliere. Un'ospitalità ben protetta, noto.

Il Cavaliere distoglie lo sguardo di scatto per tornare un attimo dopo a fissare il lupo-drago cercando di celare l'imbarazzo.

– Strani fatti, Duca, mi obbligano a difendere così me stesso ed i miei ospiti.

– È curioso e singolare che i vostri armigeri si trovino nella cinta più interna delle mura, cavaliere. Così è bizzarro e mai citato in alcun trattato di arte militare che essi sembrino voler impedire a qualcuno di uscire piuttosto che ad un invasore di entrare. Non siete d'accordo?

La voce del Barone Enklu non lascia trasparire né tensione né timore enunciando quel semplice dato di fatto. Terminato di pronunziarla il Lupo-Drago compie un cenno leggero indirizzato ad uno dei coppieri schierati alle sue spalle che accorre per riempire il suo bicchiere.

Il Cavaliere per qualche attimo non risponde, limitandosi a guardare davanti a sé con la fissità del malato. – Signori, voi domani potrete riprendere il vostro viaggio. Perché interessarvi di ciò che avviene nelle mie povere terre?

La voce del nobile è appena udibile e quasi solo Usif-Lizhi è riuscito ad udirla nel gruppo di ospiti e dignitari.

– Cos'è accaduto al vostro villaggio, Cavaliere, che molti di noi ricordano felice e protetto da divinità benigne? – Domanda il Notturno.

– Siete proprio sicuro di volerlo sapere, mio gentile ospite?

– Ho veduto tali cose venendo fino qui, che altre non credo potranno ancor più colpirmi. – Replica tranquillo Usif-Lizhi.

– Ebbene… Ebbene. Sapete voi quanti abitanti conta Audiebarr?

– Circa duemila, Monsignore. Vi sono stato altre volte per commercio. – Dichiara Noro Eban.

– Vero. E sapete quanti di loro vivono ancora nel Villaggio? Dodici, non più di dodici. Parte degli altri è fuggita verso le piane del Quym e parte vive ora qui, nella rocca.

– Quali strani eventi sono accaduti per spiegare un tale esodo? – Chiede il Duca Kwister.

– Strani eventi… Molto strani. – Il cavaliere è interrotto da un fulmine più forte mentre il suo sguardo vaga sui volti rigidi e silenziosi dei dignitari di Audiebarr. – Molto più che strani! Ma tra poco saprete, oh se saprete! 

 

Il gruppo di ospiti, ubbidendo ad un impulso comune risvegliato dalle parole del Cavaliere, si volge a guardare verso le finestre sulle cui superfici brilla debolmente il riflesso delle candele, come se appena oltre esse sostasse una processione di spettri.

– Volete essere così cortese da spiegarvi meglio, cavaliere? – Interviene il Duca Kwister, lasciando trasparire l'impazienza e l'esaperazione.

– Non è ancora ora, Duca. Ma sapete voi cos'hanno in comune gli ultimi che ancora popolano le case vuote di Audiebarr?

– Non lo so, ovviamente.

– Una debolezza, una mancanza forse? O forse una bizzarria? – Ipotizza Usif-Lizhi. – Qualcosa che può colpire o rendere diverso un uomo su venti. La cecità forse o qualcosa del genere?

Il cavaliere di Vandel annuisce di scatto. – Mio Signore certo voi siete degno della fama di cui gode il vostro popolo. Si tratta della sordità. Gli unici a vivere ancora nel villaggio sono i sordi ai quali quanto avviene ogni notte alla medesima ora non può recare alcun danno.

– E immagino che i soldati stiano sui bastioni per impedire agli altri abitanti o a voi stessi di uscire dalla rocca, sebbene qualcosa vi spinga disperatamente a farlo. – Continua il Notturno, mentre Kirzil Pennarossa lancia un'occhiata di profondo compiacimento a Share Harvaiun seduto di fronte a lui.

– Qualcosa? Ma voi non potete immaginare Cosa, mio signore. La più orribile sinfonia di pianti e di richieste di aiuto, nata dalla dalla gola stessa dei Demoni del Mondo-Oltre-L' Orlo… Urla di bimbi, lamenti di donne, di vecchi e di giovani, voci che chiamano ognuno di noi per nome, che implorano il nostro aiuto con le voci più care di coloro che non vivono più sotto questo sole… È quanto di più orribile voi possiate immaginare. E la sorte di coloro che escono dalla rocca non è certo migliore. Richiamato da quelle parole, dall'illusione di rivedere i cari volti perduti ognuno insegue ombre senza forma e senza colore fino a cadere nel torrente o a trovare la morte nei modi più strani e incomprensibili, incitato dagli accenti struggenti e pieni di speranza di quelle voci…

Il cavaliere fissa senza vedere, uno dopo l'altro, i presenti, scuotendo a tratti il capo convulsamente, come se uno sciame di zanzare lo perseguitasse. – Non esiste tortura più intollerabile e sottile, nulla di più inumano. Più volte sono stato tentato di abbandonare la rocca e queste terre pur di non udire più o di divenire io stesso sordo e poter riprendere una vita normale in un mondo che sembra non avere più equilibrio.

– Ed i vostri soldati? – Chiede la Fata Mahaderill. – Sono forse sordi?

– Essi hanno le orecchie sigillate dalla cera e solo così possono resistere all'esterno. In questa sala le voci giungono attutite, ma altrove nella rocca sono forti come venti di tempesta ed altrettanto terribili.

– Questo ci rincuora un poco, cavaliere. Ma potete dirci quale sarebbe stata la nostra sorte se fossimo rimasti all'esterno, questa notte?

La risata del cavaliere giunge tanto inaspettata quanto assurda nel clima teso e silenzioso della sala, facendo sussultare i presenti. – La vostra sorte…Vagare fino a morirne, inseguendo un'illusione, ognuno la propria, così come si dice sia caduto l'esercito di Re Harmiden nelle Selve del Nord, vinto dai miraggi del gelo.

– E quale ritenete sia l'origine di quanto avviene, cavaliere? – Chiede Usif-Lizhi.

– L'Origine? E quale può essere la ragione di un simile abominio? Il mio mago personale, Symenn, prima di affogare nel pozzo di una fattoria del villaggio, cercando di trovare tale ragione, ha parlato di una grande Ombra proiettata sul Mondo da un'altro Mondo. Chi si trova sotto quell'ombra non può più discernere ciò che è vero da ciò che non lo è e deve perire schiavo alle proprie fantasie. Ma tale sua teoria non ha potuto avere nessuna conferma… O forse l'ha avuta. – Il cavaliere di Vandel ride ancora mentre un'altra saetta si abbatte su uno dei tetti metallici della rocca, donando alla sua risata acute risonanze metalliche.

– Ho udito anch'io parlare di quell'Ombra. – Dice la Fata Mahaderill, subito dopo che si è spento l'eco della voce del Cavaliere. – E noi fate possiamo sentire che in qualche modo l'equilibrio del mondo si è spezzato e che esso ora somiglia ad un carro al quale il mozzo di una ruota si sia spezzato e i cui giri sempre di più lo conducono verso la rovina. Ma nessuna di noi riesce ad immaginare quale sia il rimedio. I Silvani parlano di una minaccia che ciclicamente si abbatte sull'Orlo del mondo, della quale solo loro conoscono natura e significato, ma più di questo non so dirvi.  


Richiamata dal riferimento ai Silvani l'attenzione di tutti e per prima quella del cavaliere si appunta su Khude il Silvano che ha finora udito senza parlare le conversazioni a tavola.

– Quale sarebbe tale teoria, mastro Erbano? – Gli chiede.

– Io-Noi non abbiamo teorie, signore. Semplicemente vediamo e sappiamo e non è facile raccontare con le vostre parole ciò che Io-Noi vediamo tanto bene quanto voi potete vedere la vostra mano o l'orlo ricamato della vostra veste.

– Suvvia, fai almeno uno sforzo. – Lo incita il cavaliere, preso da una strana animazione.

Khude lo osserva per un attimo con un'espressione che si sarebbe detta di pena o di paura. – Due mondi si disputano la nostra sostanza. – Inizia a dire. – La sostanza di tutto ciò che vive che è, con i suoi ritmi, tutto quanto vedete intorno a voi, animali, piante e rocce…

– Allora, vai avanti su! – Lo incita il suo interlocutore.

– Ora il Kadh è qui. – Risponde il Silvano.

– Cosa dici, cosa dici allora? – Continua il cavaliere che si alza per scuoterlo. Ma il suo gesto non termina, interrotto da un rumore simile ad un lungo sospiro che attraversa la sala come un'onda increspa l'orlo delle acque.

– Le voci, sono le voci! – Urla. – Ascoltate, miei signori e resistete loro se potete.

Khude il Silvano sbatte con le lentezza le palpebre ed annuisce impercettibilmente. Il Kadh è confusione, illusione: egli ben lo conosce e pur temendolo non prova paura. La fata Mahaderill stringe i pugni e punta lo sguardo verso le finestre i cui vetri tremano delicatamente nelle intelaiature metalliche, come scossi dal vento. La sua magia, leggera ed insieme solida come seta la protegge da quell'assalto restituendo le voci alla loro vera sostanza di rumori disordinati e metallici, come pentole e paioli sbattuti con violenza a molta distanza da lì.

Gli altri convitati, rigidi sulle sedie, si voltano di scatto, sicuri che una voce familiare li abbia chiamati, si guardano intorno con espressione rabbiosamente sorpresa, sapendo di vivere un'illusione, ma senza riuscire a resistervi. Già qualcuno si alza, con movimenti incerti e sognanti, come un sonnambulo o un uomo colpito da un attacco di malaria.

I soldati del Cavaliere di Vandel si affrettano a chiudere le porte del salone e alcuni corrono a porsi davanti alle finestre. Solo seguendo meccanicamente quel gesto Usif-Lizhi, alle cui orechie, nitida e distinta come se ella giacesse tra le sue braccia giunge la voce di Adwina, si rende conto che i vetri delle finestre non rispecchiano più le luci della sala, come se il vetro avesse cambiato sostanza e natura, tornando opaca roccia. Aggrappandosi a quell'esile filo il Notturno si alza barcollando, senza che nessuno dei convitati, ciascuno preda del suo personale ricordo, dia segno di vederlo. Si avvicina ad una delle finestre, dove un paio di soldati fanno buona guardia per impedire a chiunque di scendere in cortile passando per quella via.

Giunto ad un paio di metri da essa il Notturno si irrigidisce e cerca di mettere a fuoco lo sguardo. Nella sua mente il dolce richiamo di Adwina si è trasformato in una disperata richiesta di aiuto. Con sgomento il Notturno di accorge di aver semiestratto la spada dal fodero, evidentemente animato dall'intenzione di uccidere chiunque si frapponga tra sé ed il suo desiderio.

Con un gesto lento e penoso Usif-Lizhi spinge nuovamente la spada nel fodero e rivolge un cenno ai due soldati che avevano già posto mano alle proprie.

– Voglio solo guardare… – Spiega il Notturno. – Da …qui. –

Le luci delle candele non sono scomparse, si rende conto il Notturno dopo pochi attimi di osservazione, ma esse non cadono più direttamente sulla superficie lucida del vetro, come se la luce non procedesse più come una freccia lanciata diritta davanti a sé, ma seguendo una strana, impossibile curva. Il Notturno respira profondamente e affonda lo sguardo nella superficie buia del vetro. Infinite linee sottili e scure, dall'andamento caotico come l'acqua in un gorgo, sembrano formare quel buio, come se una vita incomprensibile ed oscura lo animasse.

Usif-Lizhi chiude gli occhi di scatto per resistere a quel moto ipnotico ed ha la spiacevole sensazione che il buio creato dalla sue palpebre chiuse abbia acquistato la stessa sostanza. La voce di Adwina nelle sue orecchie si è fatta un unico, infinito urlo di angoscia disperata e per un attimo il Notturno sente l'invincibile impulso di scagliarsi contro i soldati e correre, correre a perdifiato per salvarla.

Una saetta caduta appena oltre la torre che domina la Rocca, illumina per un istante la sala e la sua luce abbagliante si frange su muri e corpi secondo angoli e disegni bizzarri, come se provenisse dai muri o dai corpi dei convitati. Il fragore del fulmine si è sovrapposto per un istante alla voce di Adwina e in quell'attimo la sua mente sovraeccitata è riuscita a separarla dalla vera sostanza di quel suono, più simile all'insopportabile cigolio di un meccanismo arrugginito che ad una voce umana.

Ed ora Usif-Lizhi si rende conto di non riuscire più a udire la voce di Adwina, ma solo quell' insopportabile frastuono. Incredulo il Notturno si accorge che, come in certi dipinti molto apprezzati dal suo antico maestro, le due forme di suono coesistono come in un'illusione nella quale è impossibile vedere contemporanemente due forme disegnate dallo stesso insieme di linee. 

 

Rincuorato Usif-Lizhi torna a fissare il paesaggio inquadrato dalla finestra: oltre l'intrico caotico di linee scure vede gli alberi che circondano la rocca. Essi si muovono furiosi come antichi guerrieri, circondati da un'oscurità solida e minacciosa che momento dopo momento rischia di sopraffarli. Spontaneamente con lo sguardo cerca il volto di Khude, che se ne sta in un angolo della sala, immobile.

Il silvano tiene gli occhi serrati e qualcosa nella sua espressione suggerisce una fortissima concentrazione, come se anch'egli si trovasse fuori di lì, a combattere a fianco dei fratelli immobili.

Un gesto improvviso e violento del Silvano lo fa sussultare. La Cosa, qualunque sia stata la sua natura è finita. Il notturno si guarda intorno stordito: il primo di cui incontra lo sguardo è il Duca Kwister che si scuote come un cane bagnato e mormora: – È finita.

Usif-Lizhi annuisce.

– Ho udito la voce dei miei Marr che chiedevano il mio aiuto. – Il Lupo-Drago si porta una mano all'orecchio, incredulo. – Come se fossero in questa sala.

Il Notturno chiude gli occhi e fa un cenno di assenso. – È stato terribile. –

– Allora, gentili ospiti, cosa ne dite dell'ospitalità della mia rocca?

Kwister e Usif-Lizhi si voltano di scatto, colpiti dalla strana intonazione del cavaliere di Vandel. Un largo sorriso accende il suo volto, pallido come quello di una statua. – La voce questa volta non mi ha abbandonato, miei signori. – Annuncia il cavaliere. – Egli ora è con me. Con me per sempre. Bevete, bevete con me per festeggiare. Siamo ancora uniti, uniti per sempre.

Negli occhi dei dignitari di Audiebarr vi è una strana luce, una consapevolezza terrorizzata, come se tutti loro avessero temuto quel momento ed insieme avessero saputo che sarebbe infine giunto.

– Edeil è di nuovo con me, signori miei, e stavolta nessuna malattia me lo toglierà… Bevete, bevete con me, presto. – Grida il cavaliere, senza smettere di ridere. – Khude, la tua minaccia mi ha riportato colui che più amavo ed ora per me il mondo che era divenuto un crudele circo ha nuovamente un senso. Bevete, bevete, beve…

Ripete per l'ultima volta il cavaliere di Vandel, prima che il suo sguardo fisso si incrini ed egli cada a terra di schianto.


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