6.1.20

Il Mare Obliquo 49

Mentre Artamiro agonizza si è già scatenata la guerra per la successione. Ed è soltanto l'inizio. 
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– Com'è potuto accadere?
Il messaggero lascia che il suo sguardo frughi nella neve calpestata, davanti alla grande tenda di Artamiro pur di non incontrare gli occhi accesi d'ira del Duca Rossiter. – Non so nulla. – Quasi implora. Il Duca lo spinge via con un gesto rabbioso e si avvia verso la tenda grigia dove tiene Consiglio il generale Kataiud.
– Generale! – Rossiter non si preoccupa delle forme e non si fa annunciare, entrando nella tenda seguito da due servitori che si affannano a squittire "Eccellenza… Eccellenza" inseguendolo. Kataiud sbuca all'improvviso da dietro una cortina, avvolto da una calda pelliccia, lo sguardo vacuo e incerto. – …Duca.
– Alcuni sabotatori di Bartsodesh sono entrati nel campo questa notte ed hanno bruciato una ventina di carri carichi di cibo ed armi, appena giunti da Charit. Una dozzina di nostri soldati sono stati gravemente feriti o uccisi.
– Dov'è accaduto?
– Nel recinto sud. Al comando vi era stato messo il Conte Burlagh. Un amico di Kostantin, ma certo di questo particolare siete al corrente.
– Dovremo rafforzare la guardia.
Il Duca Rossiter impallidisce. – A difesa di quei carri avrebbero dovuto esservi cinquanta soldati, lo sapete, vero? Ma la momento dell'incursione nemica una trentina di loro erano stati richiamati per scortare la consorte del Conte Burlagh in visita al castello di Ellid, a poche miglia da qui.
– Deplorevole. – Ammette il generale, che ancora non ha compreso o forse di rifiuta di farlo.
– Molto peggio che deplorevole, Kataiud. Io ritengo che vi sia complicità tra il conte Burlagh ed i nostri nemici. Lasciatemi dire! Nelle ultime settimane ben pochi convogli destinati al campo sono riusciti a giungere a destinazione, quasi tutti sono stati razziati e distrutti dai soldati di Bartsodesh, mentre la nostra armata scorta dame e si dedica ai giochi d'azzardo per dimenticare la fame e le centinaia di disertori che hanno abbandonato l'armata si sono riuniti in bande che hanno reso le terre che circondano il campo un deserto.
– L'Arciduca Kostantin ancora ieri mi ha inviato una lettera…
– Anch'io ricevo le lettere del Gran Mentitore che tiene corte seduto sul Trono di Artamiro: menzogne, false promesse, lusinghe e falsità. Ma io ADESSO voglio sapere da che parte state voi, generale.
– Calmatevi, Duca, vi prego.
– Calmatevi Duca, chiudete gli occhi, lasciate che sia Kostantin a provvedere all'Armata, egli è saggio, è accorto, è provvido con i suoi amici e paziente con i nemici. È vero? È così?
– Voi siete giovane, Duca Rossiter, e la vostra età è consigliere generoso ma impulsivo. Riflettete, vi prego, prima di prendere decisioni e compiere azioni irreparabili.
Rossiter fissa incredulo il generale, divenuto una perfetta replica del suo anziano istitutore Tlaud. Sorride scuotendo la testa e si siede su uno scranno ricoperto di velluto giallo, posto di fianco al braciere che intiepidisce l'aria nella tenda.
– Rifletto, Generale Kataiud, come potrete agevolmente constatare. Rifletto ad alta voce se permettete. Praticamente tutti i rifornimenti giungono attraverso la strada che passa per Torre Aghmanta, partendo da Tyen e che giunge al Recinto Sud, al cui comando c'è – lo sappiamo bene – il Conte Burlagh. Egli riceve notizia da una settimana a due giorni prima dell'arrivo di una carovana, in modo da poter provvedere alla difesa ed alla scorta. Anche voi ricevete la stessa comunicazione ma lasciate che sia il Conte ad occuparsi della cosa. Succede che due, tre, quattro, dieci carovane vengano assalite dai disertori o dai soldati di Bartosdesch, scaramucce che tuttavia ci costano ben pochi soldati perché le scorte erano largamente insufficienti. Infine provvedete e l'undicesima carovana riesce a varcare il Recinto Sud intatta. Ma accade che una parte dei soldati vengano allontanati con una scusa molto stupida e che un gruppo di sabotatori riesca a penetrare nel campo ed a distruggere il carico. Sto riflettendo bene?
Kataiud si è seduto a sua volta, avvolgendosi nella pelliccia, e annuisce tetro.
– Bene. Sappiamo che la nomina del Conte Burlagh è avvenuta dietro pressioni dell'Arciduca Kostantin e che lo stesso Re Artamiro ha più volte espresso dubbi sulla fedeltà del Conte. Sulla fedeltà, notate bene, non sull'intelligenza che pure parrebbe largamente insufficiente se egli avesse agito in buona fede. – Il Duca si alza per afferrare una pedina bianca del gioco di scacchi che Kataiud tiene su un tavolino. – Questo è il nostro Burlagh, egli ha un supremo ufficiale che comanda l'Armata. – Rossiter afferra la torre bianca alla destra del Re. – Questi forse per pigrizia, forse perché complice lascia che la pedina abbandoni più volte la sua posizione… O forse… – È la volta della Regina bianca. – Forse c'è un altro sovrano sulla scacchiera oltre ad Artamiro ed a Bartsodesh, che vorrebbe sostituire un re moribondo. – Con uno scatto improvviso della mano Rossiter rovescia il Re bianco. – …Pronto ad un'altra partita, non più contro Bartsodesh, ma contro di me e contro quanti sono fedeli alla Casa D'Occidente. 

 
Il generale Kataiud scuote la testa, ma sembra farlo per un riflesso vago, nel debole tentativo di negare.
– Rimuovete immediatamente dal comando il Conte Burlagh e fatelo processare dal Consiglio dell'Armata. Se non lo farete saprò a cosa attribuire la vostra inerzia.
– Il conte possiede una guardia nutrita. – Obietta esitante il generale.
– Invitatelo nella vostra tenda. Io stesso gli esporrò le accuse. Entro oggi.
Il generale Kataiud si alza faticosamente: la sua età già avanzata sembra aver acquistato un'altra ventina d'anni. – Come desiderate. Scriverò immediatamente l'ordine.
Il Duca annuisce lentamente. Kataiud è un uomo anziano, ormai stanco. Non si sente particolarmente orgoglioso di averlo obbligato a quel gesto, ma cos'altro gli rimaneva da fare?
– Aspetto una vostra conferma. Oggi. – Esce dalla tenda di corsa, amareggiato. Solleva lo sguardo: il grande campo si estende davanti a lui, reso silenzioso e quieto dal candore della neve.
Per un attimo la grande forma chiara gli sembra un semplice, bizzarro riflesso. Si volta di scatto: la grande Regina Bianca, costruita di neve e ghiaccio stende la sua ombra su di lui, un'ombra fredda ed ampia, che l'abbraccia ancor prima che l'immane figura si abbassi su di lui derubandolo della vita.


– Una semplice disgrazia.
Tiatikenn il mago scuote più volte la testa. – Ho sentito qualcosa là fuori. Sono molte settimane che sento.
Il visitatore dell'Arcimago ripete: – Una semplice disgrazia, nulla di più.
– Non so chi voi siate ma dalla vostra voce non esito a giudicarvi personaggio importante. Non è certo una disgrazia ciò che è accaduto al Duca Rossiter. Ma questo volete si dovrà credere. – Tiatikenn strofina le mani sul piccolo braciere quasi spento a rubare le ultime, deboli emanazioni di calore. – Non è necessaria la maschera con me, nessuno crede più alle mie parole.
– Male. – Commenta tranquillamente lo sconosciuto.
– Canddermyn e gli Erbani hanno annullato i miei poteri, hanno confuso i miei occhi e la mia visione si è fatta vaga, limacciosa.
– Eravate il più potente mago dell'Occidente.
Tiatikenn rabbrividisce. – Siete venuto per burlarvi delle mie disgrazie?
– No. Anzi me ne rammarico.
– Siete uno dei pochi. Nella disgrazia ho conosciuto l'ingratitudine, la vendetta dei miseri e dei meschini, la falsità degli amici interessati e l'ingiustizia di chi ricordava solo i miei errori.
Una leggera nota querula si insinua nel tono del mago, che si stringe nell'abito scuro, quasi a sottolineare la miseria della sua condizione.
– Vedo. Una vera disgrazia.
Tiatikenn fissa per un istante il volto coperto dello sconosciuto, cercando conferma al lieve accento derisorio che gli è parso di cogliere.
– Siete venuto qui solo per addolorarvi con me delle mie disgrazie? O solo per minacciarmi?
– Né l'una cosa né l'altra. Io posso disporre di potenti alleati e sono in grado, se lo volete, di farvi restituire i perduti poteri.
Tiatikenn ride. – Solo l'Ombra di Sangue lo potrebbe, o Queidhen l'Unico o forse i Giganti di Cristallo. Avete amici tanto potenti, signore? Cosa siete mai voi? Uomo, Gu'Hijirr, Syerdwin o Lupo-Drago? E poi cosa mai potrebbe indurvi a offrirmi simile bene? 

 
– Dipende tutto da voi, Tiatikenn. Potrete ritornare al servizio del nuovo sovrano dei Cancelli d'Occidente e servirlo meglio di quanto non sia stato per Artamiro.
– Ma Artamiro non è morto.
– Ben poco lo separa ormai dalla morte e senza la filiale sollecitudine del Duca Rossiter nessuno troverà strano che il suo cuore una notte cessi di battere. Dancemarare ha bisogno di un nuovo sovrano e l'ombra di Artamiro non può reggere i Cancelli d'Occidente. I re della Gente Antica ci sono ostili e i soldati d'Oriente sono appena oltre la pianura.
– Konstantin. – Il mago si limita a pronunciarne il nome, lasciando che sia il suo interlocutore a comprendere quanto lui non dice.
– Il siniscalco Ant'Kisiel ha già giurato fedeltà al nuovo Re e Kataiud lo farà tra poco. Il Raduno dei Territori del Tramonto è già con lui e con la nuova armata che sta preparando a Dancemarare. Voi avete ancora amici e fedeli e non debbono esservi dubbi sulla morte del Duca Rossiter. – Si coglie un leggero affanno nella voce dell'individuo mascherato, o forse si tratta di semplice preoccupazione.
Tiatikenn sorride. – Non ho ricevuto visite da parte dei fedeli del Duca, non temete. Gli amici del Duca sono migliori di quelli di Kostantin e non radunano armate fratricide.
– Non devo discutere di questo con voi. – Il visitatore si è impercettibilmente avvicinato. Le sue mani si nascondono sotto il mantello chiuso.
– Se non accetto devo morire. – Dice quasi a se stesso il mago.
Il mascherato non risponde.
– Sapete quanto poco mi importa della vita?
– Lo immagino. Per questo vi temono.
– Sono stato staccato con tanta violenza dal seno della fortuna da aver perduto con essa anche il suo ricordo. Non ho rimpianti né rancori, solo a tratti provo stupore che la mia miserabile persona, che ora è la mia unica compagnia, abbia un giorno potuto decidere di vite e di destini. – Il mago si accosta con un movimento lento, quasi insonnolito, ad un sedile dall'alto schienale, foderato di una stoffa decorata con motivi di caccia. – Vedete? Ora mi siederò qui attendendo che voi decidiate del mio destino. Io non ho desideri né timori e non cambierei questa condizione con nessun'altra.
Con un movimento frettoloso l'individuo mascherato affonda il lungo pugnale nel petto di Tiatikenn che ha chiuso gli occhi. Un debole sussulto scuote il corpo del mago che neppure accenna a difendersi. Le sue dita stringono per un attimo i braccioli del sedile per ricadere l'ultima volta inerti.
L'inviato di Konstantin lo osserva, pulisce la lama sull'imbottitura della sedia e dopo essersi coperto il volto con l'orlo del mantello abbandona la tenda.

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