14.9.19

Il Mare Obliquo 32

Kwister, Usif-Lizhi e i loro amici riprendono il loro viaggio dopo aver salutato il Cavaliere di Vandel e sua cugina Kentis. Strada facendo hanno l'occasione di fare un felice incontro.
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Una mattina limpida e ventosa accoglie i viaggiatori che abbandonano la Rocca del Cavaliere di Vandel. Ad accompagnarli al massiccio portone è la cugina di questi, Kentis, una dama molto giovane, bionda e sottile, a lui simile come una sorella.
– Arrivederci, miei nobili ospiti. – Mormora a voce bassa mentre Kwister e gli altri riprendono possesso dei propri cavalli dagli stallieri di Vandel. – Sono dolente che quanto è avvenuto abbia funestato la vostra visita. Abbiate tutti i miei migliori auguri per la riuscita della vostra degna impresa. Perché tutti questi orrori abbiano termine.
– Grazie, Marr Kentis. – Il Duca Kwister si inchina profondamente davanti all'esile fanciulla bionda, così come si ricorda nei libri più antichi fece il primo sovrano dei Lupi-Drago, Nekitin il Grande al cospetto della giovane Signora di Zemann, Tatya.
– Levatevi, vi prego, Duca. – Un leggero sorriso illumina per un attimo il viso troppo serio e composto di Kentis. – Io non sono Tatya di Zemann.
– Il futuro ha strano modi per preannunciarsi e talvolta veste i panni del passato per illuderci di poterlo comprendere, Marr Vandel. Purtroppo neppure io sono Nekitin il Grande ed il mio popolo è ora al suo tramonto. Questa lucida, ventosa mattina mi rende malinconico, perdonatemi.
– Coraggio, Duca Kwister. – Una luce di leggero allarme si è accesa negli occhi di Share Harvaiun. – Una così stupenda giornata non può indurre tristezza. La strada verso i Monti dell'Orlo è davanti a noi, pulita e spazzolata quasi quanto il pelo dei nostri cavalli dopo le cure sapienti dei bravi stallieri della Rocca.
Il Duca Kwister alza lo sguardo ad abbracciare l'orizzonte, nitido come se la vista fosse aperta fino all'Orlo. – Tu credi, Harvaiun? Credi dunque che l'umore debba seguire le stesse regole del cielo? Questo cielo ampio e queste terre così nitide rendono più evidenti i limiti del Mondo, e creano in me un senso di attesa dolorosa, come se già sapessi che attenderò inutilmente. Ma è notorio che presso la tua gente questo genere di emozioni sono sconosciute, c'è spazio solo per l'oggi tra voi.
Share Harvaiun apre la bocca e la richiude un secondo dopo: il suo signore è evidentemente del suo umore peggiore, strano frangente nel quale riesce a dire le cose più irritanti ed insieme le più vere e dolorose per se stesso e per tutti.
– Non più di tutte le altre genti. – Si limita a puntualizzare a mezza voce il servitore Syerdwin, nel silenzio imbarazzato che ha seguito le parole del Duca.
– E voi, Messere Usif-Lizhi cosa mi dite di una sì splendida giornata, che deve apparire ben strana ai vostri occhi? – Chiede scherzando il Barone Enklu per dissipare la nube di tristezza che è scesa sui viaggiatori.
– Troppa luce, Barone. Il mondo mi sembra una brutta parodia di se stesso, troppo colorato, troppo evidente e quasi tangibile. Ma la mia è l'opinione di un Notturno ed ha quindi poco valore.
Usif-Lizhi si avvicina a sua volta alla Dama dei Vandel e la saluta con un inchino discreto. – Provo molto dolore per il vostro dolore, Dama Kentis. Vi auguro giorni e notti migliori di queste.
La Dama china il capo leggermente. – Vi ringrazio. – Lo guarda con una curiosità piena di pudore, lasciando apparire per la prima volta la sua giovane età – Voi siete il primo della vostra gente che incontro. Finora ne avevo soltanto letto.– Esita come se cercasse le parole giuste. – Credevo che i Notturni dovessero essere creature… molto diverse. Mi perdonate? 

 
Usif-Lizhi non può fare a meno di sorridere, come è costume degli uomini. – Nella mia residenza le opinioni sulle altre creature erano di un genere altrettanto imbarazzante, Dama Kentis. Volete perdonarmi a vostra volta?
La giovane donna si affretta a fare un cenno di assenso. – Certo. È così bello che la gente sia diversa, non trovate? È un po' come se si potessero vivere tante vite insieme.
– Molto ben detto! – Ride Kirzil Pennarossa. – Tante vite insieme, un pochino come devono fare gli Dei che ci vedono agitarci, combattere, ridere e piangere come se questo pezzetto di vita fosse davvero importante.
– Non ti sapevo filosofo, Kirzil. – Commenta Noro Eban il mercante. – Ma in fondo di nulla è lecito stupirsi, neppure di un Gu'Hijirr dal profondo sentire. È evidente, ed anche questo è un sintomo, che il mondo ha perso il suo equilibrio. Cosa dobbiamo attenderci ancora? Forse un Swyerdwin generoso? Un Lupo-Drago tollerante? O addirittura un Uomo silenzioso?
– Questo poi è del tutto impossibile. – Lo rimbecca Harvaiun. – Gli uomini non tacciono mai, il giorno che questo prodigio si inverasse, sarebbe davvero il sigillo della fine.
Prima che il mercante possa a sua volta rispondere al Syerdwin ad interromperli è la voce del Barone Enklu.
– Coraggio, è venuto il tempo di andare.
Al suo richiamo i cavalieri si dispongono in fila e uno alla volta attraversano il portone della rocca, mettendosi in marcia verso il sole crescente, dopo un ultimo saluto alla giovane signora dei Vandel.
Dama Kentis li osserva allontanarsi lungo la discesa che porta lontano da Audiebarr provando un'acuta nostalgia per quella bizzarra compagnia, nella quale sono riuniti membri di quasi tutte le genti dell'orlo del Mondo: la stessa sensazione che provava al termine di un gioco di bambini particolarmente ben riuscito.
La giovane donna li osserva procedere veloci verso il Drew, ormai semplici punti multicolori sulla piana verde. Lascia che la nostalgia la culli, provando, come molti adolescenti cresciuti in solitudine, orgoglio per quel sentimento così forte e adulto. Solo quando una serie di colline le nascondono alla vista i viaggiatori Kentis abbandona gli spalti e scende verso il palazzo interno della Rocca.



– E adesso? – Domanda ad alta voce Kirzil Pennarossa al cospetto del grande corso del Drew, fiancheggiato da altissimi olmi.
– Bisogna trovare un traghettatore, tutto qui. – Osserva calmo Jay Wediliun il mercante Swyerdwin. – Se ben ricordo ve ne è uno un paio di miglia più a nord di qui.
Il Duca Kwister, che non ha detto una parola per tutto il tragitto, lo guarda con rispetto. – Gli dei mi dimentichino se parlerò ancora male di un mercante. Esistono terre che voi non abbiate visitato?
Wediliun scuote la testa. – Molte di più di quante ne abbiate solo sentite nominare, Duca. Ma qui siamo ancora vicini al Centro del Mondo, più avanti anche le mie conoscenze terminano.
– Ce ne preoccuperemo quando ci saremo, più avanti. Adesso muoviamoci.
– Aspettate, Duca, forse è questo un problema che si risolve da solo. – Interviene Kirzil. – Vedete là, a cento braccia da noi, quella nave?
– È una nave Gu'Hijirr. – Nota Noro Eban riconoscendo l'alta prora e gli ampi fianchi della nave a vela. – Cosa ti fa pensare, Kirzil Pennarossa, che i tuoi simili vorranno portarci dall'altra parte del fiume?
Il Gu'Hijirr ride. – Denaro, semplice denaro. Aspettate.
Dopo un momento dalla borsa del marinaio compare un piccolo strumento di metallo lucido che Kirzil porta alle labbra traendone un lamento cupo e prolungato.
– Per gli dei, questo suono è certo in grado di condurre alla malinconia e da lì a poco alla pazzia.– Commenta Harvaiun.
– Qualcuno vuole attraversare il fiume a nuoto? – Chiede Kirzil cessando per un attimo di suonare. Un generale scuotere di teste accoglie la sua domanda.
– Mi era sembrato.– Commenta secco.
– Guarda un po': stanno davvero mutando rotta per raggiungerci. – Osserva Enklu dopo qualche altro secondo di esibizione musicale del marinaio.
– Sarebbe interessante sapere cosa gli ha promesso Kirzil. – Si interroga Mahaderill. – Dalla loro rapidità direi non poco.
Il Gu'Hijirr termina dopo un attimo di soffiare nel suo sciagurato arnese e guarda la fata con dignità offesa. – Questo richiamo indica solo la necessità di un aiuto. Lo portano con sé tutti marinai del mio popolo e chiunque lo oda deve correre al soccorso di chi lo suona.
– E per il compenso? – Chiede malizioso Harvaiun.
– Sarà sufficiente quello che porti nel doppio fondo della tua borsa. – Ribatte acido Kirzil al Syerdwin che lo guarda turbato.
– Un marinaio a cavallo: moriranno dal ridere.
Ma la risposta a mezza voce di Harvaiun arriva troppo tardi per meritare un'ulteriore replica, decide Kirzil che ripone con cura il suo piccolo corno nella borsa.
– Stanno prendendo terra. Sarà bene che tu vada a parlargli, siamo una ben strana compagnia e non vorrei che i tuoi simili ci trovassero poco raccomandabili.
Il Gu'Hijirr annuisce in direzione del Duca Kwister e sprona il cavallo verso la riva, resistendo alla tentazione di rispondere per le rime anche al duca che evidentemente sottovaluta la sua gente.
– Ehi, chi è là? – Chiede una voce nasale nel dialetto di Farsoll. Kirzil sorride tra sé, rinfrancato nell'udire quell'accento familiare e grida:
– Oakin vecchio rospo-secco, ti sei incagliato o riesci ancora a prendere acqua?
Il Gu'Hijirr si guarda intorno e vede Kirzil avvicinarsi portando in cavallo per le redini. – Kirzil Pennarossa! Che ti è successo, il vento ha portato la tua nave sulle montagne?
– Niente di tutto questo. Oakin, sei anche più brutto di come ti ricordavo, lasciati abbracciare.
– Puzzi di terra e di sterco di cavallo, Kirzil dei Mappin. Cosa ti è successo?
– È un storia molto lunga, Oakin. Adesso sono lo scudiero di un Notturno e devo giungere fino alle montagne dell'Orlo.
L'anziano Gu'Hijirr lo guarda strabiliato. – Lo scudiero di un… Le Montagne dell'Orlo? Povero Kirzil ciò che di strano sta accadendo al mondo deve aver preso anche il tuo cervello. Credi di essere un Lupo-Drago da bazzicare per montagne sotto la luna?
– Poi ti spiego. Chi c'è con te?
– Rayonu, Pilgrim, Kiba ed un po' di nuovi. La Goren non è più tanto adatta per i viaggi per mare e così facciamo piccoli traffici da Farsoll fino a Sdea ed a Mont Bilgian e già che ci siamo insegnamo qualcosina ai giovani.
Kirzil annuisce. – Certo e così le loro famiglie pagano te e tutti gli altri Berzel di Fonteluna per farli lavorare, non è vero, topo di palude? 

 
– Si deve pur vivere. Hai bisogno di un passaggio?
– Come no. Devi promettermi di non stupirti, però.
Il volto scuro e pieno di rughe del Gu'Hijirr si fa ancora più perplesso. – Cosa c'è di più strano di un Gu'Hijirr che fa il montanaro al servizio di un Lemure?
– Ci sono cosa anche più strane, Oakin, non farmi il ranocchio perso nello stagno. Abbi la cortesia di attendermi qui e tornerò con i miei amici. Ah,
dimenticavo, ti pagheremo per il disturbo.
– Ma non è il caso… – Inizia a dire con tono non troppo convinto Oakin. Poi guarda Kirzil allontanarsi al galoppo, scuote la testa e si siede con cautela su un tronco caduto.
Al suo risveglio, dopo qualche minuto di riposo riscaldato dal tiepido sole autunnale, Oakin il mercante sbadiglia a lungo prima di guardarsi intorno, per accorgersi istantaneamente che il suo campo visivo è chiuso da una superficie di metallo scuro. Il Gu'Hijirr alza lo sguardo un poco alla volta, con timore, fino ad incontrare il viso corrucciato del Duca Kwister che sorride sinistro mostrando la punta dei candidi canini.
– Buongiorno Mastro Oakin dei Berzel di Fonteluna.
La voce del Lupo- Drago è bassa e profonda, ricca di risonanze simili a quelle dei tamburi bassi della guardia di Niby Ornoll.
Oakin ingoia a vuoto un paio di volte prima di rispondere, si volta come a controllare che il fiume sia sempre al suo posto e infine esala un debole: – Buongiorno a Voi, eccellenza.
– Il mio buon amico, Kirzil Pennarossa, mi ha detto che ci ospiterete sulla vostra nave.
– La mia nave non è fatta per trasportare passeggeri, Vostra Grazia. Non dovete aspettarvi un trattamento degno della Vostra nobile persona e di quella dei vostri insigni compagni.
Il Lupo- Drago sorride nuovamente. – Non temete per la nostra comodità, Mastro Oakin, qualunque sistemazione sarà sempre migliore della possibilità di attraversare il fiume a nuoto. Posso chiedere quanto è il prezzo per il vostro incomodo?
– Mhhh, dovete solo attraversare il Drew?
– La nostra meta sono le montagne dell'Orlo, Mastro Oakin, ma non credo che la vostra nave giunga fino lì. –
– Il Dio delle Paludi mi preservi, Sommo Signore. Non viaggio oltre Ulfa da più di trent'anni, dopo aver visto negli occhi quanto sono brutti i Doimon e dopo aver visto da lontano gli Ultimi Draghi. No, nessun prezzo mi porterebbe oltre Hanna Insa.
– Neppure tremila Reali potrebbero questo miracolo?
Il Gu'Hijirr allunga il collo per scrutare alle spalle del Lupo-Drago ed individuare l'autore dell'offerta.
– Allora, mastro Oakin, cosa mi dite del prezzo fissato dal mio buon amico?
– È un lemure il vostro buon amico vostra Eminenza, come mi appare ? – Chiede il Gu'Hijirr.
– Non è evidente? – Ride il Lupo-drago.
– Sarà anche evidente ma finora non ne ho mai veduti illuminati dalla luce del sole e… – Oakin si interrompe di colpo riconoscendo nel gruppo di viaggiatori Mahaderill. – Una fata! Ora ho capito tutto. E c'è anche un Uomo-Pianta tra voi! Ma quale strana magica compagnia avete formato mio Signore? Avete unito tutti i compagni del Mondo, per quale fine mai?
– Un fine degno di questa alleanza, Mastro Oakin. Allora volete essere così cortese da rispondere all'offerta del mio amico?
– Arrivare fino ad Ulfa? Con la mia nave?
– Proprio così.
– Tra Villa Lou ed Hedra bisognerà pagare i Fratelli del Drew perché attivino le chiuse.
– Il pedaggio sarà a carico nostro.
– Come tutte le altre eventuali spese?
– Certo.
– E vada per i tremila Reali, Vostra Soave Eccellenza
– Coraggio, Oakin, l'avventura ti farà perdere i tuoi trent'anni di troppo.– Interviene Kirzil. – E con quella montagna di Reali potrai metterti a riposo come un Degno della Corte di Niby Ornoll. E non è forse vero che un mucchio di denaro vale quanto il corpo prestante di un giovanotto, quando si tratta di conquistare un affetto molto ritroso?
– Maledizione, chiudi quella boccaccia Kirzil Pennarossa dei Mappin. È molto più probabile che il fondo del fiume divenga la mia tomba, nonché la tua. Ma in fondo ho passato la mia vita ad annusare quest'aria che sa di marcio. Non mi dispiace farlo anche da morto. – Il Gu'Hijirr si alza lentamente dal tronco caduto. – Andiamo nobili signori, la Goren vi attende. 
 

– Non è bello, mio signore, questo modo di viaggiare?
Usif-lizhi allontana lo sguardo dalla riva scura del Drew che scorre quieta nell'ombra del tramonto. – Avevamo navi un tempo, sai Kirzil? Navi come questa che giungevano fino ad Annadille, a Farsoll, fino a Thesiger ed oltre l'Orlo, al Mare Obliquo.
Il Gu'Hijirr aggrotta la fronte. – Ho udito parlare del Mare Obliquo, Signore, ma nessuno mi ha mai raccontato di averlo visto di persona.
– È un mare coperto di brume, Kirzil, e lentamente, quasi impercettibilmente si confonde con le grandi nubi bianche che vengono talvolta a velare la luna e bagnano le terre inaridite dal sole tiranno. Nella mia residenza c'è un libro scritto da un antenato, Gujdu -Ithri, dove si racconta dell'unico viaggio al mare Obliquo. – Per un attimo lo sguardo del Notturno si accende debolmente, conferendogli l'aspetto da fantasma al quale Kirzil non si è ancora abituato. – Ho letto quel libro decine di volte nella mia infanzia, tanto che potrei recitartelo dalla prima all'ultima parola. Ma credo si tratti di un falso, amico mio. Noi notturni abbiamo sempre e solo viaggiato lungo i fiumi, o meglio ancora, abbiamo pagato altri: Uomini, Gu'Hijirr o Syerdwin perché lo facessero per noi. Il Libro di Gujdu – Ithri è solo una favola, purtroppo, ma io gli ho creduto e ancora adesso non riesco a staccarmi dal suo ricordo. Chissà, forse questo mio viaggio è un modo per diventare io stesso Gujdu-Ithri e per riscrivere quel libro. Non è buffo, amico mio, tentare di trasformare una fiaba in realtà per trarne poi ancora una fiaba?
– È quello che tutti facciamo, signore Usif-Lizhi: raccontarci la vita mentre la viviamo fino a mentire a noi stessi ed agli altri. Non vi è nessuno, nato sotto la luce del sole o della luna, povero o ricco, che non abbia almeno una volta desiderato vivere e morire come un istrione del Gran Teatro di Farsoll. Oh, perdonatemi, Signore… Vedete dove mi porta la mia stupida lingua?
Usif-Lizhi scuote il capo. – Non scusarti, Kirzil Pennarossa. Probabilmente noi tutti a bordo di questa nave ci comportiamo esattamente nel modo che hai così acutamente colto: come istrioni alla ricerca dell'ultima scrittura possibile. E tu, Khude come la pensi in proposito?
Il Silvano che ha udito l'intera conversazione appoggiato alla murata della nave, non volta neppure il capo nel sentirsi interpellare, È solo dopo qualche secondo che la creatura risponde, senza distogliere lo sguardo dalle acque scure che scorrono placide sotto di lui.
– Non capisco, Uomo-di-Luna. Io-noi so di un'unica vita molteplice che ci unisce, mentre voi non potete essere uno e molti insieme. Sembra che tutto il vostro passaggio sia un cercare di vivere molte vite e sentirsi infelici, incerti, soli. Io-noi non conosco le vostre menti, ma esse devono essere vuote e risonanti come grandi stanze dove un unico, minuscolo inquilino grida forte per non sentirsi solo e veste molti panni per simulare la presenza di amici che non esistono. Ho pena per voi, gente-che-correte ma so a cosa vi possono condurre le vostre menti solitarie. Io-noi abbiamo timore perché temiamo che la vostra infelicità sia anche maggiore di quanto voi stessi immaginiate.
Il silenzio è l'unica risposta che Usif-Lizhi e Kirzil possano opporre alle frasi di Khude. 

 

5.9.19

Il Mare Obliquo 31

Gudre Yinnu, il mezzosangue Notturno si offre di seguire il Boldhovin e i suoi amici. Mentre i cervi sono molto contenti dell'offerta, Klog sembra per lo meno un po' perplesso ma la decisione del Neek è definitiva e ottime le sue ragioni.
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– Piove.
L'espressione ancora incerta ed insonnolita di Klog si fa sempre più definita fino a rappresentare il disgusto. Il Boldhovin si affaccia a sua volta alla piccola finestra illuminata di un'incerta luce opalina
– Ma è vero! – Protesta.
– Già, io non racconto storie. – Replica piccato il Gatto.
– Potremmo… – Comincia a dire il Boldohovin.
– Nemmeno per idea. – Lo interrompe secca Matushka. – Non siamo in viaggio di piacere, pelosetto e avremo tempo dopo di riposare al calduccio. Pensa come staremmo senza la gentile ospitalità dei Notturni, dopo una notte al freddo ed alla pioggia.
– Il che è come dire che dovrei ringraziare quella testa di ferro di Fahgön per averci imposto di dormire qui. E sia, appena lo avrò incontrato mi profonderò in ringraziamenti, ma questo non siginifica che sia un delitto attendere che spiova un pochino prima di muoverci, giusto il tempo di consumare una buona frittata e un po' di composta di mirtilli.
– Mi sovviene un curioso problema: se il nostro Boldhovin ha lo stomaco al posto del cervello cos'avrà mai al posto dello stomaco?
Le risate di Matushka alla frase di Plinio, pronunciata con la seriosità compunta del pedante, riescono a risvegliare il sorriso anche sul volto iroso e stizzito di Klog.
– Va bene, va bene. Ma potete darmi così completamente torto voialtri?
– No, no, anzi. Procediamo pure in ranghi serrati verso le cucine a sgominar salami e menar strage di uova, ricordando, tuttavia, che i notturni sono soliti riposare nelle ore diurne e quindi dubito che incontreremo qualcuno disposto a soddisfare i nostri desideri.
– Ne sei certo, Plinio?
– Di nulla si può essere certi. – Replica serio il gatto.
Un leggero bussare interrompe la conversazione che aveva assunto sfumature sconfortanti per il Boldhovin.
– Chi è là? – Chiede Matushka.
– Sono Gudre-Yinnu, gentile Fuji-Ku. La vostra colazione vi attende.
– Grazie. Non la faremo attendere. – Risponde gentilmente la piccola volpe.
Un attimo dopo Matushka assume nuovamente le fattezze umane, rabbrividisce leggermente, scuote la lunga chioma di capelli fulvi ed afferra gli abiti adagiati su uno scranno.
Si veste rapidamente, con il disappunto rassegnato di chi sa che non si abituerà mai a usi tanto ridicoli e ritiene che bottoni lacci ed alamari siano frutto della malizia di un dimenticato stregone.
– Hai un'asola vuota ed un bottone di troppo, vedo. – Osserva con aria casuale Plinio.
La piccola volpe abbassa gli occhi con un lungo sospiro, osserva con tenue esasperazione la sua tenuta da caccia, afferra il cappello verde adornato da una penna di fagiano e se lo pone sul capo leggermente inclinato.
– Cattivi sarti. – Commenta decisa.
– Ah. – Replica Plinio senza scomporsi. – Allora direi che possiamo andare. Klog che fai, non hai più appetito?
Il Boldhovin non distoglie lo sguardo dall'arazzo intessuto di fili neri grigi ed argento che domina la parete di fondo della stanza, che la sera precedente, nella luce incerta delle lampade non ha notato e annuisce soprappensiero facendo due passi indietro.
– Sì, sì certo.
Un paesaggio notturno visto a volo d'uccello, tenuamente illuminato dall'argento lunare, questo è il soggetto dell'arazzo, ma qualcosa in esso deve aver attirato l'attenzione del Boldhovin, solitamente poco interessato all'arte.

– Allora, Klog? – Sbuffa impaziente Matushka.
– Andiamo, andiamo.
Un attimo dopo, mentre percorrono il lungo corridoio che li porta verso i locali di soggiorno della residenza dei notturni il Boldhovin osserva a mezza voce: – Secondo voi come ha fatto l'artista, sicuramente uno di loro, a rendere così precisamente un paesaggio simile, come lo può vedere una civetta o un pipistrello?
– Non hai rinunciato alla tua idea del volo, eh? – Domanda ironico Plinio.
– Non scherzare. Io voglio sapere come ha fatto.
– Ha guardato il paesaggio in una valle dalla cima di una montagna. – Replica sbrigativa Matushka.
– Già. Ci ho pensato anch'io. Ha lavorato di fantasia inventando anche la terra alle spalle dei suoi ipotetici piedi e tessendo l'intero orlo circolare del mondo. Ma perché dovrebbe aver fatto una cosa simile?
– Per stupire i gonzi. – Ribatte secca Matushka. – Ed indurli a pensare che i Notturni abbiano poteri e capacità che gli altri popoli non posseggono. Sei contento così?
Il Boldhovin non insiste, limitandosi a stringersi nelle spalle.
– Buongiorno. – Il viso pallido e sottile di Gudre-Yinnu appare anche più cereo e delicato nella luce fredda del giorno, cancellando in lui la parte di sangue umano per mostrare solo il lato notturno. – Spero che abbiate ben riposato, gentili Tiiunnh.
– Meravigliosamente, cortese Duhit-Uinn e ti ringraziamo di rinunciare al tuo meritato sonno per dedicarci la tua compagnia.
– Ho strani ritmi, io. – Spiega il Neek. – Veglio e riposo come meglio mi aggrada, senza che il mio corpo si preoccupi troppo di indicarmi il giusto momento per ogni cosa. Si tratta forse della mia mente sempre troppo indaffarata o dell'insegnamento del mio maestro che mi ha educato ad accettare o respingere il sonno come il cibo. Certe abitudini divengono parti della propria persona come le braccia o il cuore. Ma venite, ora: i vostri amici vi attendono.
In un'ampia sala, posta in'ala della residenza che la sera precedente non avevano visitato, ben illuminata dalla luce del giorno, si trovano riuniti intorno ad un tavolo i quattro cervi e Basso Okme.
– Eccovi qui finalmente! – Commenta burbero Fahgön alla loro vista. – Alla buon'ora.
– Senti un po', Grandirami… – Comincia a dire Klog, ben deciso ad insegnare al grande cervo che il resto del mondo non procede con i suoi usi da vecchio soldato, ma una gomitata nelle costole da parte di Plinio lo interrompe bruscamente togliendogli il fiato.
– Hai ragione Fahgön, ma non ci è sembrato molto utile affrontare il viaggio sotto la pioggia battente che ci avrebbe presto inzuppato e gelato ed abbiamo indugiato un poco di più per permettere al cielo di terminare il suo ciclo.
Il cervo scuote la testa. – È ragionevole. Cosa voleva dire il Quasi-Silvano?
– Nulla d'importante. – Brontola il Boldhovin, ancor più seccato per la qualifica di quasi- qualcosa.
– Come sempre. – Termina il Cervo. – Ora comunque la pioggia sta diradando.
Un rapido sorriso attraversa il volto del Neek. – Anch'io sono un Quasi, mastro Klog. La vostra frittata e la vostra composta di lamponi vi attendono.
Il Bodhovin annuisce con espressione sorpresa e restituisce uno sguardo smarrito ed incerto ai modi affabili di Gudre-Yinnu.
– Vi ringrazio dell'apprezzamento che avete dedicato alla mia modesta opera. – Continua il Neek. – Ma non si tratta di un soggetto abituale presso i Notturni. Solo un Quasi può trovare affascinante quell'arazzo: per un Uomo-Di-Luna, come siamo chiamati presso i Silvani, sarebbe un'opera stravagante fino ad essere quasi sconveniente.
Klog torna ad annuire senza osare ribattere e corre a sedersi a tavola.



All'esterno, nell'aria ancora densa e odorosa di pioggia, oltre il ponte levatoio abbassato, alcuni animali dal mantello del colore del cielo invernale sostano immobili, come in attesa – Curioso. – Commenta Plinio. – Che tipo di animali sono quelli, gentili Duith-Uinn, che sembrano attendere con la compostezza e la solennità di altrettante sculture?
Il Neek si stringe nel lungo mantello del colore della notte e li indica uno per uno con il braccio levato.
– Mieri, Diefig, Ghiu e Terkan. Si tratta delle nostre cavalcature.
Il gatto stringe le palpebre per mettere meglio a fuoco le figure ancora lontane, ma senza risultato. Ad un'occhiata pigra quegli animali hanno qualcosa che ricorda il cavallo, ma le loro posture, il profilo lontano dei musi non hanno nulla in comune con i fedeli amici degli uomini.
– Cosa sono quegli animali? – Chiede Klog a bassa voce a Burke, il cervo che marcia accanto a lui.
– Mezze Aquile. – Spiega senza spiegare molto il cervo.
Avvicinandosi maggiormente le differenze tra quegli strani animali ed i cavalli divengono più evidenti. I loro musi sono stranamente sottili e terminano con un becco piegato verso il basso, simile a quello degli uccelli da preda, e le loro zampe, esili e delicate quelle anteriori tanto sono forti e massicce quelle posteriori, hanno quattro dita ciascuna che terminano con robusti unghioni ricurvi. Alla vista di Gudre-Yinnu i quattro animali abbandonano le loro posture rigide per avvicinarsi silenziosamente, muovendosi in uno strano modo saltellante che ricorda insieme quello dei conigli e dei falchi quando procedono al suolo.
– Ippogrifi. – Dichiara Basso Okme senza dar segno di stupore. – Non credevo che ne esistessero ancora. –
– Sono effettivamente molto rari, ormai. – Spiega Gudre– Yinnu. – Sono sempre stati la cavalcatura preferita dei Notturni: forti, silenziosi, con la vista ed il carattere di un'aquila ed insieme docili e tranquilli. – Il Neek si interrompe per un istante per guardare i quattro animali ormai a portata di voce. – Ma in fondo anche noi siamo pochi e nascosti di questi tempi e non è strano il persistere di questo legame. Mieri!
Udendo il suo richiamo l'ippogrifo cambia improvvisamente passo, abbassando il capo e avvicinandosi a veloci scatti come un felino. Dopo un istante la creatura, un po' più grande di un cavallo, è davanti a loro, fissandoli curiosa con i grandi occhi del colore delle foglie giovani attraversati dalla scura pupilla verticale.
Ghiu! Terkan! Diefig! – Torna a chiamare il Neek ed in un batter d'occhio il piccolo gruppo di viaggiatori è attorniato dai quattro grandi animali, seduti sulle zampe posteriori come enormi gatti ed il muso abbassato a guardarli.
– Non temete, non sono pericolosi, sanno che non siete ostili. – Annuncia Gudre-Yinnu.
– Certo, non siamo affatto ostili. – Aggiunge Klog.
– E come potremmo?
– In un primo momento avevo preso una decisione. – Dice il Neek. – Volevo offrirvi questi quattro animali come cavalcature per il vostro viaggio.
– Era un'ottima idea. – Commenta Fahgön.
– Ma poi ho mutato avviso. Conosco almeno parte di ciò che vi attende nel vostro viaggio verso le Montagne dell'Orlo e così ho deciso di venire con voi, accompagnarvi fino al termine della vostra missione. Io voglio Vedere.
Matushka lo guarda con una punta di disagio: gli occhi della creatura brillano leggermente mentre pronuncia quelle parole ed una calma esaltazione sembra percorrerlo, un desiderio bruciante nato e via via cresciuto tra i muri della residenza dei Notturni, alimentato dagli strani sogni e dagli ancor più strani ricordi di quel bizzarro popolo. – Spero che vogliate accettarmi tra voi. – Conclude il Neek. – Se così non è, se qualcosa in voi si ribella all'idea che uno di noi vi sia compagno non si preoccupi e lo dica apertamente. Non vi è nulla di peggio di una compagnia accettata solo per buona creanza che al primo pericolo o al primo contrasto si trasforma in odio e livoroso malanimo.
Sotto lo sguardo paziente dei quattro grandi animali i viaggiatori tacciono, cercando di ponderare rischi ignoti e vantaggi evidenti della compagnia di Gudre-Yinnu.
– Userete come cavalcatura una di queste Mezze-Aquile? – Chiede Fahgön.
– Certo. Due di loro, Mieri e Ghiu verranno con noi.
– Siete armato?
Il Neek annuisce con un sorriso ed estrae da sotto il mantello una lunga spada di metallo bruno: la tradizionale Ejiri del popolo della Notte.
– Avete cibo con voi e conoscete il percorso?
– Certo.
– Bene. Accetto la vostra compagnia. Benvenuto tra noi. – Conclude il Cervo. – Questo riguarda me ed gli altri cervi. Le altre creature saranno più lente a decidere, credo. – Aggiunge Fahgön con evidente sarcasmo.
– Se devo essere sincero io ho timore della vostra gente… – Come spesso gli accadeva Klog si rende conto di aver iniziato a parlare più per vincere l'ansia di una situazione complicata che per esprimere una qualche conclusione precisa. – … Ma mi pare che voi siate meravigliosamente equipaggiato per il compito che ci attende e così credo che per tutti noi sarebbe un grosso vantaggio avervi tra noi…


– Tuttavia?
– Non ho detto tuttavia.– Replica con dignità il Boldhovin – Sta di fatto che non sono sicuro di comprendere i vostri motivi, tutto qui. Voi vivete tranquillo e ricco in questo bel luogo, perché mai dovreste desiderare di unirvi a questo tentativo così patetico di salvare il mondo? Probabilmente il Cambiamento non arriverà fino qui e certo voi, con il vostro laboratorio, potrete far cose più utili contro di lui di quante ne potremmo fare noi con cento spedizioni come questa. Insomma, cosa vi spinge a seguirci?
Se il Neek prova irritazione per le parole di Klog non è facile riconoscerla nel suo viso immobile e negli occhi scuri e profondi rivolti verso il cielo, dove una fenditura nelle nubi lascia intravedere un piccola, profonda porzione di azzurro.
– Non avrei saputo porre a me stesso la domanda in modo più netto e chiaro, mastro Klog. La risposta, l'unica che sono riuscito a trovare stanotte, mentre percorrevo la strada che vi o forse ci attende in compagnia di Mieri, è che non posso continuare a vedere il tempo scorrere come vento in questa piccola valle, indossando la maschera del ribelle, dello Strano per irritare la mia gente, per prevenirla, ogni volta che qualcuno di loro pensa, o forse son solo io a crederlo, «Tu non sei come noi, mezzo-uomo. Tu non puoi sapere, non puoi vedere ciò che noi vediamo.» Sono stanco di questa finzione, temo che questa maschera diventi il mio vero volto e che una volta che mi trovi a poterla posare ne divenga incapace perché sotto ad essa non vi più Gudre-Yinnu ma il Neek, lo Strano, condannato a recitare la stessa parte.
La creatura fa un leggero cenno con il capo ad uno degli ippogrifi, Mieri, si avvicina a lui e si abbassa per permettergli la salita.
Il Neek accarezza il dorso coperto di pelo corto e chiaro dell'animale prima di montarlo, mormora qualche parola dall'intonazione affettuosa ed un attimo dopo si trova sollevato dal suolo, scuro e temibile come i ritratti dei guerrieri del Popolo della Notte che fissano l'oscurità nei grandi corridoi della Residenza.
– Comprendiamo le tue ragioni, Gudre-Yinnu. – Basso Okme, che ai piedi del grande ippogrifo assomiglia ad un indifeso savio al cospetto di un condottiero, il libro magico ben stretto nelle mani. – E siamo sicuri che esse rappresentino bene la tua anima ed i tuoi pensieri. Esiste forse qualcosa in te che nemmeno tu conosci, qualche angolo dei tuoi pensieri che non puoi raggiungere. Ti accettiamo tra noi e ti ringraziamo. Ma se dovessi scoprire che questo viaggio non è ciò che davvero desideri non ti peritare di abbandonarci al nostro destino. A nostra volta non te ne porteremo rancore.
– D'accordo Basso Okme, riconosco in te la grande anima di Kerfilluan. – Approva Gudre-Yinnu. – E ringrazio voi tutti per quest'occasione. Andiamo ora, il viaggio è lungo, amici miei. – Con quell'ultima frase il Neek sprona leggermente l'Ippogrifo che si lancia verso il limite dell'altopiano, simile all'illustrazione di un libro antico e dimenticato.
I viaggiatori lo vedono allontanarsi e fermarsi ad attenderli mentre un secondo ippogrifo, chissà in quale modo chiamato, corre a porsi al suo fianco.
– Adesso sì che siamo degni di essere ricordati. – Commenta un po' serio ed un divertito Plinio. – Abbiamo con noi l'ultimo degli Udhiunj, i grandi cavalieri dei Notturni di cui ben pochi ricordano anche il nome.
– Se ben pochi lo ricordano tu come fai a saperlo, gattaccio? – Chiede beffarda Matushka.
– C'era scritto sotto i quadri nel palazzo. – Spiega il gatto.
– E bravo. E se fosse stato il nome della famiglia?
Il gatto sorride. – Sarebbe comunque l'ultimo degli Udhiunj, non credi?
La piccola volpe scuote il capo e sale sulla groppa di Og spingendo i talloni nei fianchi del cervo. – Sei troppo furbo, Plinio. – Grida allontanandosi. – E non mi piaci. Per niente.