21.2.13

Natura morta con libro

Questo non è un racconto fantastico.
Non che sia poi importante, dirlo, ma da uno che normalmente perde tempo e fatica nell'incolonnare righe su misteriose ombre o su un lontano futuro, ci si aspetta più o meno un piatto del giorno non troppo diverso dal solito. 
Non è un racconto fantastico, non ci sono spettri né alieni, ma c'è un tipo di mistero - le bizzarre, imprevedibili contorsioni di una vita altrimenti normale - che non può non interessare anche un autore di fantastico. E un libraio, dal momento che si parla di autori, libri, best-seller e affannose corse a inseguire l'autore del giorno. 
Questo racconto fu pubblicato per la prima volta su LN-LibriNuovi 42 del maggio 2007.   


 
E pensare che l’avevo sempre ritenuto un pirla… non un pirla pericoloso, questo no, un pirla quieto. Uno che ci mette sempre un minuto più degli altri a capire una barzelletta – e che magari te la ripete il giorno dopo, ridacchiando da solo – o che gli dici «vai a prendere questo» e torna con tutt’altro. Cose così. Piccole mancanze di prontezza che, tutte insieme, collaboravano a smascherare la sua pirlaggine.
Eravamo stati in classe insieme per un paio d’anni, gli ultimi due del liceo. Non siamo mai stati amici ma avevamo quella dimestichezza fatta in parti uguali di complicità e d’opportunismo che può svilupparsi tra due compagni di classe.
Gli insegnanti lo trattavano con la degnazione frettolosa e talvolta esasperata o maligna che si concede a un imbecille inopportuno e, in genere, quando veniva strapazzato tutti ridevano. Bastiano (un [Se]-bastiano troncato) non se la prendeva più di tanto. Faceva la faccia smarrita, sul momento, la stessa di quando non capiva una barzelletta o una battuta e probabilmente la cosa che lo faceva stare peggio era il non potersi associare alla risata generale. Alle volte, infatti, avevo l’impressione che sparasse le sue idiozie: «Giovanni Verga ha scritto Mastro Don Gesualdo per sostenere le sue idee… Di chi, Rescaldi, di chi? … Mah… di Mastro Don Gesualdo?» anche per partecipare all’allegria generale e non sentirsi del tutto fesso.

L’ultima volta l’avevo incontrato a una tristissima festa di ex-compagni di scuola. Era stato in quell’occasione che mi aveva regalato un suo libro di poesie.
Vela all’orizzonte, era il titolo e ricordo che faticai a resistere all’impulso di ridere. Si poteva pensare a un titolo più infelicemente, malinconicamente, ovviamente poetico? Probabilmente si trattava di rimasticature di Montale, innocue e idiote come la marina o il paesaggio montano a casa della zia nubile. Del tutto in carattere con il personaggio patetico che incarnava.
C’era anche la dedica: «Ad Alex che sapeva quando era il momento di non ridere». Una dedica curiosamente intelligente, a pensarci bene, che lasciava intuire la possibilità che Bastiano, in realtà, tanto imbecille poi non fosse.
Ma fu un pensiero che mi attraversò la mente per meno di un secondo, tanto breve e rapido che potei permettermi di ignorarlo.
«Grazie, sei stato proprio gentile… (non penserai mica che abbia voglia di leggerlo, verooooo?)»
«No. Mi fa piacere. Sai che ti ho sempre stimato e so che sei un buon lettore. Mi farebbe immensamente piacere avere un tuo parere.»
«È un momento difficile… se avrai un po’ di pazienza… (piuttosto mi taglio le vene, sia chiaro).
«Certo, certo».

Adesso è passato alla prosa.
Il suo ultimo romanzo: Stasera a cena non aspettarmi è primo nella classifica dei libri più venduti da tre mesi filati.
Non l’ho letto, ovviamente. I libri in classifica non m’interessano. Nemmeno gli altri, per la verità, al massimo qualche thriller comprato all’edicola della stazione prima di un viaggio di lavoro.
Ma stasera debbo incontrarlo. Il mio capo – direttore di un’agenzia di servizi editoriali per i quotidiani on line – si è messo in testa che proporlo come tuttologo nella pagina culturale sul web di qualche grosso giornale potrebbe essere una splendida idea. Una cosa fantastica, mai vista. Lui l’ha letto, io no: debbo ammetterlo. «Se era un suo compagno di scuola, Dubini, non avrà nessuna difficoltà a convincerlo». È così che si diventa capi: basta pronunciare regolarmente il mantra «nessuna difficoltà» e tutte le porte si apriranno.
È persino possibile che il mio capo non abbia completamente torto. I pareri su di lui, anche sulle testate non di proprietà del suo editore, erano eccellenti: «Un nuovo formidabile talento… l’autore italiano del nuovo millennio… una miracolosa e personalissima combinazione di scrittura biografica e passione civile… un raffinatissimo giocatore che sa come alzare costantemente la posta e vincere»
Di che cosa parlino i suoi libri non è facile capirlo, leggendo le grida di recensori e articolieri. Ho letto che Stasera a cena… eccetera, parla di mafia internazionale e pedofilia sul web ed è raccontato da un bambino piuttosto morto, e come una simile combinazione lugubre (ma di grande attualità, come no) possa scalare le classifiche e rimanere in vetta per mesi e mesi mi è difficile intuirlo.
Il problema è che per mettere sotto contratto Sebastiano Rescaldi dovrei riuscire a ritrovare il suo maledetto Vela all’orizzonte che ho ficcato chissà dove se non addirittura regalato alla raccolta differenziata. Non posso farmi vedere da Bastiano senza che lui mi chieda – lo immagino allegro, soddisfatto di sé, con quel gestire stancamente studiato tipico degli Autori – se ho poi mai letto e che cosa penso della sua marina di provincia. Il successo può fare miracoli, anche trasformare un patetico imbecille come lui in un specie di genio. Almeno finché resterà famoso.

Cincischiai inutilmente ancora per una mezz’ora tra armadi e cassetti ma dovetti rassegnarmi. Vela all’orizzonte era definitivamente scomparso. Affondato senza lasciar traccia. Non mi restò che cambiarmi e scendere in garage per non arrivare in ritardo al reading.
Mentre guidavo cercai di ricordare qualche particolare di quell’accidenti di silloge, raccolta, componimento, antologia, florilegio, epitome. Nulla. Nulla di nulla. Nemmeno il colore della copertina. Anche quando l’avevo ricevuto mi ero limitato a un’occhiata frettolosa alle prime tre o quattro pagine – c’era un’introduzione di qualche altro fulminato come lui – ed era impossibile cavare qualcosa di più dalla mia memoria.
Anzi, più ci pensavo, più tutti i ricordi di quella serata tra reduci scolorivano e perdevano significato, proprio come un sogno al risveglio.
Pioveva ed erano le sei del pomeriggio. Traffico lento e demenziale.
Tutti i cretini possibili che prendono la macchinuzza per non bagnarsi il coppino. E io non avevo il libro di poesie di Bastiano.
In caso di fiasco il capo mi avrebbe scuoiato e appeso la mia pelle ad asciugare sul balconcino, quello con la bandiera.

Il reading – pubblica lettura, per i comuni mortali – aveva luogo nella sala convegni della maggiore galleria d’arte cittadina. Arrivai con un ritardo non troppo appariscente e mi sedetti nei posti a metà della sala. Bastiano a un certo punto si voltò e io gli feci un cenno con la mano, ma il suo viso rimase immoto e impenetrabile. Non mi aveva riconosciuto o la sua miopia aveva fatto passi da gigante.
Sul palco salì un distinto e sorridente coccodrillo, probabilmente un alto funzionario del commerciale della casa editrice. Fece un breve discorsetto poco originale per lasciare il posto a una fanciulla occhialuta che cominciò a leggere senza alcun preavviso.
Leggeva bene, ma mi parve anche troppo enfatica. A rendere meno letale l’esperienza e a sdrammatizzare le sue pose intense e le sue arcane inquietudini una gonna asimmetrica color polenta abbastanza corta da permettere il balenare delle autoreggenti d’ordinanza e camicetta aperta fino all’attaccatura del seno.
La lettura mi annoiava ma era come l’ultima confessione per il condannato a morte: qualche minuto rubato al destino.
Applausi, cicaleccio, blablaggi, falsi sorrisi, complimenti enfaticamente fuori misura: «Ah, Zolà… ah, Moravia… ah, Bevilacqua… ah, Soldati» e golosa migrazione nella saletta prospiciente, al cospetto degli impenetrabili camerieri stranieri della ditta di catering.
Bastiano era e restava fuori tiro, assediato da parassiti di ogni forma e dimensione. Temporeggiavo senza risolvermi ad alcunché, isolato in un angolo della saletta. Quando ci fu un momento di tregua nell’assalto al povero Autore mi feci coraggio e mi avvicinai.
– Bastiano…
Si tolse gli occhiali dal taschino, li pose a cavallo del naso e mi fissò: – Alex.
– Sono io.
– Mi fa piacere che sia qui anche tu.
Mi parve un po’ impacciato, curiosamente quasi malinconico. Non era ciò che mi attendevo da lui: – Sei contento?
Annuì con un movimento quasi impercettibile: – Potrei non esserlo? Almeno con te…
Professore, professore… – A interromperci una donna: quarant’anni passati da un bel po’ e taglia 42 ormai surclassata da almeno un decennio, ma ancora jeans e ancora felpa e ancora scarpe basse. Quel «professore» le ballava sulla lingua come una proposta oscena, un anticipo d’intimità che nessuno le aveva concesso. Bastiano l’accolse con cortesia incolore, specificò che non era professore di alcunché, firmò una copia del suo libro e accettò in regalo un volumetto dai colori sgargianti: …oh, piccole cose, racconti di gioventù.
Poco alla volta il rito andava terminando. Altre copie firmate, altri spasmodici tentativi di apparire sagaci e divertenti al cospetto di Lui, dello Scrittore.
Fu lui a venirmi a cercare una volta che fummo rimasti pattuglia, tanto da poter vedere i camerieri rilassarsi e scambiarsi qualche parola.
– Non sei venuto qui per il mio libro, non è così?
Il pallore delle unghie denunciava la forza con la quale stava stringendo il libro ricevuto poco prima. Era irritato? Deluso?
Decisi di giocare pulito: – Sono qui per affari, Sebastiano.
– Ah. Prudenza vorrebbe allora… – si voltò verso il coccodrillo del commerciale, intento a massacrare le ultime sbandate tartine poste a difesa di un vassoio già espugnato. Bastiano aprì la bocca ma la richiuse subito scrollando la testa. – No, – mormorò, – vieni, usciamo di qui.
Prese per un corridoio e lo seguii.
Arrivammo a un locale di passaggio dalle pareti interamente in vetro, aperto sulle scale di sicurezza.
– Qui.
All’esterno la pioggia continuava, intercettata dalle luci del giardino poste al livello del marciapiede. C’era un silenzio che è difficile sentire in città.
– Tu non hai mai letto le mie poesie –. Non era una domanda ma un’osservazione.
Ciò che temevo era accaduto ma stranamente non sentii la terra mancarmi sotto i piedi né cominciai a sudare. Mentire era impossibile. – È vero.
Si tolse gli occhiali e guardò il buio torbido oltre i vetri. – Non ha molta importanza… o, almeno, non ne ha più. – Sorrise: – quindi non ti sei mai accorto…
– Accorto di cosa?
C’era qualcosa di irreale in quella conversazione in un acquario fiocamente illuminato dalle luci perdute nell’erba, in basso. Faceva freddo e c’era troppo silenzio.
– Era uno scherzo, un piccolo scherzo, – guardò nella mia direzione. Probabilmente tutto ciò che riusciva a vedere erano poche macchie pallide. – Un piccolo scherzo… – ripeté.
– Io sono venuto per chiederti…
Mi interruppe senza riguardi: – Qual era lo scherzo? Almeno quello lo saprai.
– Non l’ho letto, Bastiano. Te l’ho detto –. Cominciavo a sentirmi irritato. Quel gioco del gatto col topo mi aveva stancato abbastanza da vincere il senso di colpa. – Se vuoi ascoltarmi, adesso…
– Dopo, dopo… – fece un movimento lento e pallido con la mano, che mi ricordò il guizzare del ventre di un pesce nell’acqua torbida. – Dopo ti ascolterò. E firmerò ciò che mi chiederai di firmare. Perché sei qui per un contratto o qualcosa di simile, non è vero?
Quello non era Sebastiano, o perlomeno non era il Sebastiano che avevo creduto di conoscere. Mi venne in mente all’improvviso la dedica sul suo libro di poesia, così poco in tono con il personaggio.
Udii una voce poco lontana: dottor Rescaldi…
– Ti cercano. – Dissi scioccamente.
Immaginai il suo sorriso: – Mi cercano da sempre, ma non mi hanno mai trovato. Nemmeno tu, Alex. Anche se eri meno stupido della media dei nostri compagni. Si è fatto tardi, non c’è più tempo. Anche perché non voglio più parlare di quel libro e di allora. Quel libro… beh lo scherzo è che quel libro non esisteva. Ne ho fatto stampare esattamente le copie che mi servivano. Quelle che ho regalato a voi, i miei amati compagni di scuola. Conteneva una prefazione estremamente idiota e qualche poesia presa a casaccio, ma soltanto nelle prime pagine e nelle ultime. In mezzo cento pagine giuste di nulla, di fogli bianchi. Nessuno di voi se ne è mai accorto. Nessuno, – rise, una risata senza allegria –. L’unica cosa sincera di quel libro erano le dediche. Ma molti non hanno capito neppure quelle… Dio come vi bastava la vostra mediocrità. Ne eravate investiti come di un grado o di un privilegio.
Passò qualche secondo. Avevo freddo, le mani intirizzite, i piedi insensibili incollati al pavimento.
– Andiamo adesso? – mi chiese. – Possiamo andare? – Uscì dalla stanza ed entrò nel corridoio illuminato. Si fermò, indossò di nuovo gli occhiali e sorrise. Era soddisfatto, rilassato. Non aveva più scheletri nell’armadio né conti da regolare. Aveva una voce stranamente dolce, il tono di un padre che si rivolge a un figlio non troppo sveglio quando disse: – Vieni, vieni allora. Andiamo a firmare un ricco contratto.
Rientrammo nella luce e nel calore.
Ci guardarono con curiosità. Immaginarono ci fossimo appartati per concludere qualche accordo. A essere sulle spine il coccodrillo che, esaurite le tartine, aveva cominciato a nutrire sospetti deprimenti di trattative segrete e tradimenti. Tutto normale, insomma. Vita quotidiana.
Come promesso firmò il contratto e mi permise di accompagnarlo a casa. Lo salutai mentre si allontanava curvo sotto la pioggia.
Non lo rividi mai più.

Ritrovai il suo libro di poesia soltanto anni dopo, quando dovetti cedere la casa dove mia madre era morta.
Lo aprii e lo sfogliai.
Risi per la confusione e il sollievo ma sentendo anche una punta di smarrimento, un’imponderabile paura che fino a quel momento avevo provato soltanto guidando in una notte di temporale, circondato da un buio indifferente a me e alla mia esistenza.
Una strana paura che solo lui, Bastiano – il pirla, aveva saputo risvegliare in me.
Non c’erano pagine bianche: il libro era scritto in ogni sua parte.
La prima delle poesie era intitolata: Vela all’orizzonte

 

8 commenti:

Unknown ha detto...

Bel racconto, e l'io narrante è adeguatamente odioso, direi.
Grazie per la lettura! :)

Nick Parisi. ha detto...

@ Direi che l'io narrante è quantomeno squallido. Bella l'idea del libro con le pagine vuote. ;)

Massimo Citi ha detto...

@LyraNerina: ben contento del tuo gradimento. L'Io narrante è - io temo - una discreta rappresentazione di ciò che temo di diventare. Un buon esempio dello stesso genere è nel racconto apparso sull'ultimo ALIA: Il soffio lontano del vento che so che possiedi : )

Massimo Citi ha detto...

@Nick: squallido forse è persino eccessivo, via. Magari un pochino cinico e senza scrupoli, questo sì, come temo si diventi lavorando in certi ambienti. Il libro con le pagine vuote è probabilmente l'ultimo scherzo del buon [Se]Bastiano ai suoi ex-compagni di scuola. Il protagonista ci ha creduto ciecamente, comunque, segno evidente che poi non è così furbo come crede di essere.

Marcella Andreini ha detto...

Devo mettere in atto questo scherzo...diabolico averlo pensato!

Massimo Citi ha detto...

@Marcella: dev'esserci qualcosa di malato in me, evidentemente. Eppure anche a scuola passavo per una persona seria. Ma era troppo forte il desiderio di dimostrare (e dimostrarmi) che non bisogna mai giudicare - per condannare - gli altri.

consolata ha detto...

Fin dal primo istante sono stata dalla parte di Bastiano e ho provato una grande avversione per l'io narrante, devo preoccuparmi? però giuro che non ho mai scritto "Vele all'orizzonte". Smack.

Massimo Citi ha detto...

@Consolata: sei proprio sicura? Tutti hanno qualche scheletro nell'armadio :)
La cosa a suo modo divertente è che il protagonista c'est moi o perlomeno lo è in maniera preponderante. Per spiegare meglio che cosa intendo puoi dare un'occhiata alla risposta al commento di LyraNerina. Un bacionissimo.