14.5.10

Scrivere in Koro 15 anni dopo - Capitolo 1


Di seguito pubblico il manuale di «scrittura creativa» partorito per i lavori del Koro, seminario autogestito di scrittura creativo che visse e fiorì per un paio d'anni, tra il 1994 e il 1996.
Si interruppe per diversi motivi.
In primo luogo per motivi di tempo - scarso per tutti i partecipanti, un numero variabile tra le 10 e le 20 persone - e in secondo perché avevamo comunque completato un ciclo di attività, sfornando i nostri compiti e le nostre interminate e interminabili discussioni/riflessioni. Avviare un secondo ciclo era sinceramente troppo persino per me e Silvia Treves (che si firmava e si firma tuttora come S_3ves) che abbiamo condotto e animato il seminario per tutto il tempo della sua esistenza.
A ripensarci è stata davvero una bella esperienza, comunque.
Eravamo su un piano di assoluta parità, ansiosi di afferrare e padroneggiare gli strumenti della lettura e della scrittura, felici come bambini che guardano la notte da una finestra del tetto, ancora svegli nonostante gli ordini dei genitori...
Sono passati più o meno quindici anni e il panorama è drasticamente mutato. Il mondo dei libri è cambiato fino a diventare irriconoscibile. E non è soltanto il problema di un'insufficiente conoscenza del mondo editoriale dell'epoca. E nemmeno di illusioni perdute. Semplicemente l'attuale mondo letterario è una conseguenza logica dell'editoria di allora. Un'editoria che ha perduto indipendenza e autonomia intellettuale. Autori italiani di successo consegnati a una fastosa mediocrità, felicemente obbligati a una povertà di stimoli, idee, suggestioni che all0ra - ingenui come eravamo - non avremmo neppure potuto concepire.
Ci illudevamo che scrivere fosse la possibilità di comprendere il mondo e anche noi stessi. Adesso siamo più grandi e, nonostante tutto, abbiamo fatto esperienza del tempo e di noi.
E anche se è diventato più complicato e faticoso non abbiamo rinunciato a guardare il cielo di notte.
***
Il testo del "manuale" - del quale mi incaricai io con contributi di S_3ves - risulterà un po' debole come costruzione e organizzazione, dopo tutti questi anni. E tutt'altro che completo. Un po' supponente ed eccessivamente brutale, rigido e inflessibile, intollerante verso certi autori e un po' svenevole verso altri. Ma credo di potermi ancora riconoscere in essa.
E certe parti le riscriverei anche più cattive e dispettose.
È bene, comunque, sottolineare, che il testo è stato scritto avendo presente la sua lettura e il commento ad alta voce, seminariale.
Buona lettura, comunque. Qualsiasi commento è graditissimo.

***
Premessa

Ogni scuola di scrittura che si rispetti, in ogni angolo del globo terraqueo ha prodotto materiali scritti, manuali, sussidiari, schemi, temari ecc. ecc. Non si capisce come mai il Koro, pur essendo un seminario autogestito e scassone, non dovrebbe fare altrettanto, anche perché persino una caterva di scemenze e ovvietà, purché scritte, hanno il pregio di suscitare discussioni e confronti. Nella peggiore delle ipotesi cementano l'unità dei partecipanti, accomunati dalla convinzione che l'estensore del sussidiario, manuale ecc. ecc. sia un modesto fesso o anche un fesso colossale (anzi. kolossale, visto che si parla di Koro).

E allora eccovi qui, alla portata della vostra malevolente attenzione, il nostro manuale, dal titolo:

SCRIVERE IN KORO

Il compito di scrivere queste note mi è stato cortesemente affidate da S_3ves in base al fatto che sia pure in vesti differenti e con esiti indefinibili sono, tra i membri del Koro, quello che ha scritto di più ( 4 romanzi completi, un romanzo in condominio con S_3ves, un altro romanzo in corso di scrittura, un numero esagerato di racconti e una mezza sceneggiatura, il tutto inedito al 99%).

Talvolta sospetto si tratti semplicemente di tempo perso, ma non è questo l'aspetto rilevante della cosa.

Il fatto è che avendo scritto per svariati chilometri è statisticamente probabile che abbia inciampato con più frequenza in due ordini di problemi che tutti ci attanagliano: la costruzione di una trama (M=MACROSTRUTTURA) e l'organizzazione della lingua [m= microstruttura].

Nello stendere questa preziosa operina mi sono reso conto della necessità di corredare il testo con esempi, cosa che ho tentato di fare. Per ragioni di tempo e di pigrizia, tuttavia, ne ho inventati alcuni di sana pianta. Spero si rivelino almeno adeguati, ma - se non vi piacciono - potete proporne di migliori, non chiedo di meglio.

Ulteriore raccomandazione: un carneade della narrativa come me non può dare consigli davvero utili a nessuno e ciò che segue non può evidentemente essere un baedecker alla pubblicazione e al successo, ma semplicemente l'illustrazione della mia personale linea di condotta nella scrittura. Non voglio dare consigli, nè tranciare giudizi: semplicemente mi propongo come materiale di discussione. Non è una svista, Mi propongo nel senso che ciò che ho scritto rappresenta buona parte del mio gruzzolo di lavoro e di esperienza in campo creativo (creativo, Signùr).

Intendetelo come un intervento particolarmente lungo a una riunione del seminano.

Se a qualcuno venisse poi voglia di integrare, correggere, ampliare il lavoro è il benvenuto. Alla fin fine potremmo persino stampare il tutto e venderlo o regalano come prodotto del seminario.

Prima di cominciare, tuttavia, una bella CITAZIONE

Trattasi dì “Poetica della prosa" di Tzvetan Todorov, sottotitolo "le leggi del racconto", pag. 96

Nel celebre racconto La Cifra nel tappeto (1896) James racconta come un giovane critico che ha appena terminato dì scrivere un articolo su uno degli autori che più ammira - Hugh Vereker - lo incontri per caso poco dopo. L'autore non gli nasconde di essere deluso dello studio a lui dedicato. Non certo perché manchi di sottigliezza, ma per il fatto che non riesce a dare un nome al segreto della sua opera, segreto che ne costituisce, insieme, il principio motore e il senso generale. «Vi è nella mia opera un'idea», precisa Vereker, «senza la quale non mi sarei affatto interessato all'universo rappresentato dai mestiere di scrittore. Un'intenzione preziosa come nessun'altra. La sua attuazione è stata, almeno così mi sembra, un miracolo di abilità e perseveranza [...]. Essa segue il suo corso, come un personale piccolo gioco di prestigio che attraversa tutti i miei libri, e tutto il resto non è al confronto che un superficiale trastullo». Incalzato dalle domande del suo giovane interlocutore, Vereker aggiunge: «Tutto l'insieme dei miei lucidi sforzi non è altro che ogni mia pagina, ogni mia riga, ogni mia parola. Ciò che dev'esser trovato è tanto concreto quanto l'uccello nella gabbia, l'esca appesa all'amo, il pezzo di formaggio nella trappola. È ciò che compone ciascuna riga, sceglie ogni parola, mette un punto su tutte le i, traccia tutte le virgole».

Cosa c'è di tanto importante in questa citazione di H.James da parte di Todorov?

Il Segreto.

Tanto per citare Mario Giorgi: "non credo che si possa DAVVERO insegnare a scrivere a qualcuno

Eh, già, perché sotto c'è un segreto: c'è quel tanto di inafferabile e irriducibile che PUÒ sorprendere voi stessi quando rileggete le vostre pagine migliori, ciò che vi strappa un moto di stupore: “... ma chissà da dove cazzo mi è venuta fuori questa..."

Questa stupore di fronte al segreto della scrittura - che poi è il semplice segreto del nostro Esserci [dasein, secondo Heidegger] - è anche il motivo per cui si perde tempo davanti a un computer a comporre parole che ben pochi leggeranno. È ciò che ci smaschera come individui immaturi che hanno ancora bisogno di sapere cosa faranno e come saranno da grandi.

La fase attuale e i nostri compiti.

Finora si sono fatti numerosi giri di ricognizione intorno al castello della narrativa: quanto sono alte le mura, quanto sono munite, i turni, le abitudini, delle sentinelle. Si sono interrogati coloro che hanno commercio con i castellani e compiute ripetute osservazioni a diverse distanze.

Si sono costruiti modelli del castello, studiati camminamenti, spalti, torri, barbacani, ridotti e li si è riprodotti. Ma rimangono aperti due problemi essenziali: L'ARCHITETTURA e la STRUTTURA INTIMA del castello.

Per Architettura intendo il disegno complessivo e il progetto, in poche parole tutto ciò che ha a che vedere con il complesso della narrazione (trama, intreccio, sviluppo ecc.).

Ossia:

... Dato A come personaggio principale, B sua moglie, AB il figlioletto adorato:

l. A uccide incidentalmente B

2. A scopre di non amare più B

3. A prova dolore e disagio nel suo rapporto con B

4. A viene rapito dagll Ufo e scopre che B è un agente venusiano

5. A è una spia yemenita all'insaputa di B (agente segreto della Padania)

6. A beve come una spugna e maltratta B

7. A convince B a partecipare a uno scambio di coppie. Amplessi, stravaganze e perversioni vengono rigorosamente descritti.

8. A analizza in un diario i propri rapporti con B

9. A scrive lunghe lettere alle quall B non risponde.

lO. A si sveglla un mattino senza ricordare più nulla di B e di AB.

11. A dopo una memorabile sbornia scopre il cadavere offendamente sfigurato di B. La polizia lo considera colpevole e nemmeno lui è troppo sicuro della propria innocenza.

12. A si sveglia una mattina trasformato in scarafaggio e B e AB non fanno una piega.

Si tratta come si vede, della risposta alla domanda che vi fa l'amico al quale avete appena dello: "bello questo libro" (o questo film), cioé: "Di cosa parla?"

Per molti, innanzitutto il nostro beneamato – per quanto ormai remoto - Gruppo 63 (Fofi, Balestrini, Guglielmi, Cherchi ecc. ecc.) l'arte del narrare è morta e quindi preoccuparsi della vicenda nel testo che parla di A è inutile, risibile, assurdo, patetico. Forse anche antidemocratico, sottilmente reazionario, rozzo e volgare. Per costoro la sorte di A non può essere neppure accennata.

Programmaticamente, A (di frequente espresso in prima persona) è chiamato a portare a termine operazioni banali: lavarsi i denti, vestirsi, scendere le scale, salire in auto, infilare la chiave nel cruscotto, partire, NON schiacciare un ciclista o arrotare una carrozzina, arrivare al lavoro, ricevere e fare telefonare e constatare progressivamente il vuoto/alienazione/assurdo del proprio esistere.

È anche possibile che A svolga operazioni banali ma emblematiche, all'interno di un contesto linguistico innovativo o comunque sorprendente.

ESEMPLIFICHIAMO:

A crea una programmata collisione/frizione tra i propri incisivi e le setole bianche dello spazzolino.

Quel mattino lo spazzolino avrebbe giurato din non essere costretto a lavorare che molto tardi, ovvero che A non si sarebbe alzato che a giorno inoltrato.

Lavarsi i denti il guaio è la faccia: gonfia, inerte, vuota e insulsa ma irritante, come quella di uno sconosciuto che non si decide a uscire dalla cabina del telefono quando ti serve disperatamente..

... Denti. denti, denti. Ce ne sono ancora. Non tutti, ma quasi. Le setole scivolano negli spazi, accarezzano le pareti bombate come quelle di un B-52. Denti: aggressivi, candidi, feroci... essere senza denti, non mordere, non capire... perdere i denti Una linea il unisce al cervello, ai ricordi, al modo in cui affronto le cose. Da perdente. Da sconfitto in partenza...

Prima solo il candore del lavabo... Calma, c'è un capello! Non si può parlare di candore! Ma via, candido in senso lato. Ierisera A è rientrato tardi, si è guardato nello specchio, si è accarezzato la fronte. Un capello fa presto a cadere... Vedi? A perde i capelli. Non ho detto che il capello fosse suo... e poi, in ogni caso, io sono qui per descrivere una scena: A che si lava i denti

Sgorgalito impestato di mosca morta. Spazzzzzolinare vvviolentemmmente, INTENSO. Piuvveloce menoveloce, PIUVVELOCE MENOVELOCE, momento angolare dell'avambraccio in moto semirotatorio, a cono apertura n tendente a infinito. Lucido d'acqua sapone-menta candido.

Me l'hanno insegnato fin da piccolo. Denti, orecchie, naso, acqua fredda, meglio freddissima. E non riesco a smettere. Una scimmia odiosa e perbene che non posso scrollarmi di dosso.

Vi prego di notare che in alcuni degli esempi appena presentati è possibile cogliere i modi di uno stile sperimentale o provocatorio, in altri lo stile si può definire "contemporaneo" o "psicologico" (termine che detesto, ma è per capirci) ovvero basato sulla confessione, l'introspezione, il monologo interiore.

Per esprimere l'interiorità, il flusso di coscienza - nella definizione di Andrew James, fratello di Henry (cfr. Ulisse di Joyce) - uno stile basato sulla semplice scansione cronologica è probabilmente del tutto insufficiente. Notoriamente i pensieri tendono a interrompersi, ad accavallarsi, a contraddirsi. Possono mutarsi e virare in ricordi, unire riflessioni, emozioni e giudizi e possono assumere un andamento a matrici progressive:

(...fanculo, bastardo, fanculo a me... Ma forse io l'altrieri non avevo compreso... ma come era possibile, tra lui e Jenny non era finita?.. Ma Jenny pensava che lui fosse preso da Hanna... Hanna. Che gran gnocca Hanna... da non pensarci prima di dormire... Ma tanto dormo male di questi tempi...)

e così all'infinito. Potete fare la prova a casa vostra con poca spesa.

L'ingresso del flusso di coscienza nella narrativa del nostro secolo ha profondamente alterato il rapporto tra M ed m.

Sicuramente il romanzo in senso classico, di scuola ottocentesca, è stato in gran parte soppiantato dalla cronaca mentale, dal sismogramma di passioni e pensieri. É probabilmente venuta a mancare l'unicità definita, il valore esemplare del personaggio borghese, al quale era inutile attribuire - oltre un certo limite - passioni e pensieri. Il meccanismo del pensare si riteneva un tempo doverosamente controllabile e vagamente indecente, un po' come raccontare un quarto d'ora alla toilette del personaggio femminile principale.

Era spesso preferibile trasferire l'irrazionalita profonda del sé, il conflitto, il malessere, nel tema fantastico, alterando l'universo sensibile.

Poe, Stevenson, Hawthorne, lo stesso H.James hanno efficacemente rappresentato l'alterazione della coscienza collocandola all'interno di un tema fantastico e penetrando profondamente nei territori della percezione alterata e della follia.

Questo genere di temi (alterazione, squilibrio, follia, percezione alterata) sono spesso demandati in grado maggiore alle letterature di genere (noir, horror, FS) alle quali è affidato il compito catartico di esplorare e disinnescare passioni e follie.

Non è un caso che autori come J.Ballard e P.K.Dick - tra i maggiori della FS - basino i propri romanzi e racconti sulla percezione e sulla reazione all'Evento, più che sull'Evento in sè.

In Blade Runner, tratto dal racconto di P.K.Dick "Gli androidi sognano pecore elettriche", non vengono spese più che tante parole sulla guerra interplanetaria in corso. Dei Ganimediani si hanno poche nozioni, ciò che conta è il tipo dì realtà che l'Evento ha determinato.

PUNTO: Notare il particolare: si può chiedere al lettore di empatizzare con il protagonista o i personaggi (... Mi va tutto male, ma proprio male, e siccome tu mi leggi certamente capirai...) oppure sforzarsi di ridefinire i sistemi di riferimento propri e del lettore (...Mi va tutto male, ma forse qualcosa di oscuro e terribile [in me o nell'universo] sta facendo in modo di indurmi a scelte sbagliate... Forse ciò che arrivo a percepire non è in alcun modo significativo o sono io a organizzare male la mia percezione, unendo ciò che doveva restare separato e separando ciò che deve restare unito....)

Inutile dire che personalmente non ho dubbi su quale sia l'approccio più fecondo e appassionante per il lettore. Diffido del testo che suscita emozioni prevedibili in chi legge.

Non necessariamente per arrivare a questo genere di narrazione si deve scrivere FS. Pensate a Giorgi (Codice) o a Kafka (Il Processo).

La sensazione di inadeguatezza, di insufficienza, di incapacità a cogliere i segnali provenienti dal mondo reale, la conllisione, i messaggi non integrabili, i blocchi, le paralisi, le rimozioni, l'abitudine, la forma mentis, le cecità selettiva sono tutte caratteristiche attribuibili a un personaggio in modo da ottenerne una rappresentazione "a scandaglio", un profilo tridimensionale convincente per qualunque lettore.

Nota di S_3ves: tuttavia, il genere Fantastico e tutte le sue molteplici filiazioni (narrativa dell'orrore e del soprannaturale ecc.) si prestano molto bene perché spingono il lettore a mettere in discussione i confini del possibile.

PUNTO: Nessuno, credo, ritiene possibile rappresentare integralmente un personaggio. In genere ci si arrangia con una breve descrizione (non strettamente necessaria, peraltro) qualche cenno di storia personale, modi peculiari di interloquire, cenni sulla sua visione del mondo, prassi e reazioni. Si può scegliere di eliminare la ridondanza del dubbio, delle indecisioni e degli scacchi parziali o totali del personaggio, ma la conseguenza probabile sarà un individuo goffo, irritante, non sufficientemente conscio di sé.

Sono, queste ultime, caratteristiche comuni alla media dei narratori italiani contemporanei. Mimare la superficialità del pensiero è un'operazione complessa e ardua, che se non ben condotta determina distacco, sufficienza, malevolenza, facile iroma.

Molti dei personaggi della Tamaro non deteminano nè curiosità nè inquietudine nel lettore. Si tratta di individui definiti e monodimensionali (quindi a loro modo rassicuranti) nei quali ogni conflitto è trasferito al passato e ogni riflessione è compiuta e non conduce a sviluppi credibili. La nonnina terminale di Va' dove ti porta il cuore è una fenomenale testa di cazzo, convinta che la morte imminente la liberi dalla necessità di comprendere le proprie essenziali idiozia e insensibilità.

Alésa dei Fratelli Karamazov si sbatte come un povero cristo nel tentativo di comprendere cosa non va in lui e negli altri, dubita anche di se stesso, si arrabatta, teme, si angoscia, si dispera. Alla fin fine non è proprio che riesca ad imbroccarla, ma il lettore è comunque conquistato dalla sua fatica, dalla sua essenziale anche se fallimentare buona fede e chiude il libro pensoso e rigenerato, sospettando che la vita sia una cosa decisamente (e felicemente) più complicata di quanto appaia.

Come dire che in una scala da uno a dieci Dostojevskj sta dalle parti del dieci mentre la Tamaro non arriva nemmeno a uno. E questo era ovvio anche prima di tutto questo bel ragionamento.

Nota di S_3ves: A proposito della difficoltà di rendere la superficialità del pensiero credo siano in ballo due aspetti differenti:

Indeterminatezza del pensiero, ossia flusso di pensiero non diretto verso un obiettivo: ciò che ci attraversa la mente momento per momento. Backer ha fatto già molti tentativi su questo fronte, con risultati alterni, che spesso determinano nel lettore una sensazione non tanto di utile malessere quanto di sterile disorientamento.

Mancanza dì profondità: come dire descrivere un vero stupido. Anche su questo terreno si possono citare molti onorevoli fallimenti (Flaubert era ossessionato dal tema). Si parva licet, ci ho provato anch'io e sono d'accordo sull'affermazione di Massimo che mostrare la superficialità come mancanza dì autoosservazione rende il personaggio banale e non significativo, al limite rassicurante.

Ho compiuto alcune evoluzioni impreviste. Mi propongo ora di tornare PUNTO: M e m.

I) Il personaggio è il grado zero della narrazione. Non è semplicemente possibile supporre una realtà non percepita. La narrativa è completamente e assolutamente berkeleyana (da Berkeley, filosofo idealista). Esiste solo nel momento in cui qualcuno - autore o personaggio - la racconta.

La realtà nuda senza parzialità percettiva esiste solo nei verbali di polizia e nelle barzellette mal raccontate (oltre che nei pessimi libri).

Persino Culicchia, mediocre (de)scrittore dell'ovvio, si preoccupa di illustrare la percezione fintamente alienata del proprio personaggio che si aggira per un centro di Torino colorato di claustrofobia.

Il conflitto tra personaggio e vicenda - ovvero, entro certi limiti, tra stile e contenuto - è molto più apparente che reale. Un monologo può essere appassionante e tagliente quanto un'avventura nel tempo e nello spazio, ovvero un'avventura ecc. ecc. può essere noiosa quanto una messa cantata se non vi è definita alcuna PARZIALITA' PERCETTIVA, cioé nessun ERRORE. (ricordatelo, questo concetto dell'ERRORE, è importante e ci torneremo sopra).

2) Non è semplicemente possibile scegliere tra la M di MACROSTRUTTURA e la m di microstruttura. Lo stile, ossia la tessitura, la struttura intima della lingua, è in gran parte una funzione obbligata del tema e del genere (almeno nei buoni libri).

***

arrivederci al secondo capitolo...


5 commenti:

Davide Mana ha detto...

Ok, ragazzi... io lo so da anni, ma finora non ve l'ho mai voluto dire.
È imbarazzante.
Koro, è un termine tecnico.
Si tratta di un disturbo mentale.
L'ossessiva paura che i propri organi genitali si stiano atrofizzando.
Non scherzo.

http://en.wikipedia.org/wiki/Koro_(medicine)

Parlatene assolutamente con Alessandro Defilippi...

:-P

A parte questo, nulla da eccepire, per ora.

Massimo Citi ha detto...

Cribbio!
Sapevo che il Koro era un marchio o qualcosa del genere, ma nulla sapevo di una malattia mentale... Eppure ho dato anche un esame di psichiatria nel corso del mio faticoso e risibile percorso universitario.
Probabile fosse in un capitolo saltato... Comunque non mi dispiace l'identità del nome. Un nome con tanti possibili significati mi ricorda irresistibilmente le note a piè di pagina di Jack Vance.

Fran ha detto...

Beh, io non l'avevo ancora letto, per cui trovo il testo piuttosto interessante, non vedo l'ora di leggere la prossima puntata.
Peccato sia battuto molto in fretta e pieno di typo...

Massimo Citi ha detto...

Ciao Fran!
Grazie. Mi dispiace per gli errori di stampa, dovuti a un recupero del testo a mezzo scanner... D'altro canto era impossibile rintracciare il PC sul quale il testo era stato battuto per non parlare del programma...
Presto, comunque, arriverà la seconda puntata.
Ultimissima cosa: i tuoi cinque libri partiranno in settimana.

Fran ha detto...

Grazie!
Non vedo l'ora di riceverli.
E aspetto anche il secondo capitolo :-)
Ciao
Fran