15.5.09

Fiera del libro?


La fiera del libro.
Ancora.
Sono un po' stufo, a essere sincero.
Stufo della Fiera, certo, ma ancora più stufo di discuterne, pensarci, ragionarci, rifletterci.
La Fiera è, come tutti sanno, un business. Un discreto business (forse) per i grandi editori e una faticata mal compensata dagli incassi per i piccoli e piccolissimi editori. È pur vero che quest'anno i prezzi sono stati in qualche modo «calmierati» e sono state introdotte innovazioni e modifiche (sconto per chi si iscrive entro il termine dell'anno precedente, sostegno economico da parte della Regione Piemonte) tali da favorire la presenza dei piccoli e piccolissimi editori ma, come per le precedenti occasioni, non è stato colto l'aspetto principale della cosa - ovvero si è perduta l'ottima occasione di favorire la presenza della piccola editoria fornendo spazi e occasioni appositamente dedicate.
«E perché mai bisognerebbe favorire e sostenere i piccoli e piccolissimi editori?»
Già. Perché mai?
«E perché farlo, poi, se a vendersi sono i libri dei grandi editori?»
«E se la produzione dei piccoli editori è spesso spazzatura? Non si tratta spesso di libri stampati a spese degli autori?»
Un punto, piccolo ma importante.
I grandi editori non stampano soltanto libri a proprie spese. Esistono molte formule editoriali e il contributo dell'autore alla stampa e diffusione del proprio libro non è una bestemmia nemmeno negli ovattati uffici di Segrate o di Milano. Anzi.
I cavalli certi sono in definitiva molto pochi e molte carriere hanno avuto inizi in salita. È il caso di fare nomi?
Quindi dimentichiamoci il problema dei libri a pagamento. Il fatto che un libro sia stato pagato dall'autore non dice molto sulla sua qualità. Può essere una vera, ingenua, entusiasta porcheria, esattamente come un ottimo romanzo che non ha trovato sulla propria strada un editor interessato o sufficientemente convinto da difenderlo.
Questo anche tenendo anche conto che. come dice il buon Schiffrin, il parere definitivo sulla pubblicabilità di un libro è ormai troppo spesso appannaggio esclusivo della sezione amministrativa di un editore e non più della redazione...
È il caso di sostenere la piccola editoria?
Anche a costo di incoraggiare scrittori della domenica e furbastri dell'editoria di vanità?
Anche gli editori «pericolosi» per i possibili autori, chiamati (o ammaliati) dalla speranza di una distribuzione varia e capillare, presentazioni, dediche da firmare e altri simili frammenti di gloria?
Sì, anche a costo di.
Molti editori perseguono una propria idea o concetto di editoria, cultura, gusto e sensibilità. Tutti pareri assolutamente discutibili, ovviamente, ma tutti personali e VERI. Pareri e modi di giudicare il libro e la cultura non accuratamente lubrificati - e vuoti - come quelli della grande editoria. A me interessa incomparabilmente molto di più il parere e il modo di giudicare il mondo della cultura di Marco Zapparoli della Marcos y Marcos che quello di Ernesto Franco dell'Einaudi. Il parere di un libero editore rispetto a quello di chi è diventato sic et simpliciter un quadro aziendale.
E quello di essere divenuti semplici quadri aziendali è un problema ormai largamente diffuso nella grande editoria italiana. La tendenza a pensare prima di tutto al quibus - scusate se sono un po' brutale, ma è inutile girarci intorno - o esclusivamente al quibus è divenuto il problema principale di un'editoria che non rischia, non costruisce, non progetta.
Ma che fa mostra di sè ogni anno al Lingotto.
«Oro, la gran mezzana»... probabilmente sono diventato più shakespeariano che marxista.
Di fronte a questo vuoto di prospettive, a questo pavido e rapace conformismo non resta che puntare su un'editoria «leggera», audace e inattesa.
Esattamente ciò che possiamo «pescare» nella produzione di tanti piccoli e medi editori.
E in quanto ai libri pagati dagli autori... beh, quante volte siete stati delusi da un libro strapompato dai media?
Una fiera dove l'editoria «pura», ovvero formata da editori che non sono parte - di secondaria importanza, peraltro - di holding che vendono dalle frequenze TV ai carri armati d'assalto, sia ben evidente, dove autori e libri non siano soltanto quelli presentati nelle classifiche. Classifiche che... va bene, leggetevi quello che ne scrive Guido Carota, libraio privato e indipendente.
Inutile aggiungere che proprio questo genere di Fiera meriterebbe di essere promossa e frequentata.
Altrimenti?
Beh, io all'attuale Fiera non metto piede.
Per il terzo anno consecutivo.
Comprendo perfettamente chi partecipa ma non vado ugualmente.
Ci rivediamo dal 19 maggio in poi.



5 commenti:

Davide Mana ha detto...

Benvenuto nel club di quelli che boicottano il Salone del Libro.
Io lo boicotto da anni.
Più di tre, credo.
E lo boicotterò finché il TG3 mi farà servizi gongolanti sull'afflusso di pubblico, senza però darmi le percentuali di vendita dei volumi.
Perché la gente viene attirata con la DeFilippi e i ragazzi di Amici e non con un discorso sensato sui libri.
Con autori glitterati interessati a esporsi ma non a parlare con i lettori, o con i librai.
Con il solito riempitivo.
Io al salone non ci vado.
Sto a casa, e leggo un buon libro.

Paolo Cavazza ha detto...

Io invece sono un affezionato salonauta, e quest'anno la Fiera mi è piaciuta più dell'anno scorso. Innanzitutto la mostra fotografica della Fondazione Piras vale da sola il prezzo del biglietto, almeno se si è fotografi di lungo corso e appassionati di storia della fotografia. Poi ho rivisto Gianni Berengo Gardin, anche se ho perso l'occasione di farmi autografare il suo "Un paese vent'anni dopo". Poi ho aumentato la mia collezione di fotografie di personaggi più o meno celebri. Poi ho comprato dei fumetti di Giardino che non avevo mai visto nemmeno a Torino Comics... Sì vabbé, e i libri, nel senso di saggistica e letteratura? Oh beh, ce n'erano tanti, ma li trovo anche in libreria :-))

Pablo ha detto...

Pur essendo un frequentatore della fiera del libro continuo a non comprenderne appieno il valore commerciale e promozionale.
In fondo paghiamo otto euro per entrare in una grande libreria (scusate la sintesi sommaria) e non ne traiamo nessun beneficio in termini di sconto o promozione sugli acquisti dei libri.
In più molti editori indipendenti di qualità e di piccolo cabotaggio non partecipano alla fiera per gli elevati costi. L'unico motivo per andarci e per partecipare a degli incontri o presentazioni. Ma perchè pagare così tanto l'ingresso e non avere neanche un piccolo sconto?

Fran ha detto...

A me l'intervento di Carota ha messo di buon umore, significa che c'è ancora speranza.
Perché alla fine, quest'era consumistica deve finire, ma le persone - quelle per cui i bisogni sono creati e distrutti, e per cui è obbligatorio comunque avere enorme quantità di prodotti non necessari - hanno conservato un diverso atteggiamento nei confronti della lettura.

Anonimo ha detto...

Alla fiera del libro non ci sono mai stato
Non so se mi capiterà
Però ogni volta che ne sento parlare o vedo i servizi
mi sembra che sia un posto da cui chi ama i libri deve star lontano
Questa è la sensazione, perlomeno