26.2.21

Altri libri? Sì, altri libri

Lorenzo Alessandri
 

Non sono stato particolarmente bravo in questi ultimi tempi e quindi non ho letto come dovrei e come avrei potuto, ma mi sono limitato a letture temporanee o a riletture. In particolare sto rileggendo Terminus Radioso di Antoine Volodine, interrotto qualche mese fa – senza un motivo preciso, ma i rapporti con i libri possono essere capricciosi e infedeli – e ora ripreso senza particolari problemi e con un certo piacere. Ma di questo parlerò in un altro dei miei lunghi interventi. 

Se i libri letti di recente sono stati un numero ridotto (tre in tutto), non sono pochi i libri letti in precedenza e dei quali non ho parlato né scritto e che ora tenterò di sbrigare in questo post. Terminato il quale dovrò riprendere un mio vecchio racconto – anzi due racconti e un romanzo – abbandonati e ora meticolosamente stampati, in attesa di essere riesumati, corretti e completati. «Abbandonati perché…», no, non c'è un 

 

 
perché, diciamo che periodicamente attraverso momenti nei quali tutto ciò che ho scritto mi sembra irrimediabilmente mediocre e quindi degno di essere cancellato, distrutto, dimenticato. In genere il mio spleen non mi permette di mettere in pratica decisioni radicali come cancellare tutto o bruciarlo, come si faceva in altri tempi, ma  lascio tutto al punto nel quale ero arrivato e cerco di dimenticare. Adesso sono in un'altra fase, quindi cerco di riannodare i fili spezzati e riprendere a scrivere. Non so in quale dei due momenti sono davvero me stesso, la ragione (o ciò che più le somiglia) mi spinge a credere che lo sia la fase distruttiva mentre l'emozione (e il narcicismo) mi spingono a credere che lo sia la fase costruttiva. In ogni caso riprendo a lavorare, almeno fino alla prossima eclissi. 
 


Il primo di cui parlare o l'ultimo libro letto è Torino magica di Vittorio Del Tufo, Piccola Biblioteca Neri Pozza, 2020. NON si tratta di uno dei tanti volumi dedicati alla città nera, uno dei tre vertici di un triangolo bianco che comprende Torino, Praga e Lione, o un altro triangolo magico (nero) che comprende Torino, San Francisco e Londra, quanto un tentativo di ragionare più o meno storicamente sulla storia mitica e reale della città e sul suo passato remoto e prossimo. Non mancano i riferimenti alla cronaca recente – l'incendio del cinema Statuto nel 1983, per esempio, dove morirono sessantaquattro persone – o allo strano caso di Diabolich (sic!) che negli anni '50 attirò su di sè l'attenzione di media e forze dell'ordine, o dei rapporti dell'artista Lorenzo Alessandri, un raffinato surrealista, al quale devo alcune delle immagini di questo post, sempre in odore di satanismo (peraltro da lui recisamente rifiutato) o, ancora, del libro di Giorgio De Maria, Le venti giornate di Torino (del quale ho parlato qui) pubblicato una prima volta nel 1977 e recentemente ristampato da Frassinelli, ma questo senza dimenticare i rapporti pressoché secolari dei Savoia con le confessioni ostili alla Chiesa, la presenza costante e tollerata, quando non spinta alla ribalta della massoneria – dalla Loge de Saint Jean la Mystérieuse alla loggia Ausonia, nata nel 1859 –  alle controverse e mai definite simpatie della famiglia reale nei confronti di maghi e negromanti. 
 
Lorenzo Alessandri

 
Un libro che tenta, anche se in un modo umorale e in qualche caso semplicemente disordinato, di raccogliere e riunire un'interminabile serie di saggi sulla «Torino magica», – da Giuditta Dembech a Peter Kolosimo a Massimo Introvigne a Enrico Bassignana – fornendone una versione in qualche modo "postmoderna", citandoli e solo raramente sorridendone, senza allineare né prove né smentite, ma limitandosi a raccontare fatti piccoli e grandi, con un certo, innegabile humour. Onestamente resto dell'idea che il dizionario di Massimo Centini, Torino magica fantastica leggendaria, oltre 300 voci sui misteri della città[1], sia di gran lunga più utile, anche se meno immediatamente leggibile, per farsi un'idea delle tradizioni di Torino. Con tutto ciò resta il "mistero" di Torino, città nata all'incrocio tra due fiumi e che è «una città malinconica, austera, inquietante […] Una città, diceva Italo Calvino, che invita alla logica e, attraverso la logica, apre la strada alla follia.».                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                          
 


Brusco cambio di genere, storia e nazione: siamo a L'Invincibile di Stanislaw Lem, l'autore, per chi non lo ricordasse, di Solaris, uno testo magistrale dal quale sono stati tratti due film, il primo, di Andrei Tarkovskij, a mio parere assolutamente inimitabile. Il testo originale di Lem è del 1964 e l'edizione Nord, rigorosamente tradotta dal polacco da Renato Prinzhofer, è del 1974. Il testo, ripescato nella mia seminesplorata biblioteca di sf, ha una copertina "astratta" di Renato Pestriniero e conta su 193 pagine, senza né pre- né post-fazione. La vicenda è relativamente facile da raccontare: in un indefinito futuro una nave stellare, L'Invincibile raggiunge un pianeta extrasolare, Regis III, per ricostruire le circostanze della misteriosa scomparsa della nave gemella, la Condor, che ha da tempo cessato ogni trasmissione verso la base. Il pianeta è teoricamente abitabile per gli umani ma non esistono forme di vita terrestri – soltanto gli oceani sono abitati da una fauna abbondante – e l'atmosfera, pur risultando dotata di un 16% di ossigeno, contiene quantità di origine misteriosa di metano.

Entro breve tempo il personale della Invincibile individua il luogo dove si trova il relitto della Condor ma tutte le ricerche attuate sul relitto e sui cadaveri giungono a conclusioni assurde o contradditorie o inspiegabili mentre uno strano fenomeno, che riduce gli uomini al rango di neonati balbettanti, inizia a colpire anche il personale della nave di soccorso.   

La spiegazione di ciò che è accaduto alla Condor e di ciò che sta avvenendo all'Invincibile emerge gradualmente, in una felice e ardita applicazione della teoria dell'evoluzione a uno zoo di feroci automi alieni. Gradualmente l'Astrogator, Horpach, e l'Ufficiale di rotta, Rohan, giungono alla medesima conclusione e decidono che l'umanità farà bene a tenersi molto lontano da Regis III. 

Un elemento che balza subito agli occhi a chi conosce la produzione narrativa di Lem è la presenza di un'entità non-umana – o sovrumana come in Solaris – in qualche modo ostile o comunque indifferente nei confronti della sorte degli umani, un'entità che non affronta il rapporto con l'umanità secondo criteri comprensibili o afferrabili ma seguendo una propria logica basata su criteri logici ma per noi sostanzialmente inafferabili. 

Quando si dice il sense of wonder.

L'Invicibile è un romanzo che ottenne la felice recensione di Ursula K. LeGuin: 

«…nel presentare un "universo terribilmente aperto", non comprensibile per gli esseri umani, lo fa in modo tale che "la scala umana non viene distrutta, e nemmeno scossa. Perché, per quanto possiamo non capire il come, il perché, o persino il che cosa, dobbiamo agire, e i nostri atti conservano nelle più remote profondità dell'abisso, il loro valore morale inalterabile. Nei romanzi di Lem il centro di gravità è l'etica".»[2]

dimostrando una grande considerazione non solo per questo testo ma per l'intera opera di Stanislaw Lem, considerazione che non posso che condividere. Non è stato così facile accostarsi a un'opera tanto curiosamente diversa dalla sf attuale, del tutto priva di presenze femminili, dove i rapporti che legano tra loro i personaggi sono determinati dalla disciplina militare e l'autoanalisi, la riflessione, le considerazioni di ogni personaggio nei confronti della propria vita assumono un rilievo pubblico e collettivo. Il citare la parola «etica» da parte della LeGuin parlando dell'opera di Lem ha un rilievo reale, spostando la sf dal campo della semplice avventura – che comunque non manca – a quello della riflessione e dal terreno dell'invenzione scientifica e quello della costruzione filosofica. Un romanzo davvero notevole anche se mi rendo conto che non à facile ritrovarlo. Ma tentare non costa niente... [3]

 


Nuovo cambio di luogo e vicenda. Questa volta siamo nella Gran Bretagna della seconda metà del XIX secolo. Idealmente concepito nel 1857, l'Oxford English Dictionary prese forma così (cfr. Wikipedia): 

Il lavoro di compilazione iniziò a pieno regime nel 1879 sotto l'energica direzione di Sir James Murray. Cominciata nel 1884, la pubblicazione si concluse nel 1928 col dodicesimo volume. Nel 1933 ne fu pubblicata una edizione ridotta (Shorter Oxford Dictionary) che ha conosciuto diverse edizioni successive. 

Il libro Il professore e il pazzo di Simon Winchester è una saggio collocato nell'ambiente dell'Oxford English Dictionary che racconta delle non poche difficoltà nell'arrivare a creare un dizionario di tali dimensioni e con un tale approfondimento e della fatica superlativa di Sir James Murray, un testardo, gentile e distrattissimo scozzese, che dal 1885 in poi cominciò a ricevere:

«… foglietti di carta bianchissima non rigata, quindici centimetri per dieci, coperti dalla limpida calligrafia di William Minor, elaboratamente corsiva, e così peculiarmente americana, in inchiostro nero-verdastro […]» 

dove il dottor W.C.Minor annotava il libro nel quale aveva incontrato la parola descritta, le sue origini, il suo significato, l'accezione, se contemporanea o antica, se tuttora in uso o ormai desueta, i suoi derivati e collaterali, lemmi inviati in quantità crescente da un indirizzo che non aveva in apparenza nulla di misterioso. Ma l'invio continuo finì per risvegliare l'attenzione di Sir Murray che giunse alla conclusione di voler conoscere un così valente collaboratore. Si presentò così a Broadmoor nella sede del manicomio criminale, convinto che il suo misterioso corrispondente non poteva che essere il direttore, ma ne fu non poco stupito quando questi dichiarò di non essere il dottor Minor: 

Il dottor Minor è qui, senza dubbio. Ma è un detenuto. È ricoverato da più di vent'anni. È il nostro paziente di più antica data.

Minor era infatti ricoverato – oggi più puntualmente diremmo internato – per l'omicidio di un operaio, George Merrett, compiuta in condizioni di assoluto squilibrio mentale. Una malattia mentale dalla quale il dottor Minor, ufficiale dell'esercito unionista nel corso della guerra di secessione, non guarì mai. Il sodalizio tra i due, cominciato in maniera quantomeno sorprendente, continuò felicemente fino alla morte del responsabile del progetto editoriale, Sir Murray, avvenuta nel 1915. Il dott. Minor lo seguì pochi anni dopo, nel 1920, dopo aver goduto di almeno un anno di libertà dal manicomio. La malattia della quale egli soffriva fu stabilito trattarsi (ma soltanto a posteriori) di una varietà paranoide della schizofrenia, alla quale si aggiunse negli ultimi anni della sua vita la daementia precox

La storia del rapporto tra i due padri dell'Oxford English Dictionary è stata raccontata nel 2019 da un film di P.B.Shemran, con Mel Gibson nei panni del professor Murray e Sean Penn in quelli del dottor Minor. 


 I tre libri dei quali intendevo parlare sono terminati e lo spazio consumato comincia ad avere qualcosa di sottilmente minaccioso. Ragion per cui parlerò (brevemente) di tre libri in tutto, i primi due di uno dei miei autori preferiti nel campo del poliziesco, Qiu Xialolong e il terzo, un testo ahimé rinunciabile, firmato da Andrew O'Hagan. 


L'ultimo respiro del drago [Hold Your Breath, China], è un romanzo del 2017, pubblicato nel 2018 da Marsilio mentre Di seta e di sangue [Red mandarin Dress] è un romanzo del 2007, pubblicato da Marsilio nel 2011 e passato nella collana Universale Economica Feltrinelli nel 2019. Il traduttore dalla lingua inglese di entrambi i volumi è stato Fabio Zucchella.

Il primo vede il protagonista, l'ispettore Chen della polizia di Shangai – recentemente messo in sordina a causa delle sue indagini che avevano colpito membri in vista del Partito – recuperato a lavorare su un'inchiesta che riguarda una serie di omicidi seriali, la cui vicenda finisce per intrecciarsi con quella di un gruppo di ambientalisti, in una Shangai sempre più inquinata e invivibile. Con un intreccio meno lineare che in altre occasioni, il libro racconta di come Chen riesca comunque ad arrivare ad una conclusione, anche se decisamente poco positiva per il partito e foriera di grossi guai per la sua carriera. Più critico nei confronti del Partito e della situazione politica in Cina, Qiu Xiaolong dà la sensazione di tollerare sempre meno i diktat del Partito comunista cinese e di spingere il suo protagonista a fare ricorso alla poesia e alla cucina per sopravvivere in una situazione sempre meno comprensibile. Nel suo insieme un romanzo meno riuscito, ma più preoccupante.

 



Di seta e di sangue è, al confronto, un testo più rilassante, sempre ammesso di poter utilizzare questo avverbio parlando di un poliziesco. Il vero "protagonista" della vicenda è un qipao, un tipo d'abito femminile in uso negli anni '30 nella Shangai dell'interguerra. Una donna viene ritrovata strangolata nei giardini prospicienti a una strada ad alto traffico, vestita soltanto di quel genere di abito, a suo tempo violentemente attaccato come "borghese" nel corso della Rivoluzione Culturale e di recente ritornato in auge nella nuova Cina comunista. Ben presto Chen si rende conto di avere a che fare con un omicida seriale che lo obbligherà a un penoso viaggio a ritroso nella Cina degli anni '70, alle prese con tempi e ideologie che ben poco hanno in comune con l'apparente pacioso comunismo contemporaneo. Un poliziesco non comune per l'attenta ricostruzione di quegli anni lontani e per la sensazione di smarrimento che pervade sia l'ispettore Chen che noi lettori, testimoni di una procedura "rivoluzionaria" più simile a un pubblico linciaggio che a un processo popolare. Da non perdere. 

 

E arriviamo così a La vita segreta, tre storie vere dell'era digitale, di Andrew O'Hagan, editore Adelphi. Le tre storie raccontate riguardano Julian Assange, un individuo che io per primo non so come giudicare, il dark web, ovvero il lato "oscuro" di internet e il presunto (ovvero l'avatar di Craig Wright) Satoshi Nakamoto, "inventore" del Bitocoin.

L'incontro con Julian Assange, iniziato a pagina 21, termina a pagina 92, anche se, personalmente, devo ammettere di aver gettato la spugna intorno a pagina 60. Infatti, una volta stabilito che Assange è un radicale di destra con formidabili tendenze narcisiste, – per le quali non merita nemmeno scomodare Max Stirner e la sua teoria dell'Unico – risulta tutto sommato inutile ripeterle ogni tre pagine, enumerando fatti e discorsi nei quali il nostro amato Assange ripete instacabilmente il mantra della propria fenomenale personalità, della propria missione e del proprio ruolo nel mondo. Oltre a questo, finisce per risultare petulante il narratore che non perde occasione di far notare quanto è stato difficile e tutto sommato inutile inseguire Julian Assange nel tentativo di scriverne una biografia. Non si ha nessuna difficoltà ad ammetterlo e buonanotte: si abbandona la lettura con una sensazione di affaticamento e di sottile nausea, nei confronti di Assange, certo, ma anche del noioso preteso estensore di una biografia inesistente. La sensazione è che O'Hagan abbia puntato sul cavallo sbagliato, continuando ad alzare la posta nel tentativo di raccontarlo, ma dovendo alla fine ammettere di aver sbagliato corridore. In generale, comunque, non sono riuscito a farmi un'idea precisa del nostro Julian Assange ma che, in fondo, non meritasse davvero farsela. Il che sospetto che non sia in fondo giusto.

Più stimolante la seconda parte del libro, dove O'Hagan racconta della sua incursione nel Dark Web e di come sia riuscito, falsificando, mentendo, dando falsa testimonianza, imbrogliando sui propri dati personali e combinandone di ogni colore ad acquistare farmaci, psicofarmaci, droga,  armi e quant'altro vi venga in mente di illegale. Interessante, tutto sommato, ma nulla di davvero sconvolgente: se non siete dei poveri ingenui non scoprirete nulla che non abbiate già sospettato. 

Terza parte dedicata a Craig Wright, alla sua entità virtuale Satoshi Nagamoto e al Bitcoin, la sua invenzione. Mi interessava non poco l'argomento, come il fatto che il Bitcoin sia l'unica forma esistente di valuta sganciata dalle banche centrali e dal sistema finanziario internazionale. I problemi fondamentali che il volume pone sono due: il primo è che qualunque testo in forma di libro sull'argomento rischia un inevitabile ritardo sulla realtà. Il libro è del 2017 e nel 2021, tanto per dire, un soggetto di nome Elon Musk ha investito una quantità considerevole di denaro in bitcoin e i pareri in proposito – oltre alle reazioni del mercato – sono stati quantomai diversi e constrastanti[4]. Il secondo limite è nell'autore del libro, ovvero un narratore e non un giornalista, quindi perfettamente in grado di raccontare le sfumatura di pensiero e di comportamento di Craig Wright ma sostanzialmente incapace di fornire una spiegazione utilizzabile per chi voglia informarsi sul Bitcoin, sulla sua funzione e scopo. In sostanza, tormentato da e-mail che mi invitano a investire sui Bitcoin, sono rimasto ignorante tanto quanto, pur continuando a pensare che, dal momento che non esistono pranzi gratis – detto popolare ma con evidenti legami alla termodinamica – faccio bene a NON investire in Bitcoin, nonostante le stravaganti e/o mostruosi aumenti e cadute del suo valore. Non sono un broker né mi sento di studiare per diventarlo. 

Il problema fondamentale non è probabilmente del libro in sé, che immagino si possa leggere come un gossip book con qualche divertimento, ma del mio atteggiamento sbagliato nell'accostarmi ad esso. Cercavo notizie e ho avuto farfalle. Avessi cercato farfalle sarei rimasto contento. 

 

 

Chiudo parlando di un libro che è stato uno dei miei regali per lo scorso Natale: I fratelli di Serapione di E.T.A. Hoffmann, editore L'Orma, collana Hofmanniana, edizione 2020. Premetto che avevo una vecchia edizione de I fratelli edita nel 1969 da UTET (già ditta Pomba [!!!]) nella collana I Grandi Scrittori Stranieri, ma si trattava di un'edizione incompleta, pur se apprezzabile. Questa eccellente edizione, curata da Matteo Galli in collaborazione con duecento germanisti di tutti gli atenei d'Italia, ha un solo grosso problema: l'apparato storico bibliografico e le note che occupano fino a metà pagina del testo. Basti pensare che sono attualmente a pagina 30 (+ 3 di Premessa dell'autore + XLV di note, introduzione, cronologia, bibliografia e tabella sinottica), avendo letto il primo racconto e ad aspettarmi ci sono altre 500 pagine... Oltre a questo il volume è un peso massimo e leggerlo sdraiato è peggio di una seduta di sollevamento pesi. Mi sono rassegnato a leggerlo alla scrivania ma visti i miei tempi sono certo che andrò molto lentamente nella lettura. Ma un e-book no? 

Finito, per questa volta. Mi rendo conto che l'insieme dei libri scelti dà un'idea un po' schizoide dei miei gusti. 

Beh, temo sia veritiera.

 

Lorenzo Alessandri



[1] Il fatto che sia mia moglie che io siamo riportati tra le 300 voci del dizionario non modifica il mio giudizio, anche se indubbiamente ha un peso... 😉

[2] dalle pagine dedicate a Ursula LeGuin su Facebook. 

[3] Del 2020 una nuova edizione della Sellerio. Dai, che lo trovate...

[4] Basti citare il parere di Bill Gates: «Se non avete i soldi di Elon Musk, lasciate perdere».


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