Nonostante abbia letto già in (relativamente) giovane età l'omonimo romanzo di J.G.Ballard, una ventina di anni fa circa comperai – anzi comperarono i miei genitori – la casa nella quale io e mia moglie abbiamo abitato per quindici anni più o meno.
Periferia ma non troppo, vicina a un parco cittadino – anche se per arrivarci bisognava superare uno dei viali che conducono alla tangenziale – ma anche in un condominio.
Mi sembrava un problema irrilevante, anzi un non-problema, finché non ho partecipato alla mia prima assemblea di condominio.
Non esprimerò giudizi né considerazioni. Chi ha partecipato sa. Sa che nulla come un'assemblea di condominio fa emergere il cervello rettiliano, l'homo homini lupus, il Raskol'Nikov che dorme dentro di noi. Non solo: crea partiti, frazioni, sette, guelfi e ghibellini, bianchi e neri, Montecchi e Capuleti.
Io e mia moglie ne fummo stupiti e nauseati. Non abbastanza da vendere. Non, perlomeno, dopo la prima riunione. Ce ne vollero una dozzina, senza contare quelle alle quali non partecipammo per nausea delegando vigliaccamente l'amministratore.
Tutto questo discorso è una premessa a un libro curioso da poco arrivato in libreria che, cotravvenendo alle mie stesse norme, ho leggiucchiato qua e là con il sorriso un po' storto e un po' speranzoso di chi spera che l'autore sia capace di portarti a spasso.
Il titolo è Un certo senso, l'autore Francesco Fagioli, l'editore Marsilio.
In apparenza un carteggio a senso unico tra condomino e amministratore. La forma impiegata, almeno negli inizi delle lettere, quella ingessata e grottesca delle Raccomandate A.R. che perorano cause meschine e sostengono rivendicazioni futili. Salvo che dopo un po' le lettere deragliano, deviano sull'assurdo, sul delirio e, disastrosamente, sulla narrazione personale, sulla memoria, il rimorso, l'affabulazione senza freni.
Non potrei dire se si tratta o meno di un buon libro ma apprezzo l'idea. In fondo siamo circondati da una semiosfera fatta di spettabile e di con osservanza mi firmo Suo, solo che come per i fantasmi e gli alieni non vogliamo credere che tale semiosfera esista davvero finché non ci cadiamo dentro.
Adesso vivo in un appartamento in affitto. Non mi sento strangolato dal padrone di casa e non mi devo preoccupare se qualcuno ha sporcato il pianerottolo del 3° piano o se la signora del quinto ha comprato un cane. I soldi che paghiamo d'affitto sono perduti, è vero, ma li considero ben spesi se mi permettono di non incontrare il volto belluinamente meschino dei miei simili.
Ne conservo così un parere migliore.
Periferia ma non troppo, vicina a un parco cittadino – anche se per arrivarci bisognava superare uno dei viali che conducono alla tangenziale – ma anche in un condominio.
Mi sembrava un problema irrilevante, anzi un non-problema, finché non ho partecipato alla mia prima assemblea di condominio.
Non esprimerò giudizi né considerazioni. Chi ha partecipato sa. Sa che nulla come un'assemblea di condominio fa emergere il cervello rettiliano, l'homo homini lupus, il Raskol'Nikov che dorme dentro di noi. Non solo: crea partiti, frazioni, sette, guelfi e ghibellini, bianchi e neri, Montecchi e Capuleti.
Io e mia moglie ne fummo stupiti e nauseati. Non abbastanza da vendere. Non, perlomeno, dopo la prima riunione. Ce ne vollero una dozzina, senza contare quelle alle quali non partecipammo per nausea delegando vigliaccamente l'amministratore.
Tutto questo discorso è una premessa a un libro curioso da poco arrivato in libreria che, cotravvenendo alle mie stesse norme, ho leggiucchiato qua e là con il sorriso un po' storto e un po' speranzoso di chi spera che l'autore sia capace di portarti a spasso.
Il titolo è Un certo senso, l'autore Francesco Fagioli, l'editore Marsilio.
In apparenza un carteggio a senso unico tra condomino e amministratore. La forma impiegata, almeno negli inizi delle lettere, quella ingessata e grottesca delle Raccomandate A.R. che perorano cause meschine e sostengono rivendicazioni futili. Salvo che dopo un po' le lettere deragliano, deviano sull'assurdo, sul delirio e, disastrosamente, sulla narrazione personale, sulla memoria, il rimorso, l'affabulazione senza freni.
Non potrei dire se si tratta o meno di un buon libro ma apprezzo l'idea. In fondo siamo circondati da una semiosfera fatta di spettabile e di con osservanza mi firmo Suo, solo che come per i fantasmi e gli alieni non vogliamo credere che tale semiosfera esista davvero finché non ci cadiamo dentro.
Adesso vivo in un appartamento in affitto. Non mi sento strangolato dal padrone di casa e non mi devo preoccupare se qualcuno ha sporcato il pianerottolo del 3° piano o se la signora del quinto ha comprato un cane. I soldi che paghiamo d'affitto sono perduti, è vero, ma li considero ben spesi se mi permettono di non incontrare il volto belluinamente meschino dei miei simili.
Ne conservo così un parere migliore.
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