Il viaggio verso Ulfa di Usif-Lizhi e dei suoi amici continua a piedi, camminando su un'antica strada dei Gu'Hijirr Bruni. La piccola Moridee che li accompagna si rivela una risorsa inattesa. |
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Oakin,
lontano dalla sua nave e degradato da marinaio a viandante, ogni
dieci minuti recrimina e maledice l'antica via scavata dai Gu'Hijirr
neri e che procede a mezza costa sui monti Ndy fino a Monte Bilgiam,
che domina Ulfa.
–
La strada è abbandonata da secoli e solo i Silvani ne conservavano
il ricordo. Senza questa strada ci saremmo già perduti nei boschi e
saremmo finiti dritti in qualche accampamento di Semurgh.
Oakin
sa alla perfezione che il Barone Enklu ha ragione, ma questo non gli
impedisce di scuotere la testa e imprecare a bassa voce. – Avremmo
potuto procedere lungo la costa, trainando la nave.
Il
suo secondo deve averlo udito perché non perde l'occasione per
rimbeccarlo. – Dai, Oakin, lo sai che era impossibile. La corrente
ce l'avrebbe strappata di mano. Oppure saremmo finiti in mezzo al
fiume con lei. La Goren sta bene dov'è, ancorata nell'Ansa del
Guaritore. Se torneremo la riprenderemo e viaggeremo comodamente
spinti dalla corrente.
–
Maledetto Usimbal. Possibile che quelli della tua schiatta non
perdano mai la lingua?
Ma
dopo quell'ultimo augurio Oakin decide di tacere e guardare dove
appoggia il passo. La strada dei Bruni, selciata con pietre tagliate
a stella, così accuratamente posate che ben pochi semi sono riusciti
ad attecchire tra le connessure, è tuttavia consumata e ingombra di
rami e tronchi marciti di alberi caduti. In qualche punto il fondo ha
ceduto e la pavimentazione è divenuta il fondo di larghi stagni
circolari che li obbligano a complicati giri nel sottobosco
fittissimo.
Il
cielo non si è rasserenato dopo la tempesta del giorno precedente e
grandi nuvole scure lo attraversano veloci stendendo la loro immane
ombra sulle montagne.
A
intervalli regolari la strada si allarga davanti a piccole
costruzioni fatte della stessa pietra del colore della sabbia bagnata
che pavimenta la strada.
–
Forse ospitavano piccole guarnigioni. Guardie per il controllo della
strada – Aveva ipotizzato Kirzil.
–
No. – Moridee l'aveva contraddetto con compiaciuta sicurezza. –
Erano stazioni per il cambio dei cavalli. Ve ne sono sei come questa,
poi una più grande dove era possibile riposare e mangiare. E il
ciclo si ripeteva ogni settantasette ghy. Ogni undici ghy una
costruzione, al settantasettesimo una stazione di riposo.
–
E cosa sarebbe un ghy, signorina Moridee?
–
La misura di lunghezza dei Gu'hijrr bruni. Un ghy vale undici fud,
ciascun fud vale sette kogdam e ciascun kogdam vale undici flitten.
–
Sette e undici, curioso. Dovevano avere una vera passione per questi
numeri. – Osserva divertito il Duca Kwister.
–
È perché possono essere divisi solo per se stessi o per uno. Tutto
ciò che hanno fatto i Bruni è basato sull'unicità . – La bambina
si stringe nelle spalle. – I bruni erano fatti così.
–
E tu come lo sai?
Moridee
esita a lungo prima di rispondere. – Mio padre. Mi ha raccontato di
loro. Mi ha mostrato i loro libri.
–
Scusa. Avrei dovuto immaginarlo.
–
Perchè ti scusi, Duca lupo? Mio padre è sicuramente vivo. Quelli
come lui, che conoscono tante parole, sono preziosi. Nessuno li
uccide. Lui me l'ha ripetuto tante volte.
–
Hai ragione. E noi lo troveremo.
Moridee
annuisce seccamente, come se anche quella risposta fosse già
prevista.
–
Ma forse non hai mai visto i nostri libri, Moridee.
La
bambina si volta verso il Notturno e fa segno di no con la testa.
–
Vi si parla spesso dei Numeri unici. Tutto si può dividere in parti
più piccole. Una pietra, un vaso, persino una montagna. Ma i numeri
unici si possono solamente ridurre a tante unità, dalle quali
ripartire da capo per ricostruire le cose. Solo ciò che vive è
indivisibile. Così dicevano i nostri antichi maestri. Ma molte delle
cose che hanno scritto sono state lette negli in-quarto dei
gu-hijirr bruni. Prima di noi, sono venuti loro. E mi sembra
impossibile che un popolo tanto saggio sia scomparso dall'orlo del
mondo. – Usif-Lizhi parla piano, in un soffio, come se le montagne
avessero orecchie e potessero riferire le sue parole ai loro antichi
abitanti. – Tu sei stata fortunata, Moridee, perché hai potuto
vedere i loro libri.
–
Erano molto grandi e molto pesanti. Mio padre li leggeva tenendo i
guanti. Erano in una stanza di cui solo lui aveva le chiavi. E solo
lui poteva leggerli. Ma io li ho toccati. – Sorride nel raccontare
la sua audacia. – Quando lui non guardava. Ma non li ho mai
rovinati.
–
Sicuramente sei stata tanto saggia quanto fortunata.
–
Un pochino mi annoiavo. Ma solo un pochino. E poi non capivo le
parole. Solo qualcuna. Mi piacevano le carte, però, erano colorate.
C'era anche il fiume. Il Drew. Lo chiamavano Taifon, loro.
–
Erano queste le loro terre? – Chiede Kwister.
–
Certo, Duca Lupo. C'erano nelle loro carte. E c'era anche il Kie e le
Montagne dell'Orlo. Mio padre diceva che sono nati proprio qui. La
loro capitale si chiamava Minìnghal e aveva mille e mille colonne.
Era al centro di quello che adesso chiamano il Deserto Scheggiato. Io
penso che sia un peccato che adesso non ci siano più. Avevano degli
strani abiti, bellissimi.
–
Il tempo si porta via le nostre vite e anche le nostre città. –
Risponde il Duca, senza davvero rendersi conto di parlare con una
bambina di otto anni. E Moridee annuisce solennemente, come faceva
quando era il padre a esprimersi sul passato e sul futuro.
–
Dove ci fermeremo? Il tempo non sembra abbia intenzione di
migliorare. – Disse Harvaiun dopo un paio d'ore di silenzioso
cammino.
Sollevano
il capo. Il giorno si sta consumando, sconfitto dalla nubi che lo
presidiano, massicce e oscure come enormi navi. La strada proprio in
quel momento giunge in cima a una cresta e il vento li assale. Si
stringono intorno a Moridee e alla fata Mahaderill e debbono
rallentare il passo.
–
Bella domanda, Share. Qualcuno sa rispondere? – Chiede Oakin.
–
Tra poco incontreremo un settantasette-ghy. E ci potremo fermare per
riposare. – Annuncia Moridee.
–
Un cosa?
–
Ghy-dunand. I Bruni lo chiamavano così. Erano tutti segnati
sulle loro carte. Io però non ne ho mai visto uno. Dalla strada che
parte dall'ansa del Guaritore si arriva al ventidue-ghy. Poi ce ne
sono stati altri quattro. Tra poco ci dovrebbe essere il
settantasette-ghy. Chiaro?
–
Perbacco! Chiarissimo. Chi ha detto che a stare sempre in mezzo ai
libri si perde tempo? Eh, Oakin?
–
Dipende. Se sei tu a farlo, Kirzil dei Mappin, sicuramente perdi il
tuo tempo.
Il
Ghy-dunand appare subito dopo un lungo e difficile tratto
della strada che passava all'interno di un bosco di pini neri e
altissimi.
–
Quello è il settantasette-ghy. – Dichiara Moridee e si mette a
correre.
–
Dove vai? Fermati! – Le urla inutilmente dietro Enklu, gettandosi
all'inseguimento un attimo dopo. – Può essere pericoloso!
La
costruzione dei gu-hijirr bruni è grande come un palazzo di Farsoll
e, come un palazzo della capitale dei gu-hijirr, è sollevata dal
terreno.
Moridee
è arrivata allo spiazzo che la circonda e si ferma a guardarla.
Enklu vi arriva un istante dopo e le appoggia una mano sulla spalla.
–
Come si entra? – Le chiede.
Moridee
scuote la testa. – Questo non lo so. Penso che legassero i cavalli
sotto il palazzo per ripararli dal vento e dalla pioggia.
–
Ma non ci sono finestre. È tutto chiuso.
–
Ci saranno, solo che non si vedono. – Ribatte la bambina con logica
stringente.
–
Già. E nello stesso modo non si vede la porta.
In
breve tutti, marinai e viaggiatori, si dedicano a esplorare palmo a
palmo il pavimento e le colonne alla ricerca di un passaggio, di una
leva, di un segnale che indichi il modo di penetrare nel Ghy-Dunand.
–
Io ne ho abbastanza. – Il primo a cedere è Harvaiun che si siede
sul pavimento e si libera rumorosamente dello zaino. – Per me è
sufficiente una coperta, un fuoco e un tetto sopra la testa. È vero
che la casa è senza pareti, ma di questi tempi ho imparato ad
accontentarmi. Avete capito? Lasciate perdere. Qui ci vorrebbe
qualcuno dentro, qualcuno che apra. Ma qui l'ultimo ha chiuso la
porta e non si è posto il problema di quelli che sarebbero arrivati
mille anni dopo.
–
Temo che tu abbia ragione, per una volta. Ma mi secca rinunciare. Se
riprende la tempesta questo tetto servirà a ben poco. Tu Moridee sei
proprio sicura di non ricordare qualche disegno, qualche trucco?
La
bambina, pallida, si stringe nello scialle prestatole dalla fata
Mahaderill e scuote la testa. – Non lo so, Kirzil, ti giuro che non
mi ricordo nulla.
–
Pazienza, speriamo nella misericordia degli dei.
Anche
Pennarossa decide di seguire l'esempio di Harvaiun e si siede accanto
a lui. – Quando avranno finito di agitarsi dovremo accendere un bel
fuoco. E metterci sopra qualcosa a cuocere. – Una raffica di vento
più forte lo obbliga ad abbassare la testa. – Sempre che si riesca
ad accenderlo.
–
Hai notato, Kirzil? Ci sono undici colonne. Dieci disposte tutte
intorno e una, più grossa, al centro.
–
Ovvio. Contavano per undici, questi qua. I palazzi di Farsoll stanno
su dodici colonne, tre per quattro. Mi sembra più logico, tre per
quattro. E si sale da una botola. Ma qui non ci sono botole.
–
Certo che proprio voi gu-hijirr non riusciate a trovare un passaggio.
…
–
E che cavolo vuol dire? La gente li chiama gu-hijirr bruni giusto
perchè avevano la pelle coriacea come noi. Ma non assomigliavano a
noi più di quanto un rospo assomigli a una tartaruga.
–
Già. Mi sembra un bel paragone. Le tartarughe sono più belle,
comunque. Ci sono sette linee scolpite su ciascuna delle colonne.
Voialtri non avete mai avuto abbastanza senso artistico per decorare
le vostre famose palafitte. Sette linee ondulate, piuttosto belle.
Sette, sette, sette, sette, sette…s… otto?
–
Come otto?
–
La colonna centrale, ci sono otto linee.
–
Ma va'. Non sai più contare.
–
Giuro. – Harvaiun si alza per controllare. Passa in mezzo agli
altri, ancora intenti a scrutare la superficie inferiore della
costruzione nel tentativo di scorgere il disegno di una botola da
forzare, e si piazza davanti alla colonna.
–
Una, due, tre… – Preme con forza il dito sull'anello ondulato di
pietra che circonda la colonna. – … quattro, cinque, sei, sette,
OTTO! Vist…
Con
un cupo cigolìo la parete della colonna scivola verso l'interno,
mostrando i gradini stretti di una scala che sale verso l'oscurità e
Share Harvaiun, tuttora infervorato nella sua discussione con Kirzil,
è il primo a penetrare nella fortezza dei bruni, anche se non con la
dignità appropriata.
–
E bravo, pesce! – Gli grida Kirzil.
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