12.6.19

Il Mare Obliquo 15

…Intanto continua il viaggio di Usif-Lizhi e di Kirzil Pennarossa sulla spiaggia. di fianco alla Foresta di Cera. Ma l'urlo di una creatura sconosciuta li spingerà a rischiare tutto e a penetrare dove nessuno osa. È la notte quella che i due devono temere più di ogni altra cosa.
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– Cos'era?
– Non lo so.
Usif-Lizhi fissa il limite scuro della foresta di Cera, confuso con le ombre immobili create dalla luna.
– Sembrava un urlo, una richiesta di aiuto.
– Lo credo bene. Faremmo bene a prendere il largo più in fretta, stimolati da tale ammonimento.
– Ma Kirzil, forse c'è una creatura in pericolo là.
– Appunto. Non mi pare il caso di aumentare il numero di creature in pericolo.
– Tuttavia… – Il Notturno si ferma, le orecchie tese a cogliere altre voci o rumori. – Sembrava non troppo lontano. Veniva di là, a poche centinaia di passi da noi.
– Non voglio certo discutere le meravigliose doti del tuo udito che ha già salvato una volta la pelle di noi tutti. Però la vita è unica e non la si può spendere più di una volta. E poi, Usif-Lizhi, ti ricordo che non sei qui per svago ma per una missione per conto del tuo popolo. Se muori chi la compirà?
Il Notturno annuisce. – Hai ragione, Kirzil.
– Bene, allora proseguiamo?
– No.
– Ma sacri dei, non vorrai davvero entrare in quella foresta? Da lì non è mai uscito vivo nessuno, lo sai, no?
– Così si dice.
– Coraggio, ancora questa notte, l'ultima notte, poi Verdevima ci aprirà le sue porte e tu incontrerai Mahaderill. Non vorrai gettare via tutto così sconsideratamente?
In quel momento l'urlo si ripete, accompagnato da fruscii e da curiosi suoni simili a belati o a risate, talmente agghiaccianti che il Gu'Hijirr si chiede che effetto gli farebbe avere lo stesso udito del Notturno e sentire molto di più. Saggiamente decide di non pensarci. – Non morirò, Kirzil Pennarossa, non è ancora venuto il mio tempo. Un'Indovina mi ha profetizzato che vedrò l'Ultima Età del Mondo. Io vado, non seguirmi.
Detto questo Usif-Lizhi si volta e comincia a marciare verso il limite della Foresta, calmo e serio come se andasse a partecipare ad una cerimonia o ad un ballo a corte.
Kirzil lo fissa per qualche istante aggrottando la fronte ma senza fare commenti, anche perché è certo che grazie alle sue singolari doti il Notturno riuscirebbe senza fatica a udirlo. Usif-Lizhi si è allontanato di un trentina di passi quando il Gu'Hijirr urla: – Aspettami maledetto gufo, vengo anch'io. – Ed afferrata la ejiri, la spada dalla lama larga tipica del suo popolo, lo segue. Lo raggiunge quando pochi passi lo separano dai primi alberi.
– Hai udito anche tu una profezia sulla tua vita, Kirzil? – Gli chiede.
– Io non ho denaro da spendere in quel modo, Usif- Lizhi. Conto sulla mia buona fortuna e sul fatto che forse tu riuscirai a spaventare i mostri che abitano questa foresta più di quanto loro spaventeranno te.
Il Notturno ride sommessamente. – È possibile.
– Hai un'arma con te? – Gli chiede il Gu'Hijirr.
Usif-Lizhi annuisce, scosta il mantello ed estrae da un fodero che porta allacciato di traverso sulla schiena una lunga spada lunga e sottile che emette una debole luce azzurra, proprio come i suoi occhi.
– Bella. Ma la sai usare?
– Di questo non preoccuparti, faccia-di-cuoio. Adesso muoviamoci.
Kirzil, stupito che il Notturno conosca il nomignolo che i marinai umani danno abitualmente ai Gu'Hijirr, esita per un attimo, poi sputa nella sabbia, abbassa la testa e supera i primi alberi della foresta.
La luce lunare che penetra a fatica tra le fronde fitte degli alberi e il sottobosco, formato da strane piante dalle foglie sottili e taglienti, rende il loro cammino non facile, ma il Notturno, la cui vista non teme l'oscurità procede veloce come se stesse camminando su un sentiero di campagna. Ogni qualche metro la sua spada luminosa si abbatte sull'intrico di rami spinosi e foglie che cercano di rallentare il suo passo. Kirzil che arranca dietro di lui guarda stupito e insieme rincuorato quei veloci movimenti della lama di Usif-Lizhi che gli ricordano i giochi fatti con le torce dai più abili del suo popolo per la festa della Lunga Marea.
Il Notturno sembra non avere dubbi sulla direzione da prendere e non si preoccupa del fruscio prodotto dai loro passi. È possibile che conti davvero sul fatto di spaventare gli abitanti della foresta, medita Kirzil. Il Gu'Hijirr solleva lo sguardo: il viso ed il corpo del Notturno sono debolmente illuminati dalla luce pallida e fredda della sua spada e quando si volta i suoi grandi occhi che brillano della stessa luce, velando d'ombra il viso, sembrano quelli di un dio freddo e rabbioso, capace di crudeltà indicibili.
«Giuro che se non fossimo amici sarei terrorizzato quasi più da lui che da questa orribile selva.» Osserva tra sé il Gu'Hijirr, rimpiangendo di non avere mai avuto a sua volta sembianze così terrifiche. 

 
La foresta di cera è silenziosa come un sepolcro e tra gli alberi ristagna un'aria immobile, densa che ottunde i sensi e spegne i colori. I Lunghi alberi neri, dalla chioma simile alla fiamma delle candele posseggono una loro peculiare bellezza, anche se Usif-Lizhi non ha tempo per fermarsi a provare la strana sensazione di muta bellezza ultraterrena che essi sprigionano. Nascosti tra le loro fronde immote vede gli azzurri cenerini della faccia inferiore delle foglie, il rosso cupo delle profonde venature del legno e gli altri colori che non ha mai potuto descrivere a chiunque non sia un Notturno e non veda i mille tenui colori della Notte, quelli che ha provato tante volte a descrivere a Adwina: il colore di certi cristalli scuri, i colori nascosti in certi quadri o nellla trama di alcune stoffe. Lei ha finto di vederli, talvolta, per amore e quando le diceva «Se lo vedi, descrivilo» lei rispondeva con un sorriso da bimba cocciuta:«È impossibile raccontare un colore, Usif-Lizhi, lo sai bene.»
Ed il tenuissimo colore delle creature viventi, la loro aurea, diversa per ognuno, per ogni animale o pianta che riluce debolissima ed inafferabile. Mille volte si è chiesto se ci sia un rapporto tra il colore di una persona ed il suo temperamento, se quella strana capacità della sua razza possa in qualche modo essergli utile per distinguere gli amici dai nemici, inutilmente: quel delicato colore, simile a fumo sottile o ad un increspatura dell'acqua è un inganno, un'illusione, come quasi tutte le scorciatoie per comprendere gli altri, le loro intenzioni note e quelle ignote anche a chi le prova. E lui, lui stesso? Per quale motivo si è infilato in quell'impossibile ma bellissima foresta? Per allontanare la paura? Perché è un motivo per eludere il suo viaggio ed il suo disperato compito? O per lo sciocco desiderio di mostrare a Kirzil quanto può valere un Notturno, quanto può essere, forte, coraggioso, anche se la luce del loro sole può distruggerlo?
Alcuni scalpiccii, provenienti dalla macchia davanti a loro interrompono i suoi pensieri.
– Sono lì… – Bisbiglia Kirzil, ma un gesto imperioso del Notturno, immobilizzatosi di colpo, lo interrompe.
Inutilmente il Gu'Hijirr tende l'udito e cerca di vedere attraverso l'intrico maligno di rami e rampicanti: i suoi sensi da creatura degli acquitrini e delle acque tiepide e calme non è all'altezza della necessità.
Usif-Lizhi, saldo ed eretto come un guerriero dei tempi antichi, ode e vede, ma sembra esitare. Le creature che avanzano a pochi passi da loro non emanano nessuna aurea, non hanno colori né vita, non parlano, non respirano. Eppure camminano, con un passo rigido e senza esitazioni, come se un comando, una voce li chiamasse a sé. Colpito, il notturno si volta di scatto verso il suo compagno. Il Gu'Hijirr trasale per il suo movimento brusco, ma continua a tacere come ordinatogli. Dal suo corpo emana la consueta leggerissima nebbia del colore dei germogli d'erba ed il suo respiro è forte, affrettato.
– Canta, più forte che puoi. – Ordina con un soffio al Gu'Hijirr. – Presto.
Kirzil lo guarda stupito. – Ma…
– Canta, urla, fischia, battiti sul petto, fai quanto più rumore ti riesce.
Il Gu'Hijirr riflette per un istante poi comincia a cantare a squarciagola una ballata dei marinai umani, accompagnandosi con battiti delle mani e ululati in cadenza. – Va bene? – Si interrompe un attimo per domandare.
– Splendida. Vai avanti.



E la giovin signora
Scese giù nella stiva
Ma io non so cosa pensar
se ella incontrò l'amor
o si dovette accontentar
di bere o di mangiar.
E rossi i suoi capelli
e occhi come il mar
e pelle come seta,
come seta da sfiorar.
E ditemi voi, miei signor
se l'incontraste proprio qui
la bacereste oppure no?
Ditemi voi, miei signor
non vale forse l'amor
tutto l'oro dei velier?

– Attento! – Il grido soffocato del Notturno interrompe il canto di Kirzil che si mette in guardia puntando la ejiri verso l'oscurità.
Senza un grido o un sospiro i loro nemici escono dal folto del bosco, forme oscure appena visibili nella scarsa luce lunare.
Jeno, Lichd! – Comanda Usif-Lizhi e la sua spada si accende di una luce abbagliante, la luce di un sole che sia sorto per magia in mezzo al bosco. In quella luce Kirzil scorge i visi privi di lineamenti dei loro assalitori, ma non ha neppure il tempo di rabbrividire e si scaglia con la spada in mezzo a loro, colpendo e uccidendo come un principe guerriero.
I colpi vibrati dalla spada del Notturno illuminano come fasci di luce abbacinante il folto della selva e stordiscono i loro avversari che come falene continuano a gettarsi verso Usif-Lizhi ed a cadere. Pochi istanti dura la lotta, senza che un grido abbia disturbato il silenzio della notte.
Stordito Kirzil si guarda intorno cercando qualche nemico ancora in piedi, ma non ne scorge nessuno. La sola creatura ancora viva è Usif-Lizhi, in mezzo ad un mucchio di corpi immobili, lo sguardo fisso sulla luce della sua spada che vibra delicatamente. 

 
– Stai bene? – Gli chiede il Gu'hijirr.
Il Notturno non risponde e con un movimento improvviso scompare nella parete scura della vegetazione. Il movimento è talmente rapido ed inaspettato che passano alcuni istanti prima che Kirzil si accorga che il suo compagno lo ha lasciato.
– Usif-Lizhi? – Lo chiama ad alta voce, ma il Notturno è già troppo lontano per udirlo. Gu'Hijirr si chiede se seguirlo, ma il notturno non l'ha voluto con sé, chissà perché, e anche se la luce della sua spada è ancora visibile nell'intrico dei rami non è una cosa probabilmente troppo prudente seguirlo alla cieca.
«Mi pare che se la cavi piuttosto bene anche da solo.» Commenta tra sè Kirzil e, tratto dalla borsa un pezzetto di esca accende con quella un ramo secco facendosene una torcia. «Coraggio. Vediamo bene chi sono questi signori.»
Ad un passo da lui uno dei loro assalitori è caduto a faccia in giù. Kirzil gli molla un calcio per voltarlo, ma il suo colpo fa rotolare il corpo di qualche metro, come se la creatura non avesse quasi peso.
«Che diavoleria è mai questa?» Si chiede il Gu'Hijirr accostandosi ad un altro dei cadaveri, caduto supino. Sotto un ampio cappuccio il volto del morto è fatto di sacco come quello degli spaventapasseri e dal taglio che la spada di Usif-Lizhi gli ha aperto nel torace non esce sangue ma segatura e vecchi stracci.
«Magia.» Commenta il Gu'Hijirr accostandosi ad una altro dei loro ex-assalitori con lo stesso risultato.
«Eppure li ho ben veduti recare spade ed asce e scagliarsi contro di noi come soldati o briganti. Beh, sembra che in fondo non abbiamo ucciso nessuno, meglio così.» Medita Kirzil, dopo aver ispezionato tutti i corpi, dodici in tutto, senza aver trovato una sola creatura di carne e sangue. «Qualcuno, un mago od una strega, li ha guidati contro di noi. Chissà perché?» Il Gu'Hijirr si siede per terra incrociando le gambe ed estrae la pipa dalla borsa. «Nulla mi impedisce, comunque, di farmi una pipata mentre aspetto. Se tutti i nostri nemici sono come questi… Forse c'è qualcosa in questa selva che nessuno deve sapere né vedere. E quei lamenti? Saranno stati un trucco per attirarci qui? E a che pro?» Kirzil scuote la testa e tira una boccata. La luce della spada di Usif-Lizhi è scomparsa e questa non è certo una bella cosa. «Ho abbastanza esca da dar fuoco all'intero bosco, se necessario. Ho tabacco, pane, un po' di pancetta e quindi non ho motivo per preoccuparmi. È lui che deve fare in fretta, invece, l'alba non deve essere troppo lontana.»
Kirzil si alza nuovamente ad ispezionare i fantocci senza capire molto della loro natura e del loro scopo. Hanno tutti un segno disegnato sul petto, una specie di spirale scura ed intorno al collo hanno un anello di metallo leggero e malleabile. Perplesso il Gu'Hijirr torna a sedersi, giocherellando con la pipa senza accenderla. Ha la sensazione di aver già visto il simbolo che i fantocci portano disegnato sul petto, ma non ricorda più dove né quando. Inquieto guarda il cielo nascosto dalle fronde, con la sensazione che il giorno non sia più troppo lontano.
Passano altri lunghi minuti, scanditi dai leggerissimi rumori della foresta prossima al risveglio e Kirzil ha già quasi deciso di andare a cercare il Notturno prima che la luce del nuovo giorno lo colga, quando una luce debole e lontana si accende nel fondo della selva, dapprima incerta ed instabile, tanto che egli teme che si tratti di un illusione, poi più forte e nitida. E insieme alla luce vengono le voci, molte voci che non riconosce.


– Buongiorno, Kirzil Pennarossa! – Il Notturno ha un'espressione soddisfatta e orgogliosa come un ragazzino che abbia fatto qualcosa di veramente notevole e insieme a lui vengono una donna dai capelli bianchi come la neve e gli occhi del colore delle foglie nuove, un Lupo-Drago vestito di una pesante armatura nera e un uomo in compagnia di un Syerdwin tutti e due piuttosto male in arnese.
– Posso presentarti queste persone? La fata Mahaderill, il Barone Enklu di Nogu, i mercanti Noro Heban e Jai Wediliun.
Kirzil si inchina. – Kirzil Pennarossa di Bracewell. – Quindi si volta verso Usif-Lizhi. – Ma da dove vengono tutte queste persone?
– Da una caverna sorvegliata da una ventina di quei fantocci. – Risponde il barone Enklu dei Lupi-Drago. – Vittime di un incantesimo di sospensione.
– Ho lanciato un contro-incantesimo ed il Barone ha afferrato la sua ascia venendomi in aiuto. Erano un po' troppi per me solo, ma in due ce la siamo cavata già meglio. Poi è intervenuta Mahaderill e gli Oom rimasti sono caduti giù come marionette senza più fili.
– Veramente strano e straordinario. Ma come avete fatto a finire là, miei signori? – Chiede il Gu'Hijirr.
– Sono stata rapita nel sonno. – Spiega la fata. – Non saprei dire il perché. Per me è come se il mio sonno non si fosse interrotto finchè il Notturno non ha spezzato l'incantesimo con la sua magia di luna.
– Noi volevamo attraversare la selva per abbreviare il percorso per Verdevima. – Spiega uno dei mercanti. – Ma dopo il tramonto siamo stati assaliti da quegli orrendi pupazzi e portati alla grotta.
– Io dormivo, come la Signora Fata. – Spiega il Barone Enklu. – Quindici albe fa avrei dovuto incontrare il duca Kwister di Lö presso l'accampamento di Re Artamiro per portargli un messaggio da parte della sua Marrak, ma gli Oom mi hanno sorpreso mentre riposavo sulla spiaggia e non sono riuscito che a colpirne una dozzina prima di cadere nell'incantesimo. – Il Barone sorride mostrando una dentatura formidabile. – Però oggi mi sono vendicato. Ma… Come tutti i presenti ho un debito incommensurabile con il Notturno Usif-Lizhi. Tutto quello che posso offrirgli in cambio è il mio aiuto, dovunque egli vada e qualunque sia il suo destino. Disponi pure di me, signore Usif-lizhi, il mio destino è ormai legato al tuo. Al tuo servizio, Usif-Lizhi. – Il Barone Enklu porta una mano guantata al petto. – Per il Sangue, lungo il cammino.
– Sia così, nel nome di Duvelin, la Prima. – Continua Mahaderill.
– Sul mio onore. – Dice il mercante Noro Heban.
– Sopra e sotto le acque. – Conclude Jai Wediliun dei Syerdwin.
Il Notturno china il capo, commosso. – Grazie, grazie a voi tutti. Ma adesso abbandoniamo questa infausta foresta. Altri Oom possono essere in agguato e forse anche altre creature.
– Andiamo, presto. – Gli fa eco Kirzil. 

 
– Scusa, Usif-Lizhi, posso sapere una cosa? – Chiede il Gu'Hijirr quando il gruppo ha abbandonato la foresta e il notturno riposa al riparo di una tenda vicino alla riva del mare.
– Certo.
– Chi o meglio, cosa sono gli Oom?
– Spiriti senza un proprio corpo, sospesi tra vita e non vita, ma desiderosi di entrare nel nostro mondo da viventi. Li chiamano così i Syerdwin del Nord, che li conoscono e li temono. Solo un mago estremamente potente li può controllare e richiudere in una forma sensibile.
Kirzil annuisce con una smorfia di disgusto. – Bella roba, né vivi né morti. Ma questi Oom, come li chiamate, avevano qualche insegna, qualche segno sui loro abiti?
– Sì, l'avevano. Non vi ho fatto molta attenzione sul momento, ma ora che me lo ricordi… Avevano un simbolo dipinto sul petto, una specie di…
– Una specie di spirale, vero?
– Sì, proprio così. Sai cosa significa?
– Riposa, ora, Usif-lizhi. Io faccio una piccola indagine e lo saprai. Buon riposo.
– Buon riposo, Kirzil. – Risponde distrattamente il notturno. Uno strano pensiero gli ha attraversato la mente, un pensiero che forse non ha significato. O che forse ce l'ha. Forse i loro destini e quelli di tante altre persone sono legati a quello strano simbolo. Forse il loro incontro non è stato casuale come può apparire, così come non è causale la presenza di quelle persone e non altre nella foresta di cera. Usif-Lizhi volta il viso verso la parete della tenda. Il sonno arriva come un'ala di oscurità e si abbandona ad esso con riluttanza, come se esso potesse cancellare qualcosa di estremamente importante.

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