18.7.16

Un piccolo omicidio personale


In questi giorni ho ripreso a scrivere un romanzo a suo tempo abbandonato. Ma non è la cosa importante, in questo momento. Di importante c'è il dato che lo sciogliersi della vicenda mi impone di uccidere uno dei protagonisti del romanzo. 
«Beh, che cosa ci vuole? Zic, zac, bum, trac ed eccolo bell'e morto».
Spiritoso.
Sicché in questo momento, quando sono perennemente in ansia per la paura di navigare in internet o di accendere la televisione per la paura di apprendere di un'altra strage, mi ritrovo preoccupato all'idea di commettere un omicidio – si tratta di un alieno, ma la sostanza della cosa non cambia – sia pure assolutamente letterario. 
Sia chiaro che non posso farne a meno, il persistere in vita del personaggio, peraltro un'ottima persona, mi creerebbe non pochi problemi al proseguimento e allo scioglimento della vicenda, quindi non ho scelta: devo uccidere (letterariamente) una creatura intelligente e sensibile. 
È pur vero che il personaggio in oggetto ha più volte dichiarato la propria angoscia e il proprio desiderio di farla finita, ma qualcosa mi rende anche più recalcitrante all'idea di accopparlo. 
Questo qualcosa affolla le pagine dei giornali, della TV, di internet. È il sinistro affollarsi di omicidi, stragi. sanguinose vendette e, reciprocamente, di minacce, terrore, voci stentoree e leggi speciali che in pochi giorni è diventato il refrain di tutte le trasmissioni e di tante dichiarazioni.
Personalmente sono un non-violento, non solo per l'età, ma anche per formazione, idee e profonda convinzione, ho rispetto per l'Islam – come per ogni altra religione – e soprattutto ho rispetto per gli esseri umani nati sotto l'ombrello di quella religione come di altre.  
Ma, piccolo particolare, ritengo ciascuna vita molto più preziosa di qualsiasi insieme di regole che dovrebbero – teoricamente – aiutarci a vivere tutti insieme in pace su questo disgraziato pianeta. Mohammed, Emma, Giusi, Edoardo o Ibrahim sono, in poche parole, estremamente più vivi e importanti di Bibbia, Corano, Torah e qualsiasi altro sacro libro vi venga in mente.  


Ma Mohammed e gli altri sono talmente vivi da preoccuparsi del loro futuro, da condurre una vita non facile, da subire discriminazioni, da essere respinti, trascurati, sfruttati o dimenticati. Certo, non tutti coloro che subiscono un qualche genere di ingiustizia si comprano un kalasnikov e aprono il fuoco sulla folla, ma qualcuno, meno dotato intellettualmente, più suggestionabile, più disperato, può farlo. E la situazione, scusate il bizzarro parallelo, è a ben vedere non così diversa tra Nizza, Andria, Baton Rouge e Istanbul. Qual è la costante tra tutti questi morti? La folle disperazione di chi guida un camion contro la folla, ma anche la rassegnazione di chi prende un treno come tutti i giorni, augurandosi di poterne un giorno fare a meno, la rabbia senza futuro di chi spara a quattro agenti che non fanno un vita poi tanto migliore del loro assassino e il terribile abbaglio di chi, illuso, scende in piazza a difendere un uomo, Erdogan, che si è macchiato di infiniti delitti. 
Ogni cosa improvvisamente è diventata collettiva, persino la morte. E la morte collettiva è spaventevole perché anonima, senza nome e senza redenzione. Il XX secolo ha glorificato la morte collettiva in mille modi, in guerra come nei campi di sterminio, ha coniugato il nostro destino in forma plurale, rendendo ognuno di noi un disperato naufrago senza speranza, senza legami, senza un futuro vivibile. 


Si grida all'ordine, alla chiusura delle frontiere, alla legge marziale, a nuovi e più duri provvedimenti chiedendoci di chiudere lo spazio per vivere, per comprendere, per cercare di resistere. Perché non esiste più uno spazio libero, uno luogo tranquillo che non sia quello di una memoria illusoria, di un passato ricordato senza essere stato vissuto. E questo, singolarmente, unisce chi crede in una vita da sant'uomo in Nord Africa come chi crede in una vita genuina come quella dei nostri nonni. Adolf Hitler amava i quadri di piccola realtà borghese, i quadretti e gli acquerelli di soggetto campagnolo che tutti hanno visto nel salotto dei nonni o degli zii, il suo gusto – al di là delle visioni di Böcklin – era maledettamente piccolo borghese, ridicolo o, se preferite, agghiacciante.
E la misura ridotta, il falso passato perduto sembra essere divenuto l'unica realtà per milioni di persone, che perdendo il presente hanno come unico possibile riferimento un passato immaginario. 


Ma il passato è la terra dei morti, mentre i vivi dovrebbero guardare al futuro.
Ma il nostro futuro sembra essersi disseccato.
Provate a pensare a voi stessi tra un anno, tra dieci, tra venti, cosa vedete? Una vecchiaia in ristrettezze su un pianeta sempre più imprevedibile e caldo. Vi basta? O non sarebbe meglio cominciare a pensare a un futuro migliore, alla possibilità di regalare a ognuno un vero avvenire?
Non è facile ma bisogna cominciare a pensarci, ora, in questo momento, nel quale si avrebbe voglia di rifugiarsi in Groenlandia o in Siberia. 
Non è questione di che cosa si vota, ovviamente, ma di un atteggiamento aperto, disponibile verso i fatti nuovi, verso chi fugge dalla guerra e della carestia. Giudicare il passato per ciò che è stato e non per ciò che ne ricordiamo, inevitabilmente solo le cose migliori. 
Ucciderò il mio personaggio, in definitiva, ma con calma, con affetto, ricordandone la vita che non è riuscito a vivere. 
In fondo quello che si prova o che si dovrebbe provare per ognuno dei tanti morti di questi giorni.   
 

14 commenti:

Glò ha detto...

Sono così stanca e amareggiata dalle reazioni genericamente assurde (e numerose) ai fatti recenti, da non avere parole, almeno per adesso.
Forse davvero la sola rivoluzione possibile dovrà riguardare l'individualità di ciascuno. Il che non significa che l'interazione e lo scambio di idee non abbiamo un grandissimo valore, anzi...
Post bellissimo, complimenti!

Massimo Citi ha detto...

@Giò: onestamente ero convinto di aver scritto un sacco di minchiate... più che altro perché ho scritto il post di getto, senza riflessioni a posteriori come faccio di solito. Ti ringrazio davvero dell'apprezzamento, anche se penso che un post con questo tema avrebbe dovuto essere almeno cinque volte più lungo. Quanto al nostro futuro non ho molte idee da proporre se non raccomandare a tutti la massima attenzione, la massima diffidenza verso le parole d'ordine più facili e la massima disponibilità. Siamo a un punto delicato della nostra storia e finire fuori strada è davvero un attimo.

Orlando Furioso ha detto...

Grazie per questo tuo bello scritto Massimo, mi ha fatto tanto piacere leggerlo.
Un caro saluto, a presto!

S_3ves ha detto...

Ciao consorte. È veramente un buon post. Soffermarsi sul valore di una vita di carta non è banale. Come tu hai scritto: "la misura ridotta, il falso passato perduto sembra essere divenuto l'unica realtà per milioni di persone". Ci aggrappiamo a un passato fasullo come se soltanto quello potesse renderci degni di un futuro umanamente accettabile. Siamo meritevoli perché figli di Dio, della patria, del partito. In realtà non meritiamo niente, perché ci hanno portato via il futuro. E noi, fessi, ce lo siamo lasciati strappare di mano, non abbiamo capito che ci stavano fregando. Come abbiamo potuto credere che in patria il PD di ora fosse degno erede dei padri della costituzione? che la Germania agisse davvero per il bene della Grecia? Che un fucile comprato a un prezzo troppo basso (rispetto alla dignità di una vita) potesse rendere sicure le nostre case? Che un attentato e decine, centinaia di morti fossero il prezzo accettabile per comprarci la gloria nell'aldilà? Quanto vale una morte? I personaggi di carta possono insegnarci a comprendere la vita vera.

La firma cangiante ha detto...

Bellissimo post, a volte è difficile tenere a bada rabbia e paura, è pur vero che in ogni modo dobbiamo sforzarci di farlo fino a rendere questo un atteggiamento naturale. Davvero un bel post, penso che non ti chiederò indietro i soldi per lo stucco. Forse.

Massimo Citi ha detto...

@Orlando: ringrazio, te, piuttosto, per l'interesse che mi dedichi. Un grosso abbraccio.

Massimo Citi ha detto...

@S_3ves: grazie per le tue riflessioni che accrescono e spiegano anche le mie. Quanto vale una morte? Bella domanda, per la quale non esiste nessuna risposta ragionevole e men che mai computabile in qualche statistica. Personalmente preferisco riflettere sulla morte di un personaggio di fantasia, ben sapendo che qualunque storia credibile si crei diventa un pezzetto di realtà per qualcuno, in qualche tempo e in qualche luogo. Grazie per il contributo, amore.

Massimo Citi ha detto...

@Firma: grazie per la (possibile) grazia dello stucco. Cercherò di essere all'altezza delle tue aspettative, in modo da non dover acquistare l'equivalente di qualche metro cubo di stucco francese. Quanto al tenersi calma e non cominciare a smadonnare a casaccio penso anch'io che dovremo fare della volontà un'abitudine, cosa non facile ma possibile.

Patricia Moll ha detto...

Chapeau!
Egeazie a Massimiliano Riccardi che ti ha condiviso e mi ha incuriosito
Buona serata

Patricia Moll ha detto...

Maledette dita!
Era grazie a.. uff

Massimo Citi ha detto...

@Patricia: nessun problema, per carità. E tanti ringraziamenti a te e a Massimo

Romina Tamerici ha detto...

Mi è difficile commentare, sono sincera... È un bellissimo post, questo ci tenevo a dirlo.

Romina Tamerici ha detto...

Mi è difficile commentare, sono sincera... È un bellissimo post, questo ci tenevo a dirlo.

Massimo Citi ha detto...

@Romina: purtroppo non è facile commentare certi fatti, anche se riferiti da un chiunque come il sottoscritto. Ho solo tentato una riflessione, ma molto probabilmente molto più superficiale di quanto appaia. D'altro canto quanto parole vale una vita? Troppe, evidentemente. Ti ringrazio di cuore di aver apprezzato il mio tentativo.