17.11.19

Il Mare Obliquo 42

Re Artamiro si sente sempre più solo e tradito. E misteriosi eventi continuano a perseguitare il suo accampamento. Un'inutile carica di cavalleria lo trascinerà molto vicino alla morte.
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– L'hai assaggiato, qualcuno l'ha assaggiato? – Il servitore annuisce con un secco cenno del capo. – E allora vattene, non voglio spettatori ai miei pasti.

Artamiro lancia un'occhiata di puro disgusto al prosciutto di cervo ed al pasticcio di cinghiale e reprime a fatica il desiderio di lanciare per aria piatti, vassoio, coppe ed il tavolo stesso. A trattenerlo è solo il fatto che nessuno della servitù darebbe troppo peso al suo gesto ed entro pochi minuti si troverebbe apparecchiata davanti una tavola identica, fino a quando non si fosse stancato delle sue bizze. «Un re per quanto potente è sempre un bambino» medita tra sè «con il quale usare infinita pazienza ed insieme fermezza.»

Non ci sono notizie da giorni del Duca Rossiter partito con uno squadrone di Lupi-Drago ed un reparto di Arcieri di Eriud alla volta di Huma, alle spalle delle posizioni dell'Armata della Casa d'Oriente per disturbare l'arrivo dei rifornimenti dei nemici. Questi dal canto loro hanno trascorso gli ultimi giorni ad alzare un'alta palizzata di tronchi interrotta da frequenti torrette, come se non cercassero lo scontro in campo aperto ma si preparassero a trascorrere l'inverno su quelle posizioni.

L'invio di squadre di Uhban a cavallo per disturbare i lavori degli uomini di Bartsodesh non ha sortito alcun effetto e così adesso quando lo desidera Artamiro può fare una bella galoppata a nord della foresta per rimirare la lunga palizzata adornata di stendardi.

Dei rinforzi promessi da Vamaiun e da Nyby Ornoll non vi è alcuna notizia e in compenso i miraggi ed i fenomeni inspiegabili continuano. Una fitta nevicata all'interno della tenda del Consiglio ha interrotto una seduta dei generali del suo esercito, sono comparsi volatili smisurati sui quartieri dei Syerdwin presto svaniti senza lasciare traccia, nel corso di una caccia alla volpe i cani si sono azzannati tra loro sbandandosi e la sua concubina preferita, la splendida Dama Ariadne di Lagorosso, gli è apparsa per un attimo dinanzi priva del volto come un Oom.

Tutti quegli incidenti hanno reso Re Artamiro anche più crudele e arcigno del solito, aumentando la sua proverbiale sospettosità e donando ai suoi lineamenti magri e nervosi una patina di anni e di stanchezza, scavando profondamente le rughe sulla fronte e intorno alla bocca.

Artamiro mangia poco e di scarso appetito. All'esterno la luce è grigia e malinconica ed il mondo stesso sembra essersi quietamente accomodato ad attendere la sua fine. Dalla corte arrivano solo cattive notizie: rivolte in lontane provincie, la morte alla nascita del primogenito di sua figlia Calissa. Inoltre dalle città lungo il Drew giungono notizie di uno strano fenomeno che sembra trasformare il fiume, la terra, gli alberi e gli abitanti stessi in bizzarre forme cristalline inerti.

Artamiro ha dovuto prendere decisioni, mandare le poche persone delle quali si fida ad indagare, ricercare, senza riuscire a scrollarsi di dosso la sensazione, sempre più forte, che non solo il suo impero ma la sua stessa vita corrono rischi sempre più gravi.

Teardraet si è ritirato nelle sue isole ed alle sue chiamate attraverso gli specchi gemelli risponde solo raramente, rivolgendogli parole tanto cortesi quanto inutili.

Fa chiamare uno dei suoi ufficiali e gli chiede. – Avete notizie del Duca Rossiter?

– Purtroppo no, Vostra Volontà.

Artamiro sbuffa. – Mi avrà tradito anche lui, se ne sarà andato come il Duca Kwister.

– Le nostre vedette…

– Non mi importa nulla delle nostre Vedette. – Urla Artamiro. – Fate montare la cavalleria. Date l'ordine, presto!

Il giovane ufficiale esita per un istante. – Allora? Tutti gli uomini disponibili, immediatamente. E fate preparare Emmedil e Key. Ho atteso anche troppo. – Il Re percorre a grandi passi lo spazio che separa la sua stanza dall'ingresso della tenda ed indica il cielo grigio. – Il tempo ci è amico, le basse brume copriranno le nostre manovre. Correte.



Rinvigorito dalla decisione Artamiro fa chiamare i suoi Valletti, indossa l'armatura e le insegne che indossava al vittorioso assedio di Chari ed esce dai suoi reali quartieri seguito da un piccolo gruppo di ufficiali e nobili, i pochi che siano riusciti a prepararsi.

Il suo ordine ha scatenato il caos nel campo.

Artamiro lo attraversa ostentando un'espressione di rabbioso disgusto. Ordina di far frustare una ventina di soldati ed ufficiali che gli sono parsi insufficientemente zelanti e a chi gli chiede informazioni urla. – Avanti, si va da Bartsodesh, da quel cane rognoso partorito da una strega e da un sifilitico. A cavallo, presto!

I suoi ufficiali esitano, parlottano tra loro a bassa voce ma nessuno osa discutere con il Re. Nessuno ha il coraggio di dirgli che una galoppata di un'ora sfiancherà i cavalli, che senza le macchine da guerra è divenuto impossibile superare le difese della Casa d'Oriente. Sballottati come marionette nobili ed alti ufficiali seguono Artamiro, che convinto di essere ritornato agli anni della giovinezza, galoppa per il campo esortando, urlando, insultando e minacciando.

In capo ad un'ora si sono raccolte poche migliaia di cavalieri, i Lupi-Drago dalle pesanti armature e dalle lunghe lance, poco più di cinquecento, sono l'unico gruppo che abbia già assunto una formazione e si dimostri pronto. Artamiro con il suo piccolo seguito va a porsi in testa a loro ma prima si ferma a parlare con il loro generale, il Barone Deshigu.

– Mi compiaccio, Barone, i vostri cavalieri sono immancabilmente i migliori.

Il nobile Marr si inchina rigido.

– Fate suonare il trotto. Si va a trovare Bartsodesh.

La tuba dei Lupi-Drago, emette un cupo richiamo ed il terreno trema scosso dagli zoccoli dei grandi cavalli da guerra allevati dal popolo del Nord. Ben presto il cavallo del Re rompe il trotto obbligando i lupi-drago e dietro di loro gli altri cavalieri a lanciarsi di corsa all'inseguimento del Re.

Percorrono la pianura che costeggia la foresta in un lampo, lasciando dietro di loro un terreno devastato e sconvolto, si arrampicano sulle basse alture che separano i due eserciti e ne discendono precipitosamente per accalcarsi sulla piana che fronteggia le fortificazioni di Bartsodesh. Il terreno lì è più arido, basse rocce e sassi affioranti tra l'erba fanno cadere i cavalli più stanchi, ma Artamiro non dà segno di rallentare. Attorniato da una corte di poche decine di cavalieri vede avvicinarsi la palizzata degli Orientali ed ha occhi solo per quella. Alle sue spalle i Lupi-Drago hanno mantenuto una parvenza di formazione frontale e procedono con le lance alzate pronte ad abbassarsi per la carica.

Alle loro spalle il resto dell'armata procede alla rinfusa, i reparti ed i seguiti dei nobili confusi e mescolati in un caotico incrociarsi di insegne e colori. Artamiro si volta più volte e sorride udendo il frastuono prodotto dalla sua cavalleria.

Non si avvede del sudore freddo, dell'incespicare frequente della sua cavalcatura: le basse torri del nemico sono davanti a loro, fragili costruzioni di legno che il loro impeto schianterà. Sugli spalti dell'esercito di Bartsodesh si nota ormai anche ad occhio nudo l'agitarsi dei nemici, l'accorrere alle difese.

Artamiro corre verso di loro come verso un miraggio, inebriandosi del proprio corpo ritornato giovane, e sentendosi forte ed invincibile.

Il barone Deshigu che cavalca al suo fianco è l'unico ad accorgersi della roccia celata nell'erba ed urla con tutta le sue forze attraverso la celata, ma il frastuono sollevato dalle migliaia di zoccoli copre la sua voce.

Il cavallo di Re Artamiro incespica, cerca di ritrovare l'equilibrio, oscilla, sgroppa ed infine crolla a terra con un terribile nitrito. Il re si aggrappa alla sella stupito e quindi precipita e cade immobile in una piccola macchia d'erba. Solo pochi si accorgono subito di quella caduta gli altri procedono ancora verso la lunga palizzata nemica. È il Barone Deshigu a far suonare la ritirata.






L'armata di Artamiro rientra nell'accampamento prima che la luce abbia abbandonato il cielo, portando con sè numerosi feriti ed un re che ancora respira ma la cui anima sembra aver abbandonato per sempre il corpo.

– Come sta?

Quiffrin il Cerusico, un rarissimo Syerdwin albino, apre esageratemente gli occhi di un rosa che ricorda il colore dei fenicotteri di Farsoll e si stringe nelle spalle, un gesto morbido, appena accennato.

– Siamo nelle mani di Miollkanei. – Dichiara a bassa voce citando una divinità del suo popolo. – La Polvere di corteccia di china combatte la febbre e l'infuso della Diedea mantiene leggeri e veloci i liquidi corporei. Sua Volontà non ha ancora ripreso conoscenza ma nulla nel suo capo sembra essere gravemente danneggiato. – Il Syerdwin nel pronunciare quelle parole lascia che il suo sguardo incontri quello di Drjol, il giovane mago Gu'Hijirr. – Questo almeno secondo l'onorevole opinione del mio stimabilissimo collega.

Il Duca Rossiter, appena rientrato, annuisce nervosamente, si siede sullo scranno posto al fianco del capezzale del Re per rialzarsi un istante dopo. – Ci sono movimenti da parte del nemico?

Il generale Kataiud sembra riprendersi da una breve parentesi di sonno, stringe con le mani i bordi del mantello allacciato sul petto e si schiarisce la voce. – Vegliano sugli spalti della propria fortificazione ed attendono.

– Certo, va bene, ma qualcuno sa dell'incidente occorso a Re Artamiro?

La calma sicurezza del militare sembra venire meno per un istante. – Non credo…Cioé in teoria è possibile che qualcuno abbia visto…

– E le spie? Vuol dirmi generale che il nostro campo non è imbottito di spie come un mulino che pullula di topi?

– ... Sì, certo, è probabile che…

– È stata predisposta una difesa? Se si trovasse al posto di Bartsodesh lei cosa farebbe? – Il Duca si avvicina al generale impalato nella propria posizione, il volto che va tingendosi di un bel colore porporino. – Eh? Lei cosa farebbe generale Kataiud se fosse appena un po' provetto di arte militare? Non coglierebbe al volo l'occasione per dare l'assalto al campo di un nemico con numerosi cavalieri feriti ed il morale a terra, il cui Signore giace tra la vita e la morte?

– Non se sapessi che il Duca Rossiter è ritornato ed ha preso in mano la situazione. – Dichiara serissimo Kataiud.

Il giovane Duca reprime l'impulso di scoppiare a ridere e fa un veloce cenno con la mano. – Sarà meglio non approfittare troppo di tanta insperata fortuna, comunque, ed erigere a nostra volta una palizzata dietro la quale prepararci a trascorrere l'inverno. Le prime nevi sono passate senza danno e l'Inverno ancora sonnolento ci ha concesso una breve tregua ma tra breve si risveglierà e cingerà d'assedio il campo. Non perdiamo altro tempo. Potete ritirarvi.

Il suo sguardo si posa subito dopo sul cerusico Syerdwin rimasto in piedi in un angolo della tenda. – Anche voi, Quiffrin, ritornate pure per la prossima applicazione.

Rimasto solo con Tamu Hiniun, il principe Syerdwin, ed il giovane mago Drjol, il Duca slaccia la cintura che sostiene la spada e torna a sedersi stendendo le gambe e abbandonando la testa sulla spalliera.
 – Invidia, incapacità, pigrizia, maldicenza, questi sono i fili dei quali è ormai intessuta la bandiera di Dancemarare. Su queste terre è riunita la più grande Armata che l'Orlo del Mondo abbia mai visto, ma essa è immobile, debole come un povero demente dalle fattezze terribili ma dal corpo malato.

– Ma perché Artamiro ha ordinato quell'impossibile assalto? – Si chiede Liest Hiniun. – Come pensava di superare la palizzata del nemico, quale visione, quale miraggio ha sconvolto la sua mente?

Il Duca Rossiter scuote il capo. – Una potente magia ha da tempo vincolato il cuore e la mente del nostro Re e talvolta penso che i suoi veri nemici non si trovino oltre Canddermyn ma qui tra noi ed a Dancemarare. O forse molto a Nord, dalle parti di Baran e Verhida.

– Ma se il Re non riprenderà presto conoscenza… – Inizia a dire Drjol subito interrotto dal Duca.

– Non dire, Drjol! Non chiederti neppure cosa accadrebbe! Corvi e sciacalli attendono da tempo il tramonto della Casa d'Occidente e l'affievolirsi del pugno di Artamiro. Non tutti gli Odo sono scomparsi nell'oblio e Vamaiun e Ornoll non attendono altro per allungare le proprie mani sulle terre della pianura. Il marito di Calissa, l'Arciduca Konstantin ha da tempo preparato amici e complici per la propria fortuna che ritiene quanto mai prossima ed anche qui non gli mancano sostenitori ed amici interessati.

– Il siniscalco del Re..



– Taci Hiniun, qui anche i muri hanno orecchie, piedi svelti e silenziosi e bocche per riferire.

Il Duca fissa il volto calmo e rilassato di Artamiro che sembra dormire finalmente tranquillo. – Il re deve tornare tra noi ad ogni costo, le sue insegne devono essere nuovamente issate alla testa dell'Armata, almeno finchè non sarà definita una volta per tutte la linea di successione.

– Tu sei il nipote del Re, figlio primogenito dell'amata Sorella Dama Ghifra. Non vi sono altre possibili linee: la Casa d'Occidente non prevede la successione femminile. – ricorda Liest Hiniun, ma con scarsa convinzione, quasi cercasse di rassicurare prima di tutto se stesso.

– La Casa d'Occidente o le armi di Artamiro? Vi è stata più volte una regina vestita dei colori degli Odo, Rachel, Regina dei Cancelli dell'Ovest, tanto per farti un nome. Capisci cosa intendo dire?

– Ammetto le tue buone ragioni, ma cosa ti fa pensare che un Re moribondo, appena appena in grado di cavalcare o anche solo lungamente convalescente possa mantenere unito il regno? In fondo Artamiro non è più giovane e ciò che accade oggi potrebbe accadere ancora domani.

– Non lo so, Drjol. È questo che volevi sentirmi dire amico mio? Ebbene te lo ripeto. Non lo so. Forse solo la paura mi spinge a mantenere in piedi sulla scacchiera un re ormai battuto ed assalito da ogni lato, in spregio ad ogni regola e a ogni uso. La tempesta infuria già e le armi del Re d'Oriente sono ben poca parte dei nembi che stanno ricoprendo il nostro cielo. Al buio topi e serpi assalgono senza vedere né sapere e la nostra luce si va facendo fioca, fioca come un tramonto senza la speranza di un'altra alba. – Il duca si alza per porre altra legna sul fuoco. – Fa freddo in questa tenda, non trovate amici miei? Il Re potrebbe avere freddo, potrebbe soffrire senza che noi possiamo udire la sua flebile, remota voce. La sua anima è debole come mai lo è stata e sola, tanto sola che neppure chi ha visto cadere il suo ultimo compagno nei deserti di ghiaccio può avere provato tanto freddo al cuore. Nel luogo dove si trova ora non vi sono voci di amici né sospiri di donne innamorate né canti o risa. Riscaldiamolo, amici miei, facciamo sì che il calore non abbandoni per sempre il suo corpo.

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