Ogni tanto penso che questa sarà il mio destino.
Quando mi accanisco a scrivere e passo ore davanti al PC.
Per scrivere mezza pagina. Riscrivere una frase. E non sentirmi mai del tutto soddisfatto né pacificato.
Ma a che diavolo serve scrivere?
Certo si può scrivere per sè (fatto), scrivere per pochi, volutamente (fatto), scrivere se si ha poco da dire (fatto) e se si crede di aver molto da dire (fatto, fatto!!!), scrivere se qualcuno ti chiede di farlo (fatto) e se nessuno ti chiede di farlo (quasi sempre). Scrivere se piove (il momento migliore), se è notte (non ce la faccio quasi mai) se c'è il sole (invece di andare a fare jogging). Scrivere sta al posto di vivere, ogni tanto penso. Un modo per governare un mondo che, almeno quello, ti deve ubbidire. Il mondo di Perky Pat (cfr. Philip Dick) , il gioco dei soldatini o delle bambole (praticamente la stessa cosa, a pensarci bene) che non ti stanchi mai di fare e rifare. E ogni volta viene un po' diverso. Qualche volta ti soddisfa, altre ti skifa. Ancora di più a distanza di tempo.
Eppure non riesco a smettere... Tanto è vero che scrivo pure qui.
Scrivere non è un lavoro. O meglio, scrivere sinceramente, onestamente, mettendoci dentro se stessi non può essere un lavoro. Al massimo un compromesso, un aggiustarsi per continuare a giocare senza doversi preoccupare di lavorare. Farlo senza essere famosi è un delirio. Una cosa da nascondere. Un vizio, una debolezza. Pura stupidità.
Ma impossibile da interrompere.
Ci sono altri coatti in giro?
Non gente che ha scritto un raccontino e frigge dal desiderio di farlo sapere a tutti. Ricevo tutti i giorni lettere di questo genere di autori. Faccio l'editore, sia pure piccolo come una mosca piccola, quindi è normale. No, scriventi oscuri che hanno scavato per anni e anni senza mai o quasi vedere la luce. Ma che non si sono scoraggiati.
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