5.10.18

Calibano: leggere attentamente avvertenze e modalità d'uso

Leggere attentamente avvertenze e modalità d’uso
 

Un romanzo come si deve, anche se scritto in italiano, deve avere perlomeno un protagonista, meglio due. Al corrente di questo semplice segreto del mestiere, ho già sottomano il tipo adatto.
Si chiama Edoardo Brizzi, nome non particolarmente significativo, lo ammetto, ma non privo di risonanze primo novecento.
Chiamato E. per comodità, Edoardo è un giovane magro e disordinato, di un sei-sette centimetri troppo alto per i suoi gusti, segregato dietro un paio di occhiali dalla montatura nera di plastica stile Clark Kent, normalmente abbigliato con jeans troppo larghi e dal cavallo calante come un sax scordato, magliette e felpe con scritte del tipo “Minnesota University”, “Beach Windsurfer”, “The best Scandinavian Maelstrom” e “Don’t worry, be happy”, accompagnate da cartine geografiche di paesi inesistenti o da disegnini di cicloidi accigliati o sorridenti.
Il suo guardaroba consta inoltre di un paio di k-way strappati sotto l’ascella per la mezza stagione, un montgomery del peso secco di ventidue chilogrammi (gli alamari sono di acciaio, signora. Durano di più) e una maglia Aral allungata dai ripetuti lavaggi fin quasi alle ginocchia (altezza di E.: un metro e settantanove).
Non si ama molto E. – l’avrete capito – si appende la roba addosso a casaccio, usa troppo la macchina e quando cammina striscia lungo i muri come Fra’ Cristoforo prima della conversione.
Ha capelli scuri e dritti, particolarmente al risveglio, mento scarso e collo lungo. Mastica cingomme o golia, ostenta sopracciglia folte ed aggressive e visto di profilo senza occhiali assomiglia vagamente all’ Anthony Perkins di Psycho.
Lo conosco da quando era alto così, quando mi dava fastidio vederlo viaggiare tra le mie cose da adolescente superimpegnato con i suoi pantaloncini corti e l’espressione a metà tra il rapace e lo stupefatto.
Interpellato sulla possibilità di diventare il personaggio principale di un romanzo scritto da un esordiente, ha avuto una strana reazione, a metà tra la diffidenza e la curiosità vanesia.
La vanità ha avuto partita vinta dopo una breve intima colluttazione ed ha accettato, probabilmente chiedendosi quale recondito lato di lui avessi colto.
Fortunatamente ha tenuto la domanda per sé: non avrei saputo cosa rispondergli.


Molti, a volte anch’io, lo considerano un vero cretino, ma è un giudizio parziale e ingiusto.
Tanto per cominciare Cretino non è una parola semplice, un insulto svagato, anonimo, tipo cornuto o figlio di Madre Ignota. No, Cretino vanta un etimo medieval – franco – chiesastico di tutto rispetto. Chretien, cristiano, si diceva degli scemi del villaggio, cioè di coloro che avendo incontrato da qualche parte il Supremo in persona avevano visto il proprio lumicino evaporare di fronte alla soprannaturale potenza celeste. Questo severo concetto di Dio, in nulla simile alla divinità pantofolaia e bretellona dei catechismi moderni, è quindi decisamente inadatto per definire i limiti intellettuali di chicchessia.
E poi la parola cretino mal rende la particolare qualità della stupefazione di E., una sorta di innocenza distratta e sognante, grazie alla quale capiva gli insulti una volta arrivato a casa da scuola e congegnava brucianti risposte la sera prima di coricarsi.
Magari scemo allora? Non va bene scemo?
No, il limite principale di E. non è la povertà ma l’eccessiva ricchezza intellettuale, le invadenti fantasie a ciclo continuo che provocano un ritardo costante nel suo contatto con la realtà.
La famiglia – tranquilla e operosa famiglia italiana, di quelle che non partecipano ai telequiz perché si vergognano e s’indignano davanti a corruttori e concussori – è ben conscia di questa caratteristica dell’unico figlio ed ha sempre preferito glissare, parlando prima di ingenuità e di candore infantile, poi di difficoltà di inserimento e di compagnie sbagliate, infine di simpatica immaturità.
Zitto zitto E. si è fatto tutte le sue scuole, navigando tra il sei e il sette e alla fine si è persino laureato con una tesi su Lino Aldani, Roberta Rambelli e la Fantascienza italiana anni ‘50 / ‘60.
Gli hanno dato due punti giusto perché meno di così non si fa.
Quando i suoi erano più giovani e avevano ancora voglia di parlare di lui hanno trascorso interminabili serate con i pochi amici a ricordare nonni zuzzerelloni e possidenti, ortocugini troppo studio/seriosi successivamente meningitici, traditi dalle mogli, invertiti o brigatisti, nonché sperduti zii imprevedibilmente brillanti, matti e sognatori ma fondatori di fiorenti imprese.
Qualche volta sono anche riusciti a convincersi.
Ma E. non sta più a sentire.
Si è stufato di queste riunioni piccoloborghesi fin dall’età di anni 6, anche se tuttora – anni 27 compiuti – non riesce a disincastrarsi dalla dolce sicurezza della famiglia. Come un adolescente è ancora impantanato tra la sua cameretta ed il bagno odoroso di lavanda dei genitori, dove, ormai abulicamente, reitera il suo peccato solitario al cospetto di imponenti foto di modelle dai seni e visi anonimi ma in possesso di un invadente, minaccioso pelo pubico.
Ognuno in campo sessuale ha diritto ai propri gusti, ma E. vive con un doloroso senso di colpa questo risvolto segreto della propria vita, nel quale la miopia ed una mentalità scientifica degna di un Van Leeuwenhoek si rinforzano a vicenda. Sospinto dalla sua bizzarra perversione ansima su ingrandimenti al limite dell’incomprensibilità, vicini alla foto aerea di zona boschiva virata seppia, come se la risposta definitiva alle sue pulsioni lo attendesse oltre un certo grado di risoluzione.


Mamma e papà non ignorano la peculiare predilezione del loro rampollo ma non confrontano mai le loro conclusioni in proposito per l’invincibile imbarazzo che li frena, lo stesso che ha impedito loro di provvederlo di una sana e completa educazione sessuale.
Si limitano ad un falso disinteresse, chiedendosi sgomenti prima di dormire se non sia il caso di provvedere al figlio un sollievo carnale mercenario in carne ed ossa prima che la sua libido distorta lo spinga ad abominazioni da rotocalco popolare.
– È un ragazzo che non dà preoccupazioni – dice abitualmente mamma. Ha un modo secco e rassegnato di dirlo.
– Sì, ma forse.
– È ancora giovane, deve solo trovare la sua Strada – ripete mentre papà, già parzialmente addormentato, immagina la Strada di E.. La immagina sterrata, fiancheggiata da foto ad ingrandimento crescente di intimità femminili e di sorridenti ritratti di calciatori con nome e ruolo scritto in basso su campo giallo. E. la percorre in Fiat 500 bordò a velocità crescente sbarrando gli occhi, come fa sempre quando non capisce qualcosa, fino a schiantarsi, lui e la sua vetturetta, contro un altissimo muro che riproduce le fattezze di Nostradamus nell’atto di degustare una coca-cola.
A quel punto della visione papà brontola, si solleva dal guanciale, cerca di ravviare il contingente simbolico di capelli che gli presidiano il cranio e legge un paio di pagine di un giallo, possibilmente molto violento e sessualmente torbido .
I calciatori nella visione del padre ci sono perché E. – come molti ragazzi – ha intensamente amato il calcio.
Ho ancora da qualche parte alcune sue foto nella squadretta del liceo, foto di cadute, falli, sgambetti e di occhiali con le stanghette assicurate con l’elastico finiti chissà dove.
Vieni a vedermi, a fare il fotografo a fondo campo? Andavo sbuffando, ma lui ce la metteva proprio tutta e alla fine dovevo anche consolarlo.
Come molti si è accontentato di raccogliere le figurine dei calciatori, allargando il suo interesse anche ai campionati anteguerra e alle eterne riserve che appiccicava nei posti di titolari con una specie di cupa voluttà rabbiosa.
Metteva Bencivenga o Chissachì – io non sono preparato come lui – centravanti della nazionale Campione del mondo e buttava Paolo Rossi in pattumiera. Alle volte a qualcuno disegnava gli occhiali con la biro blu.
Più recente è la passione per l’occultismo ed i fenomeni paranormali. E. possiede tutti i volumi pubblicati dalle edizioni Sinistro Presagio, specializzata in Narrativa fantastica seriale, Rivelazioni Ultime, Visioni Ultraterrene, apparizioni di UFO, Madonne, Angeli, Demoni, Elfi e Coboldi, Satanassi, Spiriti malefici ed inquieti ed infine profezie agghiaccianti. 



Curiosamente la sede legale delle Edizioni Sinistro Presagio S.R.L. risulta essere a Behemoth, pianeta Gomorra, particolare del quale nessuno si è mai accorto. Nessuno legge mai i “finito di stampare” e i “Proprietà letteraria riservata”.
Questa circostanza è però estremamente importante per il seguito della nostra storia, dal momento che sia Behemoth che il pianeta Gomorra, come pure il sulfureo proprietario della casa editrice, non sono una simpatica bizzarria ma solida realtà.
Sarà bene chiarire, a questo punto, che la fame di notorietà e lo smodato desiderio di essere rispettato ed amato non mi hanno corrotto fino al punto di nascondere qualche particolare fondamentale al protagonista del romanzo.
Infatti E. ha ricevuto le informazioni necessarie e le istruzioni relative al suo comportamento sotto forma di un biglietto succinto ma chiaro che ho provveduto ad attaccare personalmente con un pezzo di scotch sul cruscotto della sua 500, insieme a cinquanta sacchi per le sue piccole spese (un numero di Macrosesso, una capricciosa con un amico e il saggio i messaggi infernali vol.3°, sottotitolo: «come Satana vi parla attraverso i dischi di dj Francesco»).
Il fatto che il biglietto si sia staccato, sia stato calpestato dalle scarpe infangate di Armando Gerbone, amico d’infanzia di E., e in seguito abbandonato nel cortile della di lui casa per poi finire nel bidone della scala A del condominio “Serenità”, dovrebbe spingere a meditare sui molti aspetti della casualità e suggerirmi di cambiare marca di nastro adesivo.


Intanto (nel romanzo) un E. ignaro del suo destino, ma felicemente sorpreso per il cinquanta – quello sì rimasto attaccato al cruscotto – dopo le spese di cui si è detto ha pensato bene di andare a leggere il pregevole volume e a dare una golosa occhiata all’opuscolo scientifico nella calma della sua piccola auto, parcheggiata in qualche viottolo particolarmente squallido della periferia, possibilmente nei pressi di una discarica abusiva.
Individuato il sito E. accende l’autoradio sintonizzandola su radio Ultimo Sigillo, dove una voce nasale sta leggendo un elenco di apparizioni. Allunga le gambe, si gratta il naso ed estrae dall’involucro di cellophan il rotocalco, con uno sguardo che farebbe piangere la mamma.
E noi qui lo molliamo, un po’ perché non è bello spiare l’intimità di qualcuno, un po’ perché sull’argomento ne sappiamo già abbastanza, infine perché succede ben poco nella prossima mezz’ora e nè io nè voi abbiamo voglia di stare qui a contemplare la 600 bordò di E. o a litigare con le pantegane che allegramente popolano la scena. E già che di pantegane si parla…

2 commenti:

Nick Parisi. ha detto...

Già il fatto che somigli ad Anthony Perkins e che conosca di fama Roberta Rambelli me lo rende simpatico.

Maxciti ha detto...

@Nick:sono sempre io, nonostante il diverso nome. Ti rispondo via telefono, il che credo ti darà un'idea di come vanno le cose qui... Diciamo che hai fatto bene a stare a casa 🤔. Per tornare al blog sono contento che È. - in realtà il ritratto di un collega di università - ti sia risultato simpatico. Sarà molto presente nel romanzo 👍