31.7.19

Il Mare Obliquo 25

Klog e i suoi compagni sono ora ospiti dei Notturni del grande castello. Qui incontrano un Neek, ovvero uno degli ultimi a essere nati da un nottturno e un umano. E qui a Klog accade di vivere un incubo particolarmente angoscioso.
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– Ha funzionato. – Commenta Fahgön. – Un oggetto veramente utile.
Dall'altra parte del ponte un vasto atrio illuminato dalla fioca luce delle candele li attende e non appena l'ultimo di loro ha superato il limite del crepaccio, la porta di pietra torna a chiudersi lentamente.
– Eccoci in trappola come topi. – Dice a bassa voce Matushka guardandosi intorno.
Sul fondo della vasta sala un'ampia scala di pietra scura sale verso altri appartamenti. Un corrimano di metallo bruno fiancheggia i gradini che procedono con un ritmo di sette, interrotti da un gradino più ampio dove complicati sostegni decorati con motivi a mezzaluna sorreggono grandi lampade ad olio.
– Belli, belli ma un po' tetri. – Commenta Plinio, volgendo poi gli occhi verso l'alto ad ammirare l'alto soffitto a cassettoni, dove si ripete con piccoli cerchi e semicerchi d'argento e d'oro brunito lo stesso motivo dei cicli lunari.
– Indubbiamente si tratta di Notturni. – Commenta Basso Okme. – Probabilmente una delle famiglie più antiche di quel popolo.
Un leggero movimento al vertice della grande scala, dove essa scompare nell'oscurità richiama l'attenzione di tutti.
– Eccoli…– Sussurra Matushka.
Le creature che vengono ad accoglierli sono due, procedono con molta lentezza e dignità, scivolando nascoste da grandi e leggeri mantelli. Una volta giunti quasi al termine dei gradini si fermano ad osservare i visitatori, illuminati dalla luce delle lampade ad olio.
Si tratta di due Notturni molto anziani, dal corpo esile e dalla carnagione tanto chiara da essere quasi trasparente.
– Siete voi dunque maghi, musicisti o entrambe le cose? – Li apostrofa uno dei due, immobile come una statua.
– Rechiamo con noi un oggetto magico capace di suonare per tutti coloro che lo ascoltano, cortesi Duhit-Uin. Che la Luna guardi i vostri passi e che la brezza sia tiepida e risvegli i vostri ricordi più belli.
Klog guarda con ammirazione Matushka, chiedendosi dove mai la piccola volpe abbia imparato quelle formule di cortesia, evidentemente gradite ai Notturni, creature notoriamente formaliste.
Il Notturno che sembra più anziano approva con un breve movimento della mano, fine come una delicata scultura. – I motivi di svago sono così rari in questi tempi, gentili tiiunnh che siamo ben felici di invitarvi a trascorrere la notte che sta per sorgere nella nostra residenza.
Con un cenno i due notturni indicano la scala e si volgono per precederli. Con un cenno molto meno raffinato Matushka invita la compagnia a salire i gradini seguendo i due Duhit-Uin che procedono quasi danzando, dando la sensazione di non sfiorare neppure la pietra di cui è fatta.
Al termine della scala procedono lungo un ampio corridoio illuminato da piccole lucerne che sprigionano una luce azzurra simile ad un riflesso di luce sul fondo di un lago. Sulle pareti sono appesi ritratti di altri notturni, alcuni in abiti dotati di alti collari rigidi che rendono i loro visi ancora più sottili e delicati, pochi altri dipinti con indosso splendide armature decorate con il motivo della luna crescente, altri ancora con grandi cappelli dalle strane forme geometriche. Klog guarda con uno stupore moltiplicato da una leggera sensazione di allarme gli splendidi quadri e la fredda, geometrica bellezza delle decorazioni delle lampade. Lo stile, la forma sembra essere ormai l'unica sostanza di quello strano popolo, divenuto ormai la spoglia vuota di se stesso.
Nel corridoio, dal pavimento a grandi rombi di pietra nera incorniciata da sottili filamenti d'argento, l'aria sembra ancor più sottile che all'esterno ed i rumori risuonano ovattati, come se provenissero da una grande distanza.


– Allora, miei gentili Tiiunnh, quale raggio di Luna vi ha condotto in questi luoghi così appartati? – Domanda il secondo Notturno, una gentile Duith-Uinn dalla voce profonda e carezzevole, ricca di originali risonanze che ricordano le note più basse di un'arpa.
Comodamente seduto su un ampio divano, più simile ad un grande cuscino per metà adagiato alla parete, Klog tossicchia e riporta gli occhi sugli squisiti ospiti dopo essersi concesso un lungo esame delle stanza e dei suoi arredi, giungendo ad una conclusione lusinghiera in merito all'antica civiltà dei Notturni.
– Mi perdonerete Duith-Uinn se prima di rispondervi impiegherò un po' di tempo per lodare la bellezza della vostra rocca. Ho veduto molte auguste dimore nella mia vita, soprattutto quando giravo per le Rocche del Palediun con la Compagnia di Mastro Primo Corak, mi sia concesso dirlo un volgare sfruttatore ed imbroglione, ma raramente o forse mai ho veduto tanta bellezza insieme austera e suggestiva.
I due Notturni accettano il complimento con un cenno del capo molto misurato e dopo un conveniente istante di attesa è lei, Tianin, a percuotere delicatamente un piccolo campanello di cristallo creando una nota leggera e persistente, come se fosse l'aria stessa a cantare.
Da una porta posta sul fondo dell'ampia stanza una terza creatura fa il suo ingresso. I suoi occhi non brillano come quelli dei notturni ed i suoi movimenti non sono altrettanto eleganti e sorvegliati, in compenso la sua figura, altrettanto sottile e magra, lascia trasparire vigore ed impazienza, mitigate da una sorta di incertezza trasognata, come se la mente di quel terzo personaggio fosse assorta in tutt'altri pensieri.
– Gentili Tiiunnh, vi presento nostro nipote, Gudre-Yinnu. – Annuncia Huighian, compagno della bella Tianin.
Klog e gli altri lo osservano con attenzione e ricambiano il profondo inchino del nuovo arrivato.
– Un Neek. – Esclama a voce bassissima Matushka guadagnandosi un'occhiataccia di Plinio.
– Esatto, proprio di un Neek, un mezzosangue si tratta. – Interviene Tianin, distante alcuni metri dalla piccola volpe. – Gudre-Yinnu è ben conscio di questo e certo non se ne sente sminuito.
– Perdonatemi, ve ne prego. – Matushka volge lo sguardo per un attimo verso Tianin e Huighian, per poi tornare a fissarlo sul Neek. – E perdonatemi anche voi, Duith-Uinn Gudre-Yinnu, ma nella mia vita non ho mai incontrato un vero Neek, cioé volevo dire…Ecco, pensavo si trattasse solo di leggende…
È lo stesso Neek ad interrompere il confuso ed imbarazzato discorso di Matushka. – È vero, simpatica Fuij-Ku, io stesso mi sento spesso reale e vivo quanto il personaggio di una fiaba.
Matushka sorride udendo il nome dato dai notturni ai membri della sua razza ed accoglie con una piccola riverenza la frase spiritosa della creatura.
– Puoi provvedere a qualche piccolo conforto, Gudre-Yinnu? – Chiede Huighian al Neek che dopo un rapido cenno di assenso scompare nuovamente.
– Il motivo per il quale ci troviamo qui, gentili Duith-Uinn, non è facile né breve da raccontare. – Inizia a dire Basso Okme. – Proveniamo dalla Foresta di Canddermyn ed andiamo verso le Montagne dell'Orlo Ultimo alla ricerca di Fieduin la Pietra. Non è un viaggio di piacere, il nostro, ma di una missione affidataci dagli Erbani che vivono nella selva e dalla Fata Sibiell. Il fatto è che… – L'Uccello di legno si interrompe perché in quel momento è rientrato nella stanza Gudre-Yinnu, recando un ampio vassoio carico di piccoli piatti, svasati e profondi come ampie scodelle, in ciascuno dei quali è ospitato in piccola quantità un diverso cibo. Con un secondo viaggio il Neek trasporta alcune caraffe molto alte e sottili, contenenti liquidi limpidi e colorati.
– Prego, Tiunnh, dedicate un po' di tempo a voi stessi. – Dice Huighian con una punta di solennità nella voce, come se stesse ripetendo una formula prestabilita.
– Grazie, ma voi… – Inizia a dire Plinio prima di essere interrotto da un calcio nella caviglia da Matushka che ha l'occasione per rendergli l'occhiataccia di poco prima.
– Vi ringraziamo, Duith-Uinn, e vi preghiamo di assistere al nostro pasto. – Matushka pronuncia la frase con una punta di enfasi, cercando di distogliere l'attenzione dei Notturni dall' espressione offesa e perplessa del gatto.
– Accogliamo la vostra richiesta. – Approva Tianin.


Quello scambio di battute richiama alla mente di Klog una notizia letta o udita molti anni prima e molto presto dimenticata. In essa un ignoto viaggiatore spiegava che presso i Notturni era considerato sconveniente nutrirsi in pubblico e che essi erano soliti consumare i propri pasti in perfetta solitudine, tranne in rari casi, determinati da un rigido rituale o se obbligati dalle circostanze.
Il Boldhovin lancia un'occhiata al promettente vassoio posato su un basso tavolo di cristallo smerigliato, decorato con leggeri disegni di uccelli o altri volatili scavati nella superficie opaca, che brillano delicatamente alla luce delle lampade, e quindi al Neek, in piedi a pochi metri da loro, chiedendosi oziosamente se quelle bizzarre regole valgano anche per i mezzosangue.
Dopo qualche attimo di attesa è lo stesso Gudre-Yinnu a rompere gli indugi, porgendo a Plinio un piatto pieno a metà di piccoli chicchi verdi e semitrasparenti, leggermente screziati di chiaro.Il Gatto ne afferra uno, incerto, e se lo porta alla bocca. Un attimo dopo un'espressione di contenuta soddisfazione ha sostituito la perplessità sul volto di Plinio, che si affretta ad ingoiare un'altro chicco.
Per qualche minuto l'unico rumore ad udirsi nella stanza è quello prodotto dall'educato moto delle mascelle degli ospiti dei Notturni, la cui attenzione sembra, in quel frangente, attirata solo dai sottili disegni color seppia del grande arazzo che domina la sala.
Quando l'appetito degli ospiti sembra dare segni di stanchezza è Tianin a parlare nuovamente. – Gentile Tiiunnh Basso-Okme, non desiderate riprendere il vostro racconto, tantopiù che vi vedo assai poco interessato al cibo?
L'Uccello di Legno, perso in qualche riflessione o forse intento a continuare la composizione abbozzata nel pomeriggio, sobbalza nel sentirsi chiamare. – È la mia natura molto peculiare, Duith-Uinn Tianin, a impedirmi di apprezzare la squisitezza di tale pratica. Certamente avrete udito degli uccelli- di- Legno del grande Kerfilluan.
– Egli dormì alcune notti in questa rocca, durante il suo viaggio verso le terre del Tramonto, in un tempo nel quale io non ero ancora neppure disceso dal Terzo strato di Nubi. – Interviene Gudre-Yinnu.
– Ma si dice che egli non fosse più che l'ombra di se stesso in quei giorni.
Basso Okme annuisce lentamente. – Egli aveva perduto l'anima facendone dono a noi Uccelli- Di-Legno. Ma si tratta di ricordi dolorosi, sui quali spero non vi dispiacerà se non mi tratterrò.
Un cenno del capo di Huighian lo invita a continuare.
– Strani fenomeni sono avvenuti nella Selva di Canddermyn negli ultimi giorni, Duith-Uinn: prodigi malefici, strane visioni ed ancor più strane sensazioni. Molti alberi della selva sono colti da una specie di malattia che non sembra ledere la sostanza delle piante quanto piuttosto mutarla, come se esse dovessero adattarsi ad un'altro mondo ed ad un'altra luce che non sia quella del sole o della luna. Esse sembrano acquisire la sostanza del più solido e buio cristallo, mentre le loro foglie sembrano trasformarsi in piccole lamine di un metallo leggero e scuro ed è impossibile separarle dai rami o spezzarle e piegarle, sempre che si desideri avvicinarsi alle piante colpite da tale morbo, perché l'aria nelle loro vicinanze è strana ed insana ed il respiro stesso diviene difficile e penoso.
– Ben tristi notizie portate dal mondo diurno, Tiiunnh, anche se non completamente inaspettate. – Gudre-Yinnu abbandona la sua posizione defilata per prendere posto su uno scranno dalla fragile intelaiatura di legno scuro e coperto da una stoffa leggera color ametista. – Noi qui conduciamo vita appartata, ma non tanto da non udire sentore, a tratti, di eventi di grande importanza.– Spiega il Neek. – I Gu'Hijirr che salgono fino a questa rocca per offrirci oggetti e stoffe preziose raccontano nel modo confuso e pettegolo tipico della loro razza, di ciò che odono da altri mercanti e viaggiatori. E gli ultimi saliti fin qui mi hanno narrato di tratti di mare dove l'acqua è divenuta come ghiaccio scuro e di navi trasformate, con tutto il loro equipaggio, in scogli di pietra sorgenti su quel mare immobile.
Klog, che ha appena terminato di portarsi alla bocca l'ultimo boccone, fissa con astio il Neek, come se volesse rimproverarlo di attentare alla sua ben meritata digestione.
– Si tratterà, gentile Duith-Uinn, come tu stesso dicevi di confusi pettegolezzi e di leggende. – Azzarda speranzoso il Boldhovin.
– No. – Il tono di voce di Gudre-Yinnu ha perso la leggerezza tipica della conversazione per farsi netto e preciso. – Essi mi hanno portato a vedere un frammento di quel materiale pescato a largo di Capo degli Aironi ed io tuttora lo custodisco in una teca del mio laboratorio, senza aver potuto constatare alcun cambiamento in esso, pur avendo utilizzato diverse sostanza per ridare ad esso la sua sostanza liquida.
– Othu-Diu, il più anziano dei nostri maghi ha esaminato quella sostanza. – È ora Tianin a parlare. – Ma non vi ha riconosciuto in essa alcunché di familiare. Essa è inerte come pietra di rena ed altrettanto indistinta, eppure non pare possibile spezzarla né ridurla a componenti più semplici.
– Essa è già semplice. – La interrompe Gudre-Yinnu, sconvenienza cha non provoca in Tianin null'altro che un'occhiata di blanda curiosità. – Essa è l'assoluta semplicità della materia, il primo gradino di essa, il recinto oltre il quale si agita il puro Nulla. 

 
– Si tratta di una semplice teoria, Gudre-Yinnu. Othu-Diu e gli altri maghi non l'approvano né la condividono. – Interviene Hiughian.
– Othu-Diu e gli altri non potranno mai riconoscere che un Neek possa avere ragione e loro torto. – Replica Gudre-Yinnu senza preoccuparsi di nascondere l'ira e l'amarezza. – Hanno proposto forse altre interpretazioni credibili?
– Hanno attribuito la cosa ad una perturbazione della luce, nata sulla stella diurna e destinata a presto cessare. – Spiega Tianin.
– Già, hanno passato un ciclo di sonno a guardare con il cristallo affumicato la Stella Diurna e poi tra grandi sbadigli hanno deposto l'uovo della loro grande spiegazione, senza preoccuparsi neppure di sapere com'era prima la superficie della Stella Diurna.
– Non avevano bisogno di farlo. È bastato loro leggerlo nei nostri libri. – Replica con una punta di imbarazzo Huighian. – Se dovessimo ripetere sempre le stesse osservazioni che costrutto vi sarebbe nel possedere i libri?
– I libri, i libri, sempre e solo i libri! – Gudre-Yinnu quasi urla mentre Klog approva con grandi cenni del capo quella che gli sembra una giusta indignazione che accomuna libri, saggi e noiosi di ogni genere e risma. – Nessuno ha neppure più il coraggio di scriverne per paura di non essere all'altezza dei grandi Maestri del passato e per paura di essere mangiato vivo da gente come Othu-Diu. Su questa via c'è solo la morte, per noia e conformismo.
– Non devi essere ingiusto, Gudre-Yinnu. La Ruota sta percorrendo la parte bassa del suo giro, presto tornerà a salire e noi con lei. – Tianin ha pronunciato la frase a voce bassa, quasi lei stessa ne dubitasse.
– E se il mondo non si trovasse su una ruota come ha detto il grande Thyu-Denn? Se invece esso potesse degradarsi senza limiti? Potremmo perdonarci allora di avere atteso inutilmente senza nulla tentare?
– Il mondo può sopravvivere senza i Notturni. – Dice sommesso Huighian.
– Certo, ma il mondo può sopravvivere senza nessuno? Senza Gu'Hijrr, Syerdwin, Erbani, Uomini? Senza fate, senza alberi, senza erba né acque limpide? Senza speranze può vivere un mondo, Huighian?
– Ti intendo, Gudre-Yinnu. Hai avuto il permesso di operare esperimenti e sortilegi in questa rocca e di tentare ciò che puoi. Non puoi chiedermi di essere diverso da me stesso, tuttavia.
– Lo so, Huighian e lo so anche di te, Tianin. Ed è questo il peso più gravoso da portare. – Spiega il Neek ed il suo sguardo per un attimo dà la sensazione di brillare debolmente, come quello degli altri Notturni. – Chiedo il permesso di ritirarmi. – Aggiunge bruscamente.
– Accordato.
Dopo un rapido saluto ai loro ospiti il Neek scompare attraverso la porta che lo ha condotto nella stanza lasciando i presenti confusi ed imbarazzati.
I due Notturni tacciono a lungo senza guardarsi, quasi non ricordassero la presenza al loro cospetto dei Tiiunnh. Infine è Tianin a parlare: – Sappiamo che voi gente diurna avete l'abitudine di riposare sotto la luce della Luna. Le vostre camere sono già state approntate, se desiderate servirvene… altrimenti saremo ben lieti di apprezzare ancora la vostra compagnia.
– Purtroppo le abitudini dei miei compagni sono quelle che avete testé denunciato. – Dice Basso Okme osservando Plinio che fa sforzi sovrumani per non abbandonarsi ad un fenomenale sbadiglio. – Per quanto mi riguarda, tuttavia, data la mia natura non mi è difficile ignorare la luce del sole e della luna. – L'Uccello-di-Legno estrae da una tasca il libro magico affidatogli da Mastro Selestin. – Se lo desiderate…
– Ben volentieri. Udire buona musica è così raro qui. Vi preghiamo di trattenervi, mastro Basso Okme.– Risponde Tianin per entrambi i Notturni.



Dalla sua stanza, una mansarda debolmente illuminata dalla luce della luna, Klog ode lontana e debole come un sogno la musica emessa dal libro magico e la cosa, piuttosto che favorire il sonno suscita in lui molti più pensieri di quanto sarebbe preferibile in quelle circostanze.
Di fianco al suo letto una mano misericordiosa ha deposto un'ampolla piena di un liquido dotato di un delicato profumo già assaggiato poco prima a tavola e presentato dal Neek come un liquore dotato della proprietà di favorire dapprima un'allegria né volgare né fracassona seguita da un sonno calmo e dolce. Il Boldhovin se ne serve generosamente e torna a posare il capo sul cuscino chiudendo gli occhi.
Di nuovo, come in un sogno tormentoso, si ritrova nella piana dove ha incontrato i Silvani che gli hanno affidato la Pietragemella e rivede il volto antico e stanco di Quedhe.
Voglio riposare, Klog. Voglio affidarmi alla terra tiepida e profumata alla quale appartengo. Dice senza muovere le labbra il Silvano.
Aiutami, Klog, non fermarti.
Non mi fermerò. Risponde senza parlare il Boldhovin.
Ricorda la tua vera natura, Klog. Tutti noi attendiamo e vediamo. Se lo vuoi anche tu potrai.
Cosa devo vedere Quedhe?
Non chiedere, Boldhovin.
Cosa volete da me, padri?
Ci odi, Klog?
Io credo di sì, Quedhe. Siete milioni e milioni, ma la vostra voce è delicata come lo stormire di una fronda ed è altrettanto facile udirla che non udirla.
Tutti possono udirla, Klog, se solo lo desiderano, e tutti possono vedere ciò che noi vediamo. Non chiedere Klog e guarda!
Come se un vulcano si fosse aperto sotto i piedi dei Silvani raccolti davanti a lui nella piana, un vapore spesso e bianco invade completamente la terra ed il cielo nascondendo ogni oggetto ed ogni presenza ai suoi occhi. In quella Nebbia Klog si vede muoversi come un cieco, le mani protese davanti a sè a cercare di riconoscere qualcosa di familiare. Finalmente il profilo di Quedhe appare sfumato tra i vapori e Klog corre verso di lui, felice come un bimbo che abbia perduto i genitori in una grande calca. Ora Quedhe è davanti a lui, immobile e il Boldhovin allunga una mano per toccarlo. Al suo leggero tocco il Silvano oscilla come un enorme birillo e Klog lo guarda spaventato. Gli occhi di Quedhe sono chiusi, sigillati e abbassando lo sguardo il Boldhovin vede che il corpo di Quedhe termina di netto in basso, come quello di un albero reciso.
Non ha più le radici! Grida disperato il Boldhovin, ma neppure il suo urlo risveglia l'anziano Erbano che infine crolla a terra come una colonna spezzata dalla base.
– Klog, Klog, ma che diavolo hai?
La voce di Matushka ed il suo tocco non troppo gentile risvegliano Klog dal suo sonno tormentoso.
– Che ti è preso, hai bevuto troppo?
– No, ho sognato.
– Non doveva essere un bel sogno, caro Klog. Le tue urla devono essere giunte fino a Canddermyn.
– No, non era un bel sogno, Matushka.
– Mamma mia, che brutta faccia hai. Immagino che adesso ci chiederai di dormire con te, vero?
– Sì. Non osavo farlo ma se sei tu a dirlo…
– Io parlo troppo, Klog. Vieni con me, andiamo da Plinio. Ah, senti, di quali radici parlavi?
– Delle radici del mondo, Matushka.
– Beato che ti capisce, Boldhovin, vieni ora, te lo chiederò ancora domani.


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