19.4.07

Leggere il mondo

Oggi, un libro davvero curioso.
Cuirioso e interessante anche perché sollecita la mia passione per la storia della scienza. Ma non la storia della scienza in forma di gossip sulle vite private quanto come risposta alla domanda: "Perché i nostri antenati davano risposte così sceme sulle domande fondamentali delle scienza naturali?"
Capita spesso di pensare che i nostri antenati fossero semplicemente un po' più imbecilli di noi, soprattutto quando pensavano che la Terra fosse piatta (anche se andando verso l'Equatore le ombre si accorciavano). O quando pensavano che il basilisco nascesse dall'uovo del gallo eccetera.
Ecco, questo libro di Franco Farinelli (titolo: l'invenzione della Terra, Sellerio) cerca di dimostrare che il concetto di "Terra"non è affatto un concetto condiviso e normale. Per gli antichi la Terra coincideva con il Cosmo, ovvero con quanto esisteva. Non solo, la Terra era per la maggior parte inesplorata (dai soliti europei) e come si può raffigurare a se stessi ciò che è inesplorato?
Insomma, i nostri antenati non erano affatto più scemi di noi. Semplicemente si basavano su un minor complesso di conoscenze. Elaborate, oltretutto, secondo regole diverse.
Il risultato è un complesso di "Terre" perdute tutte ugualmente assurde e altrettanto affascinanti.
Le carte dei mercanti erano più verosimili, ma erano strumenti di lavoro. Le cosmologie di sapienti ed eruditi erano, viceversa, tentativi di rappresentazioni del Reale e, come tali, includevano anche la fantasia, l'immaginazione, i desideri, i gusti e le opinioni.
Non diversamente dagli scienziati contemporanei, le cui ipotesi di partenza sono, in filigrana, pareri sul mondo.
Ancora una piccola osservazione, non troppo fuori tema, credo.
A scrivere carte immaginarie sono rimasti quasi solo gli autori di Fantasy. Se aprite un libro di fantasy, in genere intorno a pagina 2, c'è una carta immaginaria di un paese immaginario.
Impossibile (o molto raro) che tali "carte" non risultino tristissime trasposizioni da cartografi ignoranti di una geografia "oggettiva" fin troppo moderna.
Un po' di nomi pescati a caso qua e là, qualche audacissimo nome generico (punta Uncino per un promontorio a forma di uncino) e così via.
Niente "Hic sunt leones" e nessun mostro che arrota i denti in un angolo della carta.
Carte che non dicono nulla o quasi della società che pretendono di raccontare.
Stendere una carta prima di scrivere un fantasy è utile. Perbacco. Personalmente ho ancora in qualche cassetto una carta per un romanzo fantasy del quale ho scritto più o meno 600 pagine prima di impiantarmi miseramente.
Ma una carta è importante a patto di popolarla gradualmente.
A patto di farne un ritratto possibile di un mondo possibile. Non una Michelin senza autostrade e con i nomi dei boschi scritti in fintoelfico o quasirunico.
Probabilmente un vero "fantasy" sarebbe talmente straniante per il lettore da fargli passare la voglia di leggerlo, tanto più in tempi di Tolkienate senza freno.
Eppure credo sarebbe l'unico motivo per il quale merita scrivere un romanzo fantasy.
O almeno credo.

Nessun commento: