30.5.13

Lo scorrere del tempo in narrativa


Domani pomeriggio, alle 18.30, Franco Pezzini mi ha incastrato a parlare del tempo nella narrativa - e particolarmente nella narrativa fantastica - nel corso delle sue lezioni nella Libera Università dell'Immaginario. A fare coppia con me sarà il buon Alessandro Defilippi, scrittore "serio" (nel senso di pagato) chiamato a discutere di personaggi come Van Helsing e il dottor Seward.
Ovviamente sono contento di essere stato interpellato e di poter presentare al pubblico un elemento nascosto ma essenziale in narrativa come l'organizzazione dei tempi e del tempo nella scrittura. Un pochino meno contento nel rendermi conto (con orrore) che provare a fare un discorso ragionevole sul tema va mooooolto oltre le mie personali capacità. L'unica possibilità è aprire il discorso qui, sul mio blog, giungendo a mettere in evidenza alcuni aspetti della percezione e della misura del tempo in narrativa. 
Piccola nota a margine: il mio intervento in quanto "cultore del Tempo" è una diretta conseguenza del titolo della mia antologia, In controtempo, dove ho giocato tra passato, presente/presenti e futuri irraggiungibili vari ma senza mai fermarmi a riflettere sul percorso compiuto... Ben mi sta.
Allora, il tempo...
... La narrativa, TUTTA, ha sempre giocato sul conflitto tra tempo reale e tempo percepito. Come mi è capitato di scrivere: 

Le domeniche pomeriggio di Malinconico Blues, grigiastre, umidicce ed eterne, formano tuttavia la base concettuale della teoria del «Tempo Prolungato Soggettivo», il ben noto fenomeno per il quale, quando la festa si affloscia, qualunque orologio osservato e riosservato dopo l'intervallo di un'ora, afferma spudoratamente che sono passati solo 5 minuti o anche meno. (Da Calibano, capitolo 4)


Il tempo percepito ha un andamento molto diverso dal tempo regolarmente scandito da un orologio. Come si rende conto anche Malinconico Blues, personaggio di una mia space opera delirante, il tempo percepito può trasformarsi in una tortura. 
O in una beatitudine. 
Tutti probabilmente conserviamo il ricordo di una giornata perfettamente felice e abbiamo spesso la sensazione che il suo peso nella nostra vita sia maggiore di tutti i giorni anonimi scivolati via senza un ricordo. I giorni belli sono pochi, gli altri sono d'imbottitura, diceva Karl Krauss. 
Anche scrivere, provare a costruire una scena o una vicenda, ci obbliga ad accorciare certi tempi e a prolungarne altri. Ad annullare il correre del tempo o a procedere "a salti" cancellando lunghi momenti di vita dei nostri personaggi. Nulla di strano, in questo. Anche il realismo più scrupoloso è costretto a lavorare sul tempo per non rischiare di suscitare un'insopportabile noia. La scelta di raccontare i momenti più minuti e irrilevanti di una vita, di un momento, di un mattino o di una sera ha la funzione - in letteratura o nel cinema - di creare tensione o straniamento, di indurci a raddoppiare l'attenzione.  Nelle scene d'azione – e qui il cinema ha finito per "copiare" la narrativa – certi movimenti risultano rallentati, quasi statuari (slow motion) con il risultato, nelle scene meno riuscite, di risultare stucchevoli o ridicoli. 
Nella narrativa fantastica - nella buona narrativa fantastica - uno dei primi elementi a comparire è la nascita di un "controtempo", ovvero un procedere del tempo in forma anticronologica o un dilatarsi del tempo sino all'immobilità. Gli esempi in proposito non mancano, basterà ricordare gli Dei di Lovecraft che "dormono da millenni, sognando" o i fantasmi della tradizione, inchiodati a ripetere lo stesso terrificante canovaccio all'apparire di ogni nuovo inquilino. O racconti come "Hunati" di Edmund Hamilton, con l'ingresso in narrativa del tempo vegetale, o il tempo terminale di James Ballard o il tempo invertito di Richard Matheson (Tre millimetri al giorno) e di P.K.Dick (In senso inverso), il tempo immobile di Samuel Delany o l'eterno presente di John Harrison... 

Vedi ho smesso di respirare ma non sono morto. Ho smesso di mangiare, di bere e non sono morto. Sto qui, il tempo mi ha dimenticato. (Da Morire in Africa


Il riferimento, in questo caso, è a un mio testo.  
Il protagonista del racconto non riesce a morire. La sua personale morte ha contagiato la realtà che lo circonda, inchiodando il sole in un tramonto interminabile. 
Ma il "controtempo" può funzionare anche come tempo narrativo rovesciato, come perturbazione, diabolica anomalia, come nel Dracula di Bram Stoker. Il vampiro che ringiovanisce succhiando il sangue e la vita ai mortali è una potente metafora della sua potente, insondabile alterità. Ed è questo elemento dell'anticronologia uno degli aspetti che il nuovi "dracula per fighetti" sembrano aver completamente cancellato, eliminando in questo modo anche l'aspetto profondamente mistico del vampiro. Dracula non muore e il suo tempo – e il suo Dio – non esistono. Il suo ringiovanire è un sottoinsieme del suo rapporto profondamente alterato con il tempo dei mortali, una falsa conseguenza puramente esteriore. Dracula non ringiovanisce, piuttosto riassume le sue sembianze reali (in alternativa, bisognerebbe postulare che – a forza di ringiovanire – potrebbe indossare i panni di un bimbo o di un infante) e lancia la sua sfida al nostro tempo, alla nostra mortalità. 
Dracula come Prometeo? Dracula come un ultraumano, finalmente libero dal peggiore dei nostri legami, la morte?
Che Dracula sia insieme uno dei personaggi più terrificanti e più suggestivi che la narrativa ci ha regalato e che – diversamente da altri personaggi "negativi" della tradizione letteraria – spesso la sua immagine si sia prestata a interpretazioni "positive" non è affatto strano o curioso. Molti di noi si sono chiesti come sarebbe stata una vita da immortali come quella di Dracula... Ma l'altra faccia dell'immortalità è, secondo Stoker, l'assoluta amoralità. 
Atemporalità, immortalità, amoralità, queste le tre caratteristiche fondamentali del vampiro. E, d'altro canto, che cosa possono valere mai le nostre modeste morali umane in rapporto a un semidio? 
Ed è qui che emerge il legame profondo tra cronologia e morale. La seconda, come conseguenza della prima. In fondo è ben vero che la  narrativa fantastica è una narrativa immorale o amorale. Una narrativa che ci consente di giocare molto oltre i nostri limiti. 
Ed è questo a renderla davvero preziosa...  





4 commenti:

Franco Pezzini ha detto...

Io ero stracotto e forse si vedeva, ma con te e Ale grande serata... GRAZIE!

Massimo Citi ha detto...

@Franco: no, non si notava, vai tranquillo. Io onestamente ti ho trovato regolare e stimolante come sempre. Il contributo di Ale mi è parso come il solito sopra la media. Quanto al mio, sono tuttora perplesso che in apparenza nessuno - nemmeno mia moglie - si sia accorto di quanto ero confuso e inutilmente logorroico... se a tutti sono andato bene così, beh, va bene. Grazie a te per l'occasione che mi hai dato di fare la ruota :)

Romina Tamerici ha detto...

Un tema decisamente complesso. Discorso interessante.

Massimo Citi ha detto...

@Romina: discorso molto interessante ma che avrebbe meritato qualche dozzina di pagine... Ma su un blog non era facile dire molto di più. Meno male, comunque, che non hai sentito come ho trattato l'argomento dal vivo :(