16.11.18

Calibano XIII. Cose di ogni giorno.



Cose di tutti i giorni
 
– Ma la pagano bene, Pelagio, per questo lavoro?
L’astronauta Tartoide solleva il capo dalla consolle di comando della Voodoo, inserisce il volo automatico e si adagia sullo schienale della poltrona. Si risolleva un istante dopo, assesta un pugno alla consolle ed annuisce soddisfatto constatando l’entrata in funzione del circuito preposto al pilotaggio strumentale.
– Diceva… Ah, sì: il pagamento. – Pelagio chiude per un attimo gli occhi e li riapre lentamente. – Lei é giovane, vero signorina?
Mirella annuisce.
– Bene, io invece non lo sono per nulla. Eppure una trentina di anni fa ho accettato un’offerta di lavoro, fidandomi delle assicurazioni di Ahriman Godetai, una persona apparentemente molto per bene.
– E così?
– Sono stato regolarmente pagato per i primi due anni di lavoro, poi gli stipendi hanno cominciato a saltare qualche mese. “Alcune difficoltà passeggere” mi é stato detto. Attualmente sono creditore verso la Società di duecentosettemila galattodindi più gli spiccioli.
– Ma ha fatto qualcosa per recuperare il suo credito?
– Certo, ogni volta che torno su Gomorra vado a protestare da Ahriman che mi dà qualche galattodindo e aumenta il mio stipendio teorico. Ormai credo di essere pagato come un funzionario anziano del governo galattico, ma se provassi mai a chiedere i miei soldi per la società sarebbe il fallimento.
– Ma non é giusto, é una truffa. Non esistono sindacati da voi? – Insorge Mirella.
Il tartoide fa una specie di sorriso, di quei sorrisi timidi e pensosi che sulla Terra riescono bene solo ai nonni della pubblicità, e scuote il capo.
– Esistono eccome. Ma se la Società chiude io cosa ci guadagno? Mi sono affezionato a questa nave ed al mio lavoro. Mi piacciono i ratti ed i mici e anche Foxtrot non mi sembra poi un pianeta così brutto. E per quanto riguarda gli uomini, almeno alcuni non sono poi tanto peggio di tanta altra gente.
– Ma lei ha famiglia? – Chiede Mirella, temendo di sembrare una trepida fanciullina. Se riesce a tollerarlo è solo per l’invincibile simpatia che le ispira il tartoide, simile come una goccia d’acqua alla tartaruga di peluche dalla quale, bambina, non si staccava mai.
– Come no? Sono padre di una trentina di tartoidi. Ogni tanto mi scrivono o mi chiamano col Teleimago. Sono sparsi un po’ per tutta la galassia, ma hanno fatto una buona riuscita.
Mirella tace, perplessa. La risposta di Pelagio sembra mancare di qualche particolare fondamentale che al momento non riesce ad afferrare.
– Prima o poi dovrò decidermi e chiedere un po’ di ferie – osserva a bassa voce il pilota dopo qualche secondo di silenzio. – Il Tempo dell’Onda é già venuto e non posso saltarlo un’altra volta. È vero?
Mirella si porta una mano alla bocca, mordendosi le labbra: chissà se Pelagio vuole davvero una risposta a quella domanda e, soprattutto, quale sarà mai la risposta giusta?
– N-no, non credo. – Tenta alla fine con voce quasi impercettibile.
– Eh, già. Poi Theri non me lo perdonerebbe mai. Andare un’altra volta alla Cupola dei Nuovi per le sue uova non é una bella cosa, vero? 

 
– Certo, no. – Approva Mirella sempre più confusa ma rincuorata per aver imbroccato la prima risposta.
– O magari potrebbe arrangiarsi con Julius, quel perticone imbecille, e questo non potrei sopportarlo, eh no! Bisogna che risolva il problema. – La guarda per un attimo. – Lei non sa guidare una nave, vero?
– Temo di no. – Dichiara Mirella compunta.
– Dovrò aspettare che questa missione sia finita, allora. Non é che l’altro… Ma no, figurarsi.
– No, nemmeno Edoardo é capace. – Conferma Mirella, felice che il cugino non sia nei dintorni ad affermare spudoratamente di saper portare un’astronave pur essendo all’ultimo posto nel bonus-malus della sua RC auto.
– Non é che sia difficile, sa? Però ci vorrebbe troppo tempo… Lo vuole un caffè?
– Certo. Dove siamo ora?
– Un bel po’ fuori dal sistema di Foxtrot. Dove si é cacciato suo cugino?
– Starà dormendo.
– Probabile. Preferisce panna o latte?
Mirella sorride. Non lo ammetterebbe mai ma uno zio come Pelagio è sempre stato il suo sogno. – Panna, grazie. 
 
Gente noiosa 
 
In tutta la galassia l’immortalità è una consuetudine banale, un argomento di conversazione talmente scialbo da non meritare neppure un fuggevole accenno, nemmeno in una sala d’aspetto o in ascensore.
Anche il nome legato alla sua scoperta, quello di Malinconico Blues, soffre della stessa sorte di argomento saputo, desueto e poco stimolante, caratteristiche che, tutto sommato, ben si attagliano alla personalità dello scopritore del principio del “Tempo Prolungato Soggettivo”.
Malinconico Blues è nato, cresciuto e tuttora residente su Detrito Umido, un pianeta dotato di due caratteristiche principali: il record galattico di piovosità, cioé di 400 giorni di precipitazioni in un anno di 402 giorni ed il più elevato numero di Grandi Maestri di Scacchi dell’universo conosciuto.
È un individuo timido, leggermente balbuziente, pignolo, abitudinario, afflitto da miopia psicosomatica e soprattutto un’assoluta schiappa davanti alla scacchiera e in generale in tutti i giochi di società. Oltre a questo Malinconico è una creatura dalla conversazione ingessata come un’inchiesta sulla sessualità pubblicata da Famiglia Cristiana, non è dotato di talenti da narratore, è sessualmente prevedibile e quando si ubriaca dorme. È quindi radicalmente inadatto a frequentare le dissolute e allegrissime feste che si tengono da tempo immemorabile su Detrito Umido.

 
Resta da dire infine che è un individuo bruttino – una specie di trampoliere dagli occhi cipollosi – appassionato solo di argomenti come la vita degli insetti sociali, la percezione del sé nel coma profondo o la depressione nel romanzo contemporaneo, tutti temi sui quali, beninteso, riesce a dire più o meno quattro parole prima di incepparsi fissando smarrito l’interlocutore.
Insomma, Malinconico Blues è ciò che in ogni società verrebbe definito un IMBRANATO MICIDIALE (purga, piattola, quaresima, penitenza, piaga, palla terrificante, angoscia, peso ecc. ecc.)
Come si può facilmente intuire, se normalmente la settimana lavorativa di Malinconico Blues è deprimente, le serate noiose fino al dolore fisico, i sabati piatti e deludenti, ciò che veramente è quasi mortale per Mally (devastante nomignolo affibbiatogli dalla compianta zia Ortensia) è la domenica pomeriggio piovosa di Detrito Umido, quella domenica pomeriggio che i suoi simili trascorrono con giochi di società, accanite partite a scacchi, maratone sessuali o banchetti della durata di un giorno, ravvivati da conversazioni scintillanti di intelligenza e buonumore e da barzellette raffinate ed esilaranti. (Malinconico si ricorda solo una barzelletta, per giunta piuttosto cretina, che tutti conoscono già, ma che comunque non sa raccontare).
Le domeniche pomeriggio di Malinconico Blues, grigiastre, umidicce ed eterne, formano tuttavia la base concettuale della teoria del “Tempo Prolungato Soggettivo”, il ben noto fenomeno per il quale, quando la festa si affloscia, qualunque orologio osservato e riosservato dopo l’intervallo di un’ora, afferma spudoratamente che sono passati solo 5 minuti o anche meno.
Mally, alla disperata ricerca di un passatempo purchessia (anche piuttosto noioso come lo studio della percezione soggettiva del trascorrere del tempo) dopo ripetute osservazioni, l’uso di computer ultramoderni, agguati ripetuti alla pendola del salotto, – appartenuta alla zia Ortensia, spentasi dolcemente mentre ascoltava il racconto di un film visto dal nipote – giunse infine a scoprire l’esistenza della RCN. La “Reazione Cronoattiva Neuroendogena” è un meccanismo neurobiologico in grado di influenzare la percezione biologica del tempo ed i processi ad essa correlati, determinata da una zona del neopallio deputata a decidere se uno se la sta spassando o meno.
Alla scoperta della RCN fece seguito l’osservazione nota come “del cronomasochismo”, ossia la constatazione che per qualche perverso motivo la sunnominata zona del cervello si preoccupa di prolungare la durata soggettiva del tempo nei momenti di noia abissale provvedendo,per converso, a ridurre i tempi di reale divertimento, fenomeno che chiunque può verificare a casa propria con minima spesa. 

 
Mally realizzò in seguito artiginalmente la prima RCN artificiale utilizzando due computer modello Drago 2000, la pendola, la registrazione ultraperfezionata di una pioggia sottile ed uggiosa, una saliera in forma di pastorello piangente e il puzzle mai terminato di un paesaggio sotto la pioggia.
Attualmente ogni membro senziente delle civiltà galattiche porta con sé un piccolo induttore di RCN, la cui funzione fondamentale è quella di convincere la propria porzioncina di cervello che ci si sta mortalmente annoiando, inducendo una serie di meccanismi endogeni tali da prolungare la vita indefinitamente.
Uno degli aspetti più interessanti della scoperta di Mally è il fatto che questa ha permesso di stabilire che in ogni razza senziente e semisenziente, nonostante le enormi differenze evolutive e filogenetiche, esiste una frazione del cervello incaricata di creare una RCN, osservazione che ha indotto taluni etologi e biologi evoluzionisti a postulare la necessità della noia come meccanismo di autodifesa dell’organismo e a denunciare la fondamentale pericolosità del divertimento.
Naturalmente questo genere di scienziati non è abitualmente invitato alle festicciole tra membri dell’università, soprattutto a quelle un po’ movimentate e a maggior ragione a quelle dai risvolti piccanti.
Resta da dire, per smorzare facili entusiasmi, che una delle precauzioni da prendere nell’uso di un induttore di RCN, è la necessità di autoinfliggersi un paio d’ore di noia intensa e genuina ogni tre o quattro giorni, esigenza legata a talune caratteristiche neurorecettoriali della zona cerebrale coinvolta. Questo permette a predicatori intolleranti, oratori dall’eloquenza mortale, politicanti trombati, musicisti perennemente scordati e registi di film dogma di riempire parchi, aule, cinema e luoghi di esibizione tra i più vari di un pubblico rassegnato e sbadigliante, pronto ad inferocirsi unicamente nel caso improbabile dell’apparire da lontano di qualcosa anche solo tiepidamente interessante. 

 
In quanto a Malinconico Blues, ora molto più ricco e decisamente più popolare di un tempo, grazie alla piaggeria dei suoi concittadini vince sempre a scacchi, possiede diversi grossi volumi di barzellette che il Primo Attore dell’Accademia Imperiale di Prosa di Rigel gli insegna a raccontare, stipendia sei maestri di Conversazione Fine del Supremo Cenacolo della Mondanità di Kokteilparti, ha numerose amanti ma continua a provare un’inspiegabile nostalgia per le domeniche pomeriggio passate ad ascoltare il vecchio pendolo della Zia Ortensia.

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