Avevo promesso di ritornare ai libri e questo farò. Come promesso.
Parlare di libri... non è così facile, di questi tempi.
Mondadori, per dire, ha ristrutturato la propria rete di promozione. Avete presente che cosa significa "ristrutturare" ultimamente?
Ecco, proprio così.
Mondadori aveva 4 rappresentanti in Piemonte diventati, dal 1 gennaio 2010 soltanto due.
Gli altri due sono scomparsi, presumibilmente mandati a cercarsi un altro lavoro. Questo significa, ovviamente, un taglio netto al numero di librerie visitate. Noi, per cominciare, abbiamo avuto un paio di conversazioni con i due superstiti, fondamentalmente per sentirci dire: «Noi non ce la facciamo a visitare tutte le librerie fornite da Mondadori. Quindi farete bene a rivolgervi ai grossisti.»
Valeva proprio la pena, abbiamo pensato sul momento, di pagare sempre - sia pure con qualche ritardo, ammettiamolo - la Mondadori.
Ma il problema vero, in sostanza, è quello di una crisi che morde e taglia.
La percentuale delle rese sugli acquisti delle librerie indipendenti è troppo alto per la produzione Mondadori, una produzione che tra Oscar, collane economiche e collane maggiori viaggia intorno alle 1500 -2000 titoli / anno. Tenendo conto che noi, libreria medio-piccola, abbiamo acquistato nel 2009 318 titoli mondadoriani rendendone nel 2010 circa un 40% ci si fa un'idea di cosa va inteso come «grande cliente» nella visione mondadoriana e di cosa sia, viceversa, un piccolo cliente.
Ma liberarsi dei piccoli clienti - piccoli e diseconomici - può non essere una grande idea. Perlomeno pensando a un futuro che vada oltre i 2-3 anni.
In discussione c'è la capillarità della presenza Mondadoriana, ovvero la presenza diffusa dei titoli sul territorio. Ci sono i grossisti, naturalmente, e una presenza comunque ragionevolmente diffusa ma il problema della diffusione non è la presenza di Luciano De Crescenzo o di Forattini sia nelle cartolibrerie di paese che nei supermercati o nelle librerie di catena. Il problema reale è quello della presenza di autori come William Vollmann, o Audrey Niffenegger, Dave Eggers, Will Self, Junot Diaz, David Sedaris e tanti altri, italiani e stranieri, che godono di una discreta posizione presso le librerie indipendenti mentre rischiano di scomparire nell'offerta esorbitante delle librerie di catena e a non arrivare - semplicemente - nei piccoli punti vendita.
Questo significa, a media distanza, autocondannarsi a pubblicare Dan Brown, Bruno Vespa, Sophie Kinsella, Giampiero Mughini o simili rinunciando a coprire la frazione più alta - per gusto e per scelta - del pubblico.
Il famoso 3% di cittadini italiani che legge più di dodici libri all'anno.
In pratica Mondadori procede come molti imprenditori in tempi di crisi: taglia la propria presenza in termini qualitativi per conservare quella quantitativa.
Già, ma non c'è bisogno di essere Lenin per supporre che il legame tra qualità e quantità non sia così inafferrabile e indefinibile e soprattutto che il rapporto tra qualità e quantità non sia così inesistente.
Ma facciamo un passo indietro.
Schematicamente si può affermare che gradualmente la selezione dei titoli di maggior successo (e di buona qualità) sia passata dal gusto di pochi «sacerdoti» del gusto letterario - autori, critici, curatori, redattori - ripresi e pubbicati da riviste specializzate e dai quotidiani, a una selezione non più qualitativa ma semplicemente di tipo promozionale sganciata dalle riviste specializzate (condannate in massa alla chiusura) e condotta da quotidiani e rotocalchi a grande diffusione. Un tam-tam un po' volgarotto ma sicuramente efficace che spinge un titolo in rapporto al suo successo potenziale, basandosi sul semplice assunto pubblico ampio = cultura elementare. Risultato è che ci siamo «liberati» di vecchi, ingombranti e tossici maitre-a-penser rotolando però nella brace dei titoli a scadenza prestampata e in una comunicazione culturale di bassissimo livello.
Lo so, sono stato eccessivamente schematico e me ne scuso (esistono anche fenomeni come "il tempo che fa" o "Fahrenheit", lo so) ma sottolineo l'aspetto interessante del fenomeno ovvero che, tendenzialmente, il mass-market finirà con l'ingoiare la produzione di punta, ovvero a renderla marginale.
D'altro canto l'ansia di inseguire il «vasto pubblico» permea ogni comunicazione mediatica contemporanea. Il «vasto pubblico» è l'apparente garanzia di un successo sia commerciale che industriale che politico.
Un intento che è estremamente pericoloso.
I forti lettori - tra i quali mi metto anch'io - cominciano a dare qualche segnale di stanchezza.
Sono inquieti, insofferenti. Indipendentemente dalla crisi in corso, si lamentano della produzione, del suo prezzo, della minore durata in commercio dei titoli.
Si sentono un po' marginalizzati.
In effetti loro rischiano di essere la qualità sacrificata alla quantità.
«Possono andare in una libreria di catena», si dirà.
Certo.
Ma ci sono andato anch'io e c'è un'aria che non mi piace, lì.
Confusione, disinteresse per il lettore, caos.
Difetti minimi, temporanei, transitori, certo.
Una direzione migliorabile, come no.
Ma FNAC e Feltrinelli non mi piacciono proprio e li eviterei anche se nella vita facessi tutt'altro. Batterei le bancarelle, piuttosto, certo di trovarvi buoni e persino ottimi libri.
La qualità nel mio caso resterebbe serenamente e definitivamente separata dalla quantità.
E temo di non essere il solo.
No, c'è qualcosa che non funziona in questo modo di vedere il mondo.
Qualcosa che non funziona nel modo mondadoriano di giudicare e operare nella realtà.
«Qualcuno ai piani alti batte i coperchi» ho sentito dire - giusto in ambito mondadoriano.
Qualcosa da aggiungere?
P.S.: so che diversi tra i nostri clienti disprezzano profondamente Mondadori in quanto di proprietà del demente. Qualcuno estende il suo disprezzo anche all'Einaudi, di proprietà mondadoriana. Tutti questi simpatici e benintenzionati clienti si chiederanno perché mai mi preoccupi della presenza o meno di AME dal momento che loro fanno a meno di Mondadori ormai da tempo. Che dire? Beh, io non sono tanto automatico nel far discendere la linea editoriale dal l'identità del proprietario. Mondadori, come tutti gli editori di questo mondo, si preoccupa prima di tutto di produrre libri che vendono. Se, putacaso, il libro che vende fossero le poesie di Vendola, Mondadori si affretterebbe ad aggiudicarsele. Boicottare AME rischia di essere un po' masochistico, tanto più che tutti acquistiamo prodotti che, viceversa, rendono al demente infinitamente di più in termini di pubblicità sulle sue reti. Dalla carta-casa alla pasta, ai cracker, agli assorbenti, ai surgelati, ai sughi pronti ecc. ecc.
Mi preoccupa un po' di più vedere Mondadori prostituirsi stampando e distribuendo l'ultimo libretto illustrato con le avventure del demente... ma qui mi fermo per evitare di riprendere le tirate politicanti dalle quali ho promesso di astenermi...
Parlare di libri... non è così facile, di questi tempi.
Mondadori, per dire, ha ristrutturato la propria rete di promozione. Avete presente che cosa significa "ristrutturare" ultimamente?
Ecco, proprio così.
Mondadori aveva 4 rappresentanti in Piemonte diventati, dal 1 gennaio 2010 soltanto due.
Gli altri due sono scomparsi, presumibilmente mandati a cercarsi un altro lavoro. Questo significa, ovviamente, un taglio netto al numero di librerie visitate. Noi, per cominciare, abbiamo avuto un paio di conversazioni con i due superstiti, fondamentalmente per sentirci dire: «Noi non ce la facciamo a visitare tutte le librerie fornite da Mondadori. Quindi farete bene a rivolgervi ai grossisti.»
Valeva proprio la pena, abbiamo pensato sul momento, di pagare sempre - sia pure con qualche ritardo, ammettiamolo - la Mondadori.
Ma il problema vero, in sostanza, è quello di una crisi che morde e taglia.
La percentuale delle rese sugli acquisti delle librerie indipendenti è troppo alto per la produzione Mondadori, una produzione che tra Oscar, collane economiche e collane maggiori viaggia intorno alle 1500 -2000 titoli / anno. Tenendo conto che noi, libreria medio-piccola, abbiamo acquistato nel 2009 318 titoli mondadoriani rendendone nel 2010 circa un 40% ci si fa un'idea di cosa va inteso come «grande cliente» nella visione mondadoriana e di cosa sia, viceversa, un piccolo cliente.
Ma liberarsi dei piccoli clienti - piccoli e diseconomici - può non essere una grande idea. Perlomeno pensando a un futuro che vada oltre i 2-3 anni.
In discussione c'è la capillarità della presenza Mondadoriana, ovvero la presenza diffusa dei titoli sul territorio. Ci sono i grossisti, naturalmente, e una presenza comunque ragionevolmente diffusa ma il problema della diffusione non è la presenza di Luciano De Crescenzo o di Forattini sia nelle cartolibrerie di paese che nei supermercati o nelle librerie di catena. Il problema reale è quello della presenza di autori come William Vollmann, o Audrey Niffenegger, Dave Eggers, Will Self, Junot Diaz, David Sedaris e tanti altri, italiani e stranieri, che godono di una discreta posizione presso le librerie indipendenti mentre rischiano di scomparire nell'offerta esorbitante delle librerie di catena e a non arrivare - semplicemente - nei piccoli punti vendita.
Questo significa, a media distanza, autocondannarsi a pubblicare Dan Brown, Bruno Vespa, Sophie Kinsella, Giampiero Mughini o simili rinunciando a coprire la frazione più alta - per gusto e per scelta - del pubblico.
Il famoso 3% di cittadini italiani che legge più di dodici libri all'anno.
In pratica Mondadori procede come molti imprenditori in tempi di crisi: taglia la propria presenza in termini qualitativi per conservare quella quantitativa.
Già, ma non c'è bisogno di essere Lenin per supporre che il legame tra qualità e quantità non sia così inafferrabile e indefinibile e soprattutto che il rapporto tra qualità e quantità non sia così inesistente.
Ma facciamo un passo indietro.
Schematicamente si può affermare che gradualmente la selezione dei titoli di maggior successo (e di buona qualità) sia passata dal gusto di pochi «sacerdoti» del gusto letterario - autori, critici, curatori, redattori - ripresi e pubbicati da riviste specializzate e dai quotidiani, a una selezione non più qualitativa ma semplicemente di tipo promozionale sganciata dalle riviste specializzate (condannate in massa alla chiusura) e condotta da quotidiani e rotocalchi a grande diffusione. Un tam-tam un po' volgarotto ma sicuramente efficace che spinge un titolo in rapporto al suo successo potenziale, basandosi sul semplice assunto pubblico ampio = cultura elementare. Risultato è che ci siamo «liberati» di vecchi, ingombranti e tossici maitre-a-penser rotolando però nella brace dei titoli a scadenza prestampata e in una comunicazione culturale di bassissimo livello.
Lo so, sono stato eccessivamente schematico e me ne scuso (esistono anche fenomeni come "il tempo che fa" o "Fahrenheit", lo so) ma sottolineo l'aspetto interessante del fenomeno ovvero che, tendenzialmente, il mass-market finirà con l'ingoiare la produzione di punta, ovvero a renderla marginale.
D'altro canto l'ansia di inseguire il «vasto pubblico» permea ogni comunicazione mediatica contemporanea. Il «vasto pubblico» è l'apparente garanzia di un successo sia commerciale che industriale che politico.
Un intento che è estremamente pericoloso.
I forti lettori - tra i quali mi metto anch'io - cominciano a dare qualche segnale di stanchezza.
Sono inquieti, insofferenti. Indipendentemente dalla crisi in corso, si lamentano della produzione, del suo prezzo, della minore durata in commercio dei titoli.
Si sentono un po' marginalizzati.
In effetti loro rischiano di essere la qualità sacrificata alla quantità.
«Possono andare in una libreria di catena», si dirà.
Certo.
Ma ci sono andato anch'io e c'è un'aria che non mi piace, lì.
Confusione, disinteresse per il lettore, caos.
Difetti minimi, temporanei, transitori, certo.
Una direzione migliorabile, come no.
Ma FNAC e Feltrinelli non mi piacciono proprio e li eviterei anche se nella vita facessi tutt'altro. Batterei le bancarelle, piuttosto, certo di trovarvi buoni e persino ottimi libri.
La qualità nel mio caso resterebbe serenamente e definitivamente separata dalla quantità.
E temo di non essere il solo.
No, c'è qualcosa che non funziona in questo modo di vedere il mondo.
Qualcosa che non funziona nel modo mondadoriano di giudicare e operare nella realtà.
«Qualcuno ai piani alti batte i coperchi» ho sentito dire - giusto in ambito mondadoriano.
Qualcosa da aggiungere?
P.S.: so che diversi tra i nostri clienti disprezzano profondamente Mondadori in quanto di proprietà del demente. Qualcuno estende il suo disprezzo anche all'Einaudi, di proprietà mondadoriana. Tutti questi simpatici e benintenzionati clienti si chiederanno perché mai mi preoccupi della presenza o meno di AME dal momento che loro fanno a meno di Mondadori ormai da tempo. Che dire? Beh, io non sono tanto automatico nel far discendere la linea editoriale dal l'identità del proprietario. Mondadori, come tutti gli editori di questo mondo, si preoccupa prima di tutto di produrre libri che vendono. Se, putacaso, il libro che vende fossero le poesie di Vendola, Mondadori si affretterebbe ad aggiudicarsele. Boicottare AME rischia di essere un po' masochistico, tanto più che tutti acquistiamo prodotti che, viceversa, rendono al demente infinitamente di più in termini di pubblicità sulle sue reti. Dalla carta-casa alla pasta, ai cracker, agli assorbenti, ai surgelati, ai sughi pronti ecc. ecc.
Mi preoccupa un po' di più vedere Mondadori prostituirsi stampando e distribuendo l'ultimo libretto illustrato con le avventure del demente... ma qui mi fermo per evitare di riprendere le tirate politicanti dalle quali ho promesso di astenermi...
1 commento:
molto interessante
e anche triste, ma comprensibile, a dire il vero. Molto comprensibile, anzi, come strategia d'impresa in questi tempi grami.
Ormai mi sto arrendendo all'idea che, a parte i classici, quelli che si trovano sempre, per il resto farò come sto facendo sempre più spesso:
post it con titolo e autore
richiesta in libreria senza nemmeno passare sugli scaffali
però è brutto
ti toglio quel gusto di girare e scartabellare comprando una cosa a caso che non conosci e ti pare bella. E poi dopo lo è.
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