18.6.15

Più parole = Meno parole


È un'apparente ossimoro, naturalmente, ma altrettanto ovviamente ha un significato. 
Cinque o sei anni fa - ho controllato gli interventi sul mio post - era pratica comune fare un giro degli altri blog alla ricerca di uno spunto per stendere il proprio intervento, nel caso non si avesse un preciso tema sul quale scrivere. 
Nei blog on line non mancavano gli interventi dedicati alla politica, i post letterari, di cinema, dedicati alle piccole esperienze quotidiane, riflessioni sulla scienza, sulla scuola, sulla TV e sulle altre arti, consigli su mestieri e su esperienze di viaggio. Certo, c'erano i gattini - io stesso ho postato in due o tre occasioni foto della mia gatta e della mia cana -, c'erano sciocchezze, ovvero leggerezze eccessive di vario genere, ma il tutto era comunque abbastanza tollerabile. Non mancavano i giovani artisti di vario genere che proponevano le loro opere via internet né i pittori, gli scultori, gli artisti di vario genere. Internet somigliava a una piazza viva e vitale, con qualche sgabello dove si poteva salire e arringare il popolo - scontando un'inevitabile ma non assoluto disinteresse -, dove ognuno presentava se stesso, litigava, discuteva, spendeva un profluvio di parole, ma con qualche esito. Questo fino a un po' di tempo fa. Poi...
No, non sto tessendo l'elogio del bel tempo perduto, ma resta il fatto che un blog comporta un minimo di cura nello scrivere, quantomeno per spiegare in poche parole il motivo di una presa di posizione o della scelta di una collezione di foto, di poesie o di geniali scarabocchi. Si può probabilmente affermare che i blogger erano individui pieni di sé e predicanti al nulla, certo, ma il loro punto di vista era spesso sufficientemente ricco e sfaccettato da permettere qualche commento e una riflessione non banale. 

Poi Libro-di-facce prima, twitter e gli altri social network hanno gradualmente invaso il campo della comunicazione, consegnando a chi ha poco tempo un  panorama di messaggi sempre più rapido, banale, ovvio, schizofrenico e in qualche caso semplicemente falso, fake. I social network hanno moltiplicato a dimensioni impensabili il grado di narcisismo di ognuno e hanno ristretto i tempi per la riflessione, obbligato a rispondere rapidamente, a prendere posizione anche su banalità assurde come il tipo di serpente da addomesticare, se la piastrellatura migliore per il bagno è color senape o color malva e se un nero africano ha gusti erotici uguali o diversi da quelli di uno scandinavo. Cercate risposte? Su FB trovate molte più risposte, giuste o fake, di quante avreste mai immaginato di poter porvi. Basta un dito o un colpo di mouse per un «mi piace» che conta poco ma indica quantomeno che qualcuno è passato e ha gettato un'occhiata alla vostra frase, alla vostra vignetta, alla foto condivisa, chissà se genuina o fake. I social network sono diventati l'equivalente di una lunga coda, dove viaggiano informazioni non controllabili e un minimo allarme, anche - o soprattutto se - ingiustificato, provoca panico, accessi d'ira, litigi, insulti. 
I fantasmi della rete, ovvero i troll, hanno cambiato indirizzo, ultimamente, operano direttamente sui social network, ma non sono più loro il vero problema quanto la media dello stile dei commenti che vi appaiono. «... E siamo sempre noi a pagare... certo che se una va in giro cosi non c'è da stupirsi... fai il frocio davanti ai bambini... Ma ti rendi conto di non capire un beato kz di niente?» è una versione appena più educata delle frasi che è normale incontrare come commenti quasi a qualunque evento, particolarmente se si tratta di fatti che riguardano i Rom, gli immigrati, le donne o i gay. Come notava Umberto Eco, individuo per il quale ho considerazione ma non stima [*], i social network hanno permesso a una valanga di idioti ignoranti (perché girare intorno alle parole?) di parlare senza saperne niente o giù di lì, limitando a moltiplicare parole usate e ripescate da giornali e rotocalchi da un tot al chilo, condite da un turpiloquio necessariamente senza fantasia [**].
Forse adesso comincia a comprendersi il motivo del titolo di questo post. Aumentando l'emissione di fonemi o di grafemi diminuisce il tempo a disposizione e l'attenzione e l'inevitabile risultato finale è «Più parole = Meno parole».

 
Questo rumore di fondo, che va da un livello più o meno professionale - gruppi di discussione letteraria, cinematografica, artistica - agli angiporti di dubbia frequentazione ha finito per soffocare i blogger. Leggere sul PC non è facile, lo sappiamo tutti, peggio ancora provare a leggere da un tablet o da un telefono. Scopo dei telefoni portatili è spesso quello di fungere da strumento di ritrovo per i giovani e non sono costruiti se non per permettere una lettura frettolosa, spesso disordinata o foriera di equivoci. Ma è inutile far finta di nulla: è possibile che i blog abbiano fatto il loro tempo?
Inevitabile dare una scorsa al lato sinistro del mio blog, dove compare il mio personale blogroll. Scomparsi per sempre alcuni blog, ne rimangono un certo numero dei quali sei o sette non vengono rinnovati da settimane o mesi. Quelli che sembrano resistere meglio sono i blog in qualche modo tematici, dedicati al cinema e alla letteratura - più o meno di genere -, mentre i blog in qualche modo generici un po' per volta gettano la spugna. Rimangono - o forse insistono - i blog di autori, che, come me, credono di poter corrispondere con i propri lettori, pretesa che non raramente nel mio caso mi sembra piuttosto ridicola. Diminuiscono i commenti sul blog, diminuiscono le discussioni, le polemiche, scompaiono gli insulti. Il mondo del blog comincia a somigliare all'universo in attesa della sua morte termica, con i blog che resistono per un tempo x, in attesa di scomparire per sempre e non essere rimpiazzati da nulla.



I blog sono stati un fenomeno, la passione di chi era giovane negli anni '90 e nel decennio dopo il 2000? Possibile, forse probabile. Lo chiedo a voi, che mi leggete. 
Ehi, c'è qualcuno laggiù?
Ma non preoccupatevi, io rimango qui a tediare i passanti fino alla mia personale morte termica. 
E in ogni caso mia mamma mi ha detto di andare su FB sono in caso di necessità, chè là la gente parla male. 
 

[*] Riprendo qui una frase del compianto genio Pazienza che mi sembra descriva bene l'uomo Eco: «Pienissimo di seissimo».  

[**] «... Mai come su Facebook ho incontrato merda, odio e violenza, ignoranza, sessismo, pregiudizio, maschilismo, imbecillità e razzismo. Mai altrove così, né nei vari bar e pub frequentati in tutta la vita, né in piazza, né in televisione, forum, chat, telefono, posta cartacea o altri mezzi di comunicazione, nemmeno su twitter che comunque si avvicina ma non é nemmeno paragonabile alla cloaca FB.
Nella mia esperienza, che può essere tranquillamente solo la mia, poco importa, il problema sono sì gli imbecilli ma, molto più di loro, Facebook.» (da Malpervobis di Elvezio Sciallis)     
   

5 commenti:

Paolo ha detto...

La dipartita del mio vecchio blog (millenniumfalcon.splinder.com) nel 2012 fu dovuta alla chiusura del sito che lo ospitava. Da oltre un anno, però, lo aggiornavo molto raramente. Ad un certo punto mi ero accorto che stava diventando un blog-epitaffio, perché non facevo altro che commemorare la scomparsa di personaggi più o meno famosi.

La mancanza di tempo (ero nella fase critica del Progetto che viene ricordato in "F come Frankenstein" mi fece accantonare ogni velleità di rimetterlo il linea su un altro provider. Da allora uso spesso Facebook come sostituto di un blog, pur essendo consapevole della volatilità dell'ambiente nel suo complesso. E, in media una volta alla settimana, prendo in considerazione l'idea di uscirne e di darmi alla macchia, digitalmente parlando.

Probabilmente un blog avrebbe una sua giustificazione nell'ambito dei miei ambiziosi progetti letterari. Ma, dato che al momento sono in difficoltà con la riscrittura o la revisione dei tre racconti lunghi o romanzi brevi a cui sto lavorando, per ora sarebbe solo una distrazione e una perdita di tempo in più.

Massimo Citi ha detto...

@Paolo: se quanto ipotizzo - la crisi strutturale è almeno in parte vero, rischi di riaprire il tuo blog mentre i blog sono in piena parabola discendente. Ma posso avere torto, ovviamente. Quanto alla possibilità di sostituire il blog con veloci passaggi su FB onestamente non credo sia possibile, innanzitutto - come dicevi giustamente - per la loro volatilità. Su FB non resta nulla, passata una settimana, mentre il blog esiste, nonostante tutto, e resiste. Sugli impegni dovuti alla scrittura non mi esprimo, per me il blog è un modo per "staccare" e per guardare il mio lavoro con un minimo di distacco, ma non mi aspetto che sia così per tutti.

Paolo ha detto...

Non mi dispiacerebbe usare un blog come archivio pubblico di un numero (limitato) di articoli più lunghi di quanto sia sensato pubblicare su FB. Però al momento sarebbe un impegno di dubbia produttività ed efficacia. Ho lasciato chiudere il mio mentre era in piena esplosione il fenomeno di Facebook, ma già da tempo lo usavo ben poco, e molte delle cosette che scrivevo andavano bene anche per FB. Era passato il tempo in cui ci scrivevo dei veri e propri articoli storico-critici, come la serie in memoria di Arthur C. Clarke nel maggio del 2008.

Tenar ha detto...

Sono arrivata qui per caso e ho trovato subito un post pieno di spunti di riflessione.
Mi rendo conto sempre più che i blog sopravvissuti sono gestiti per lo più da miei coetanei o da chi ha qualche anno in più, pochissimi da ventenni. Eppure il modello blog funziona. Se ne sono accorte le industrie, i giornali (ormai ogni testata on-line ha al suo interno i propri blog). È andata a morire proprio la riflessione spontanea, il blog tenuto per passione per il gusto di riflettere su quello che ci accade intorno, dal gattino al fatto di cronaca, prendendosi il giusto tempo per farlo. Come hai fatto notare, i blog amatoriali che stanno meglio sono quelli degli autori che hanno comunque il secondo fine di far conoscere le proprie opere.
Personalmente me ne dispiace molto, il blog, a differenza del social, richiede tempo. Bisogna strutturare un post, scriverlo, rivederlo. C'è tutto il tempo per riflettere sulle proprie parola e mi spiace constatare che c'è sempre meno gente che ha voglia di investire il tempo nella riflessione.

Massimo Citi ha detto...

@Antonella (posso?): grazie per l'intervento, temevo che, come d'abitudine, intervenissero solo i miei quattro amici e buonanotte. Sì, è probabile che sia persino giusto, da un certo punto di vista, che a sopravvivere siano soltanto i blog di chi ha il gusto di narrare, descrivere, raccontare. Forse, ma si tratta di semplici ipotesi, si tratta di un'inevitabile selezione naturale, per la quale i blog che non hanno un significato nel tempo sono destinati a scomparire. In fondo è successo con molte specie animali e vegetali che, una volta scoperto un nuovo ambiente, si sono affannosamente riprodotte, tentando nuove strade per poi, fatalmente, decadere, restando vivi soltanto i più adatti (non i più forti). E la decadenza ha un nome e una faccia, anzi un libro-di-facce. L'uso del telefono come strada per la rete e la presenza - anzi la sovrapresenza - di social network sono elementi che hanno determinato il tramonto dei blog. Possiamo lamentarcene, persino piangerli ma temo si possa fare ben poco per farli rinascere. Rimangono più o meno gli stessi, che rimarranno anche nei prossimi anni, con un blog che somiglia sempre di più a una sorta di studio virtuale. Quanto ai soggetti vittime dei social network spero che troveranno un modo personale e finora imprevisto di utilizzarlo. In fondo dopo le inviasioni di cavallette la gente ha preso l'abitudine di nutrirsene. Per la cronaca, comunque, ho inserito il tuo blog nel mio blogroll. Non posso lasciarmi sfuggire qualcuno che cita Ursula Kroeber LeGuin come proemio.