6.5.17

Letture quasi obbligate


Capita, oltre che di leggere, anche di dover leggere per impegni presi o altre necessità improvvise e indifferibili. È quello che mi è successo nel corso della scorsa settimana per assolvere a un impegno preso con una rivista che ha commissionato a me e a Silvia Treves un articolo sul tema «Robot, androidi, cyborg e altri esseri semiumani» (il titolo è di mia invenzione), con particolare riferimento a quanto hanno a suo tempo scritto gli autori italiani all'inizio del secolo passato. 
La mia prima reazione è stata: «Ma gli italiani hanno scritto qualcosa sul tema? Maddai!», ma ho dovuto prendere nota – una volta di più – della mia ignoranza: non che abbia trovato poi moltissimo, ma qualcosa c'è anche nel mondo semidimenticato della narrativa d'anteguerra (prima della Prima Guerra Mondiale) e dell'interguerra. 
Ovviamente il primo soggetto al quale ho pensato è stato Emilio Salgari, che sapevo comunque appassionato alla scienza fantastica – il termine «Fantascienza» è nato nel 1952, inventato da Giorgio Monicelli –, anche se non un grandissimo produttore di avventure nel futuro. Il libro di riferimento, in questo caso, è stato Le meraviglie del 2000, pubblicato da Bemporad nel 1907 e ambientato nel mondo del 2003.

Leggere Le meraviglie del 2000 è stato comunque un piacere, anche se leggendo è finita col comparire quella che qualcuno ha definito «la visione piccolo-borghese di un italiano di fine '800». Un'affermazione in qualche punto condivisibile, certo, ma ciò che mi ha colpito di più è stata la sottile amarezza con la quale Salgari racconta il mondo di domani, un mondo divenuto insostenibile per eventuali visitatori dal passato perché inquinato da un eccessivo uso di energia elettrica, tanto da rendere «elettrici» anche i suoi abitanti. A colpire è anche la mancanza dell'enfasi trionfalistica – tipica del buon vecchio Jules Verne – nell'enumerare i progressi tecnologici e il sottile sentore di perfida burla che sembra animare il racconto di ogni novità tecnologica, senza contare la semplicità a tratti brutale – gli anarchici deportati ai poli, per fare un esempio – con la quale vengono affrontati i problemi relativi all'ordine pubblico e l'inevitabile resistenza umana ai cambiamenti imposti dal ritmo troppo rapido di mutamento. Se a questo aggiungiamo la sostanziale scomparsa del mondo animale, obbligato a tentare di sopravvivere in un piccolo arcipelago, nasce la sensazione non passeggera che in realtà Salgari abbia scelto – più o meno consapevolmente – di raccontare una distopia, utilizzando il vocabolario di un ottimista a oltranza. Esemplare, da questo punto di vista, la chiusa del romanzo, con i due protagonisti, esuli dal passato, ricoverati in un manicomio e giudicati malati inguaribili in quanto non adattati alla vita «elettrica» condotta dai loro consimili. Un curioso tipo di umorismo, viene da pensare, che mi ha ricordato taluni racconti di P.K.Dick con finali beffardamente crudeli, sul'esempio di Modello 2, un vecchio racconto dove non solo l'umanità viene distrutta dai robot ma i robot stessi hanno iniziato una guerra tra loro...


Altro libro letto è stato L'uomo di fil di ferro di tale Ciro Kahn. «Tale» in questo caso non ha nulla di dispregiativo, dal momento che dell'autore vero e del suo vero nome nulla si sa, nonostante abbia trascorso una buona mezz'ora di ricerca biografica. Di Ciro Kahn mi è anche passato per le mani un racconto del 1931, «Il fabbricante di diamanti», pubblicato su Il Romanzo d'Avventure n° 82, rivista dell'epoca. Un ottimo racconto, carico di un'angoscia fredda e ormai consumata, in tutto e per tutto degno dei coevi racconti di autori d'oltreoceano.
«Ossignùr, ma parli come un uomo della prima metà del secolo scorso... coevi... d'oltreoceano... e la perfida Albione?»
Va bene, va bene. Temo che il contatto con l'italiano letterario dell'epoca di Salgari e Kahn mi abbia contagiato. Ma posso affermare senza tema di smentita... 
«Ricominci?»
No, no... dicevo che posso affermare che L'uomo di fil di ferro è un romanzo quantomeno interessante, sia per il protagonista, un uomo di ferro in senso proprio, il genere di robot che viene investito da un camion e nello scontro è il camion ad avere la peggio, sia per la vicenda narrata, quella di una rivoluzione fallita, raccontata con una sottile dose di perfidia non tanto verso i robot, quanto verso le forze dell'ordine, ovviamente quelle del fascismo dell'epoca futura, nella fattispecie del 1998. Quanto all'Italia raccontata da Ciro si tratta di un paese avveniristico e avanzatissimo, con una capitale degna di tanto progresso, ovvero, per citare il sito dal quale ho scaricato gratuitamente il libro, Finisterrae



Roma del 1998, metropoli futuribile e paradiso futurista di vetro e cemento, con treni velocissimi, marciapiedi mobili e pubblicità onnipervasiva

Ovviamente non proverò nemmeno a immaginare cosa avrebbe detto della Roma reale del 2017 lo stesso Kahn... 


Ho infine riaperto per motivi legati allo stesso articolo, l'antologia Le aeronavi dei Savoia, a cura di Gianfranco De Turris, un'antologia dedicata alla «fantascienza prima della fantascienza», ovvero a una serie di racconti apparsi su riviste dal 1891 (Il chiesofono di un certo P.) fino al 1952 (La fine di Venezia di Berto Bertù), per la maggior parte racconti gradevoli o quantomeno sorprendenti. La fede politica del nostro comunque bravo e appassionato De Turris, tra l'altro curatore di diverse opere di letteratura fantastica presentate qui, è testimoniata da un paio di racconti, il primo scritto dal vicesegretario del PNF, Salvatore Gatto, nel 1931, Vita delle comete, il secondo scritto nel 1948, Non votò la famiglia De Paolis, di Donato Martucci e Uguccione Ranieri, dove ci viene presentato l'esito favorevole alle sinistre delle elezioni del 1948 e il susseguente imporsi di Giuseppe Stalin sulla povera Italia. 
Per il resto ho comunque dovuto riprendere in mano classici della sf e libri quantomeno particolari, come Lo zar non è morto, romanzo ucronico scritto da un «gruppo dei dieci» che comprendeva tra gli altri Massimo Bontempelli e Filippo Tommaso Marinetti. Ma di questo libro credo parlerò una delle prossime volte. 


   

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