16.3.15

Vicino al traguardo




Lavorare su un blog non è mai facile.
Particolarmente per me, temo.
Il più delle volte mi ritrovo davanti alla tastiera con la mente vuota come uno stadio di lunedì mattina. 
Potrei scrivere il mio parere su ciò che avviene. 
Che temo sarebbe interessante come ascoltare il vicino di casa che si lamenta di qualcuno del condominio a fianco che lascia sempre l'immondizia fuori dai bidoni. O che non pulisce gli escrementi del proprio cane.
È un periodo che fatico a leggere i quotidiani. Li acquisto, certo, per un'abitudine che ho preso quando avevo sedici o diciassette anni. Ma non li leggo. In genere non vado oltre la prima pagina.
Potrei intervistare qualcuno, come fa il buon Nick con il suo ottimo blog, Nocturnia. 
Noooo, é troppo divertente leggere ciò che scrive Nick, senza faticare in proprio.
Potrei recensire libri, certo, peccato che lo faccia già per LN-LibriNuovi. Qui recensisco talvolta libri ma con una seria mancanza di serietà.
Potrei inserire fotografie. Ma lo posso fare con FB, che almeno qualcuno le guarda. E poi le fotografie hanno senso se raccontano un percorso intellettuale, altrimenti sono mortalmente noiose come una seratina a settembre con gli amici che in agosto sono stati a Sharm-el-Sheick e «Hanno fatto milioni di fotografie». Gulp. 
Sempre che non siate Lartigue. O Jodice. O Salgado. 
Ma non lo siete. 
E quindi è noia.[*]
L'unica cosa seria che ho voglia di fare in questo periodo è scrivere un sismogramma alla mia personale scrittura.
Probabile ve ne importi meno di nulla, ma non ho obiettivi da raggiungere con il mio blog. Lo uso come sfogatoio o come sgabuzzino dei pensieri. 
Giusto perché chiunque in casa quando attacco il discorso su ciò che sto scrivendo in questo periodo scopre improvvisamente di avere di molto meglio da fare. 
Non dite che non vi ho avvertito.

 ...
Ho superato i 200.000 caratteri e manca ormai poco all'epilogo. 
Non è una gran notizia, siamo d'accordo, ma ultimamente non ho molto altro in testa.
Mi succede sempre quando scrivo qualcosa di nuovo, nonostate i milioni di parole spese sulla macchina da scrivere (prima) e sul PC (dopo).
Lavoro sulle frasi ma prima ancora sui sostantivi, sui verbi, sugli aggettivi, persino sugli avverbi. Cerco di ottenere frasi veloci, quando è necessario, ma anche frasi più lunghe e meditative quando è il caso, di risvegliare il ricordo di ciò che non ho mai visto, ovvero riuscire a trasformare una semplice fantasia in un ricordo condivisibile
Il che, se fossi uno scrittore davvero attivo, potrebbe diventare uno dei caposaldi di una teoria dello scrivere meno banale di quelle che girano.
Quando si avvicina il termine di un romanzo tutto sembra assumere un'altra sostanza, i personaggi sembrano diventati davvero vivi, le loro parole riescono più sincere, più naturali, qualcosa che appartiene interamente a loro e che ha sempre meno del sottoscritto. E devo fare attenzione perché la tentazione di ritardare la conclusione diviene quasi insostenibile, il tentativo di descrivere quel mondo ancora per poche righe è forte. Ma cerco di resistere: avrò l'occasione di raccontarne ancora un frammento nella revisione, aggiungendo attimi e gesti. 
La prima stesura di un testo è per me una scheletro con poca carne addosso, dove la prima preoccupazione è che proceda, cresca, avanzi. I personaggi devono uscire dal proprio nome e cominciare a muoversi, agire, ricordare. Viene soltanto dopo un po' il momento dell'affetto e della curiosità, quando rileggendo - si deve rileggere molto il proprio testo, con attenzione, con pedanteria - si scoprono le possibilità che non scriverai, i ricordi che non inserirai, le occasioni che non coglierai. Un romanzo è la relazione di un fatto (non) avvenuto che deve essere narrata fino alla sua naturale conclusione, raccontando soltanto ciò che ad essa attiene. Il che è una frase, ma non è sempre la verità.


Viene anche il momento della divisione in capitoli. 
È un elemento curioso, questo della divisione in capitoli, che molto considerano un elemento centrale della scrittura di un romanzo. Esiste anche qualcuno - e non posso nascondere la mia invidia - che riesce a predefinire una scaletta ordinata scrivendo: «Capitolo 1. Il protagonista viene licenziato; Capitolo 2. Il protagonista viene sfrattato e la sua ragazza lo lascia... e così fino al Capitolo 23: Il protagonista si suicida ovvero il protagonista scopre di essere stato preso in giro dall'autore e lo cerca per accopparlo.» 
Io aggiungo il numero dei capitoli soltanto dopo. Non ho bisogno di aggrapparmi alla struttura per capitoli per capire di essermi impiantato. O impallato. O bloccato senza speranza. Le mie storie divise in capitoli prima di essere finite sono irrimediabilmente bloccate. 
«Va bene, ma del romanzo non parli? Non ne racconti almeno un pezzetto?»
No.
Ho già spiegato di che cosa parla. 
Di più non dirò. Se racconto una cosa prima di averla finita poi non ho più voglia di terminarne la scrittura. 
Anche se ne racconto solo una parte, un episodio un personaggio. 
E ho molta considerazione per il buon Paolo Cavazza che riesce a raccontare un racconto anche prima di finirlo.
Chapeau
Arrivederci alla prossima. Quando avrò finito la prima stesura e potrò parlare d'altro. 
Forse.

 
[*] Ciononostante ho deciso di usare le mie foto per illustrare questo inutile post. Peggio di così... 


  

4 commenti:

Nick Parisi. ha detto...

"Potrei intervistare qualcuno, come fa il buon Nick con il suo ottimo blog, Nocturnia.
Noooo, é troppo divertente leggere ciò che scrive Nick, senza faticare in proprio."
Ahhahahhahhah!
Grazie per la stima! :)

Massimo Citi ha detto...

@Nick: stima del tutto meritata. Un abbraccio.

Paolo ha detto...

La divisione in capitoli è un punto interessante. L'avevo usata raramente, ma nel caso di "I nostri diritti" si è imposta, per così dire, da sola, una volta definita la cronologia della vicenda. Non credo che la userò nel racconto più breve (il vecchio titolo, che penso manterrò, è "Interferenza"). In questo caso ci sono altri problemi: le due versioni originali (datate 1979 e 1981, la seconda mai terminata) sono così incoerenti fra loro e con il racconto successivo che ne sto riutilizzando solo lo scheletro della trama, modificando la successione degli eventi e spostando i personaggi da un ruolo all'altro. In pratica gran parte della seconda versione diventa un flashback, tecnica narrativa che non mi è familiare e per la quale prevedo bacchettate sulle dita...

Massimo Citi ha detto...

@Paolo: da qualche tempo sono perseguitato da un incubo ricorrente: una persona che conosco mi sottopone un racconto per il prossimo ALIA. Lo leggo e mi rendo conto che si tratta di un interminabile flashback. A quel punto urlo e mi sveglio.
Sarà grave? ;)
No, a parte gli scherzi, lavoraci su con calma. C'è tutto il tempo per discutere...