Ci sono due creature, Antonella Barina e Claudia Vio che da qualche tempo fa hanno cominciato a interessarsi di autoeditoria. Hanno pubblicato un paio di libretti/opuscoli «Appunti di autoeditoria» 1 e 2 centrati sul tema dell'opportunità e necessità di autopubblicarsi rifiutando radicalmente il rapporto con l'editoria di vanità e la stampa a pagamento.
Claudia Vio scrive, a questo proposito:
«Se il piccolo autore è costretto a farsi carico in prima persona dei problemi editoriali, tanto vale che si ponga questi problemi prima di pubblicare, anziché dopo. Che sia egli stesso editore. […] L'autore-editore di se stesso non può delegare nulla, deve dare risposta alle domande essenziali dell'editoria (Perché pubblico? Per chi? Con quale distribuzione?) […] È un processo analogo, in miniatura, a quello dell'artista del Rinascimento. Simile è anche il modo di produrre e far circolare l'opera: l'autoeditore produce da sé il libro e lo "propone" portandolo con sè in vari luoghi, così come l'artista porta i propri manufatti e li "espone" nelle gallerie».
Una suggestione molto forte quella sprigionata da questa ipotesi.
Difficile resistere alla visione del "narratore" picaro e vagabondo pronto a raccontare le sue storie a: «Associazioni culturali, gruppi di lettura, scuole di scrittura creativa, biblioteche […] (ma anche in) luoghi anomali [come] le case private».
E ancora:
«Avocare all’autore/all'autrice il ruolo di editore è una scelta di libertà. L’autore che si fa editore di se stesso si riappropria della funzione intellettuale: creatività letteraria e strategia culturale, di norma spartite tra l’autore e l’editore, tornano a saldarsi nella stessa persona. Questa ricomposizione genera ulteriore libertà: libertà, se si vuole, di praticare un'editoria non ipotecata dalla logica del profitto; libertà di costruire con le lettrici e i lettori un rapporto finalizzato al bene comune della scrittura.»
Ottimo. E difficile non essere d'accordo. Soprattutto quando, come adesso, l'unico reale interesse degli editori pare essere la vendibilità. Che significa una desolante e povera facilità di temi, personaggi e vicende.
Altrettanto ovvie, però, le difficoltà legate all'invenzione del personaggio di scrittore-editore-picaro. Necessariamente questo genere di scrittore non potrà dedicare - a meno non sia sufficientemente ricco - molto tempo alla scrittura. Avrà meno tempo per apprendere alcuni, banali ma necessari trucchi del mestiere. Faticherà non poco a trovare lettori che non facciano parte del proprio circolo di amici e parenti e che siano disponibili a leggerlo e ascoltarlo.
Diventa ovviamente necessario coordinarsi con altri autori/editori.
Che assomiglia un po' al principio per il quale una scimmia gratta la schiena a un'altra scimmia disponibile a farlo a sua volta...
Il rischio, in definitiva, è quello di avere un gruppo di autori/lettori infatuati di se stessi e incapaci di ascoltare altri. Un malinconico club di artisti della domenica...
È una linea molto sottile quella che separa l'autore/editore in motion dal semplice rompiballe vanitoso e senza genio.
Forse la differenza, in sostanza, sta proprio in questo: nel semplice talento...
Ma è comunque molto, molto positivo che qualcuno sollevi il tema dell'autoeditoria. Tanto più in un momento di profonda crisi dell'editoria maggiore.
Esistono probabilmente migliaia di autori potenzialmente migliori di quelli che appaiono nelle classifiche di vendita. Ma scoprire un ottimo autore non è più il ruolo - nemmeno marginale - dell'editoria maggiore. «Ci vuole vendibilità» ripetono i manager parlando più forte delle ormai semiscomparse redazioni.
Libri nati pre-letti, pre-masticati e pre-digeriti.
La fine del libro come lo conosciamo.
Merita proprio continuare la discussione, che cosa ne pensate?
Claudia Vio scrive, a questo proposito:
«Se il piccolo autore è costretto a farsi carico in prima persona dei problemi editoriali, tanto vale che si ponga questi problemi prima di pubblicare, anziché dopo. Che sia egli stesso editore. […] L'autore-editore di se stesso non può delegare nulla, deve dare risposta alle domande essenziali dell'editoria (Perché pubblico? Per chi? Con quale distribuzione?) […] È un processo analogo, in miniatura, a quello dell'artista del Rinascimento. Simile è anche il modo di produrre e far circolare l'opera: l'autoeditore produce da sé il libro e lo "propone" portandolo con sè in vari luoghi, così come l'artista porta i propri manufatti e li "espone" nelle gallerie».
Una suggestione molto forte quella sprigionata da questa ipotesi.
Difficile resistere alla visione del "narratore" picaro e vagabondo pronto a raccontare le sue storie a: «Associazioni culturali, gruppi di lettura, scuole di scrittura creativa, biblioteche […] (ma anche in) luoghi anomali [come] le case private».
E ancora:
«Avocare all’autore/all'autrice il ruolo di editore è una scelta di libertà. L’autore che si fa editore di se stesso si riappropria della funzione intellettuale: creatività letteraria e strategia culturale, di norma spartite tra l’autore e l’editore, tornano a saldarsi nella stessa persona. Questa ricomposizione genera ulteriore libertà: libertà, se si vuole, di praticare un'editoria non ipotecata dalla logica del profitto; libertà di costruire con le lettrici e i lettori un rapporto finalizzato al bene comune della scrittura.»
Ottimo. E difficile non essere d'accordo. Soprattutto quando, come adesso, l'unico reale interesse degli editori pare essere la vendibilità. Che significa una desolante e povera facilità di temi, personaggi e vicende.
Altrettanto ovvie, però, le difficoltà legate all'invenzione del personaggio di scrittore-editore-picaro. Necessariamente questo genere di scrittore non potrà dedicare - a meno non sia sufficientemente ricco - molto tempo alla scrittura. Avrà meno tempo per apprendere alcuni, banali ma necessari trucchi del mestiere. Faticherà non poco a trovare lettori che non facciano parte del proprio circolo di amici e parenti e che siano disponibili a leggerlo e ascoltarlo.
Diventa ovviamente necessario coordinarsi con altri autori/editori.
Che assomiglia un po' al principio per il quale una scimmia gratta la schiena a un'altra scimmia disponibile a farlo a sua volta...
Il rischio, in definitiva, è quello di avere un gruppo di autori/lettori infatuati di se stessi e incapaci di ascoltare altri. Un malinconico club di artisti della domenica...
È una linea molto sottile quella che separa l'autore/editore in motion dal semplice rompiballe vanitoso e senza genio.
Forse la differenza, in sostanza, sta proprio in questo: nel semplice talento...
Ma è comunque molto, molto positivo che qualcuno sollevi il tema dell'autoeditoria. Tanto più in un momento di profonda crisi dell'editoria maggiore.
Esistono probabilmente migliaia di autori potenzialmente migliori di quelli che appaiono nelle classifiche di vendita. Ma scoprire un ottimo autore non è più il ruolo - nemmeno marginale - dell'editoria maggiore. «Ci vuole vendibilità» ripetono i manager parlando più forte delle ormai semiscomparse redazioni.
Libri nati pre-letti, pre-masticati e pre-digeriti.
La fine del libro come lo conosciamo.
Merita proprio continuare la discussione, che cosa ne pensate?
6 commenti:
Ottimo post, con un sacco di buone idee.
Soprattutto per la questione distribuzione.
In realtà, quello della creazione di un circolo di mutuo sviolinamento è un rischio dal quale non sono esenti neppure le case editrici tradizionali.
In compenso, esiste una variante al modello proposto dalla signora Vio, e consiste nella creazione di case editrici che sono, di fatto, cooperative di autori che a seconda dell'occasione si fanno editor e revisori l'uno dell'altro.
In America esistono la Pulp Factory e la PulpWorks Press, che operano in questo modo - con risultati più che dignitosi.
Certo, tocca essere assolutamente seri e dedicati al lavoro che si decide di svolgere - come in tutti campi, dopotutto.
Concordo su tutto con Davide.
Resta importante, per fortuna e purtroppo, ottenere una certa visibilità, permettere insomma al lettore di sapere che progetti del genere esistono, ed anche questa è una debolezza del sistema di autoeditoria.
Anche se internet è ormai disponibile per tutti è veramente pieno di spazzatura e roba interessante e per farsi conoscere non è più abbastanza avere un sito iternet, ma occorre costruire una rete di conoscenze e di rispetto reciproco.
Un altro lavoro che prende molto tempo... e allora io mi chiedo, questo autoeditore, con tutto quello che ha da fare, quando dorme?
Una soluzione (effettivamente un poco drastica!) l'avevo trovata e ho pure scritto un racconto sulla questione. Ma il Citi mi ha detto che lo intristiva...
Scherzi a parte, la visibilita' rimane un grosso problema da risolvere.
Ciao a tutti e grazie per il vostro intervento.
Sono ovviamente d'accordo con le vostre osservazioni. L'esperienza raccontata da Davide sembra brillante e promettente e foriera di soluzioni che vanno persino un po' oltre la faticatissima fama ottenuta in un cerchio ridotto di amici.
Resta il fatto che a fare da separazione tra "scriventi" e Autori non c'è altro che un impegno verso la qualità che non è così comune come si pensa. Difficile - o meglio quasi impossibile - vedere i propri fatali difetti e la collaborazione - ancora prima della classica scuola di scrittura - può essere importante. Il che, detto per inciso, era lo scopo del vecchio seminario "Il Koro" dal quale è nata Fata Morgana.
A questo punto, comunque, sarebbe utile un intervento di una delle autrici citate...
Ehi, ci siete?
Ciao,
eccomi qui. In ritardo, perché nel web mi muovo con difficoltà. Solo adesso mi sono imbattuta nei vostri post.
L'idea della cooperativa è buona, ma credo che sia più efficace la scelta individualista che evidenzia la sintesi autore/editore, senza la mediazione di un gruppo dove le persone si accreditano l'una con l'altra.
Ringrazio Citi che ha così bene riportato il mio pensiero, non c'è da aggiungere altro se non un invito a restare tutti in contatto.
Ciao
Claudia
Ciao Claudia e ben arrivata!
Sono d'accordo con te. Manteniamoci in contatto. Di questi tempi non è poco...
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