«Le macchine volanti, fatte della stessa stoffa della quale sono tessuti i mantelli degli Oscuri riposano sotto una gigantesca tenda. Sono tre enormi palloni, lunghi, leggeri e carenati come navi, trattenuti a terra da corde coperte di Maurr. Al loro ventre sono assicurate grandi ceste. Un Oscuro prende posto in un abitacolo di legno posto a prua della nave e gli altri prendono posto nelle ceste. Li imitano, troppo storditi dal rumore e dallo spettacolo per aver voglia di discutere. Sicuramente non esiste altro modo per valicare l'abisso delle Acque del Centro. Si alzano in volo silenziosamente, mossi dal vento circolare che agita gli alberi affacciati sull'immane gorgo. Klog si ritrova nella cesta con Basso Okme e un paio di arcieri Oscuri. Nessuno proferisce parola, ben conscio che comunque nel fragore delle acque che precipitano nell'abisso qualsiasi altro suono sarebbe inafferrabile.
La nave costeggia i bordi dentellati delle terre che si affacciano sulle acque del centro e si solleva verso le grandi nubi che danzano appese all'altissimo soffitto di roccia della caverna.»
La nave costeggia i bordi dentellati delle terre che si affacciano sulle acque del centro e si solleva verso le grandi nubi che danzano appese all'altissimo soffitto di roccia della caverna.»
...
Più o meno mi sono fermato qui, dopo aver scritto circa 900.000 caratteri. A occhio per chiudere la vicenda dovrei scriverne più o meno ancora la metà, da 400.000 a 500.000.
Un giorno o l'altro troverò il tempo per finirlo. Naturalmente accadrà quando del fantasy non fregherà più niente a nessuno e mi risulterà impossibile «piazzarlo».
Nemesi.
Il problema di romanzi tanto lunghi è che si giunge a un punto nel quale bisogna rileggere tutto in un lasso di tempo ragionevole e stabilire dove andrà a finire Caio, quale sarà il destino di Sempronio e che cosa ne sarà della terra di XYZ.
Il lasso di tempo ragionevole lo puoi avere soltanto se di lavoro fai lo scrittore, ovvero qualcuno paga per leggerti. Se questa preziosa precondizione non si verifica puoi pensare seriamente di concludere opere tra i 500.000 e i 700.000 caratteri, ma non di andare oltre il milione (di caratteri). Sembra un po' arida questa classificazione per numero di caratteri, ma corrisponde a morfologie «romanzesche» ben precise. «Il Mare obliquo», ossia questo fantasy incompleto, è un romanzo picaresco, ossia nel quale i protagonisti si muovono - devono salvare il mondo, un classico per questo genere di letteratura - superano mari e terre, incontrano creature anche più strane e curiose di loro (N.B.: nessuno dei protagonisti e dei deuteragonisti del libro è un appartenente alla specie homo sapiens, mentre gli umani abbondano tra gli antagonisti), affrontano pericoli e prove mortali e lottano contro nemici via via più minacciosi e terribili. Per raccontare tutto ciò vi servono, ovviamente, molte, moltissime parole. Se ambientate un romanzo nelle periferie della vostra città (tranquilli, ho fatto anche questo) di parole ve ne bastano molte meno, prima di tutto perché potete risparmiarvi descrizioni e chiarimenti. L'ambiente è noto o facilmente immaginabile praticamente per chiunque e, a meno vogliate inserire elementi di fantastico, potete dare per scontata la cornice e concentrarvi sulla vicenda e sulla psicologia dei personaggi. Piccolo inciso: mai dare troppo per scontata e ovvia la cornice, comunque. Un certo H.P.Lovecraft è riuscito a scrivere più di una storia assolutamente aliena senza allontanarsi da un qualsiasi Farm del Rhode Island. Fine dell'inciso. Se invece scrivete fantasy o sf non potete letteralmente dare nulla per scontato e ovvio. Una delle cose che mi mandano su tutte le furie in romanzo di sf, per dire, è il personaggio che nel 2250 riceve una telefonata, esce abbottonandosi il giubbotto jeans, appena salito in auto infila un CD nel lettore prende per la Route Sixty-six. Trascuratezze non poi così rare come parrebbe e che denunciano scarsa attenzione da parte di autore ed editor.
Un'altra domanda che immagino qualcuno mi farebbe se mi avesse davanti - prima di arrivare al vero tema di questo post: «Perché scrivere un fantasy?»
Sembra una domanda da niente... Ma, anche senza voler entrare troppo nel merito, perché il fantasy si presta particolarmente a essere una letteratura che, attraverso un percorso «fisico» narra un percorso mentale. Crescita, cambiamento, maturità. Il protagonista alla fine della storia si ritrova profondamente diverso da come era. Una perfetta allegoria del nostro passaggio sulla superficie di questo pianeta.
«Si presta» ovviamente non significa che tutti coloro che ne scrivono lo utilizzino a questo scopo.
Anzi.
A me è saltato il ticchio di scrivere un fantasy perché prima a mia moglie e poi anche a mia figlia piaceva sentirsi raccontare una storia avventurosa alla sera della domenica. E così Il Mare Obliquo è nato e si è via via ampliato.
Fin qui tutto normale.
Quasi commovente.
Un filino melenso, magari.
Senonché io sono un bastian contrario e dò molto peso alla forma narrativa. Non nel senso che scelgo i vocaboli meno usati del dizionario allo scopo di ben figurare con i laureati in lettere, ma nel senso che penso che entro certi limiti nelle narrazioni la forma determina la sostanza.
Che cosa significa?
Adesso lo spiego.
Anni e anni fa ho contribuito a creare una scuola di scrittura creativa gratuita e autogestita alla quale parteciparono una dozzina di amici autori con i quali capitava di parlare di narrativa incontrandosi nei locali della libreria. La «scuola» aveva persino un nome: «Il Koro». Dopo un paio d'anni di attività ha chiuso i battenti dopo aver partorito il progetto Fata Morgana, progetto che continua tuttora. Ricevetti, all'epoca, il compito di preparare una «lezione» sui tempi in narrativa, «tempi» intesi nel senso di passato, imperfetto, futuro, trapassato ecc. La preparai scrivendo un breve brano prima al passato remoto, tempo narrativo per eccellenza, poi al presente, all'imperfetto, al condizionale e al futuro anteriore.
Il futuro anteriore, in particolare, rivelò qualità narrative considerevoli per brani brevi.
Fate una prova, se non ci credete.
Fu comunque un'esperienza preziosa perché ebbi l'occasione per comprendere che la scelta di un tempo della narrazione non ha nulla di ovvio né di scontato. Che la forma-tempo determina a cascata una serie di scelte narrative.
Scrivere: Egli abbandonò la casa e corse a rintanarsi nel suo rifugio segreto, suona necessariamente diverso da Egli abbandona la casa e corre a rintanarsi nel suo rifugio segreto. Diverso perché il passato remoto è un tempo tollerante che permette e comprende molti diversi passati al suo interno mentre il presente è crudelmente preciso. Quindi nella traslazione dal passato remoto al presente sarete probabilmente costretti a riscrivere la stessa frase in maniera diversa: Egli abbandona la casa e corre fino a raggiungere il suo rifugio segreto. Dovete «spezzare» il continuum le due azioni perché non sono contemporanee. Ma non si tratta di un gesto innocuo. Involontariamente avete sottolineato il senso di protezione e autodifesa che «il rifugio segreto» crea nel protagonista. Il suo non è più un gesto «remoto» dai contorni vagamente comici («a rintanarsi») ma un gesto rabbioso che - il presente è esigente - prelude probabilmente a qualcosa di drammatico.
Ci siamo.
Il presente è un tempo drammatizzante.
Un tempo che accorcia la distanza tra il protagonista e il lettore.
Non ho mai letto un romanzo fantasy scritto al presente.
Il Mare Obliquo, invece, è un romanzo fantasy scritto al presente.
Controllate pure, basta schiacciare pageUp una volta.
Un «mostro», credo.
L'ho fatto per vedere se era possibile e ragionevole e anche perché scrivere un fantasy tutto al passato remoto mi sembrava ovvio e noioso come una domenica pomeriggio passata a giocare a carte.
È possibile e ragionevole.
Che sia «bello», ossia godibile, divertente ecc. non è un parere che possa dare io, anche perché ciò che ho per le mani è una semplice premessa a un romanzo.
Bello magari no, ma probabilmente un interessante esperimento.
Anche per altre scelte narrative, delle quali parlerò in un'altra occasione.
...
P.S.: per chi avesse sentito un brivido di curiosità nel leggere il breve brano riportato: Basso Okme è un corvo di legno parlante dal corpo a forma di contrabbasso, gli Oscuri sono creature ipogee simili a tartarughe senza guscio e deambulanti sulle due zampe posteriori e Klog è un boldhovin, ovvero il frutto dell'accoppiamento tra una «fata» (le mie fate sono strane, comunque) e un Erbano, ovvero un fauno.
2 commenti:
"Sword of the demon" di Richard Lupoff è scritto al presente.
È un fantasy di ambientazione giapponese.
Ma è più complicato di così.
Insomma, i fantasy al presente esistono.
Lo so, lo so... sono un guastafeste.
Però, scherzi a parte, discorso interessante.
Soprattutto la questione del perché scrivere fantasy.
Se dicessi che si tratta di una forma che permette di massimizzare l'effetto esotico, avventuroso e "meraviglioso" mentre dall'altra permette di affriontare temi seri in maniera sperimentale, il tutto obbligando l'autore ad una disciplina ferrea?
E ragazze in bikini di bronzo.
A pacchi.
Ho scritto questo post pensando: «se un fantasy al presente esiste, Davide lo troverà». Q.E.D. Poi la mia competenza in proposito è davvero minima, quindi ben venga la tua precisazione. Della quale sono comunque contento. Bello fare il soggetto straordinario, almeno finché non cominci a sentire la solitudine. O a pensare che sei l'unico fesso che.
Non ambisco a dare definizioni, non è compito di noi scriventi. Ma comunque la tua mi piace e la condivido. La libertà è il massimo per chi scrive, ma il prezzo è una coerenza disumana.
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