Come si sarà capito – anche perché devo averlo detto millanta volte in questi mesi – in questo periodo ho avuto non poche cose da fare, prima tra tutte un terrificante TRASLOCO dalla mia ampia casa di via Ellero a una casa più piccola, anche se dotata di un ampio terrazzo (ahimé poco utilizzabile in questo periodo pre-invernale), un lavoro che ha richiesto il contributo delle mie ormai scarse forze, con inevitabili conseguenze a carico della mia schiena.
Adesso, sistemato nel nuovo studio, circondato da un numero esagerato di libri che devo tuttora terminare di riordinare, posso anche dedicare un minimo di tempo alle mie più recenti letture, condotte in un periodo decisamente agitato, a volte lette in stanze praticamente vuote (nella vecchia casa) a volte letti nella nuova casa, cioè circondato dagli scatoloni.
Il primo di cui parlerò, che è anche il penultimo letto, è Klara e il sole di Kazuo Ishiguro, ed. orig. e traduzione italiana del 2021, per Einaudi, a cura di Susanna Basso. Buon libro? Senz'altro, anzi direi ottimo, ma tenendo conto di alcune avvertenze e modalità d'uso. La scelta del punto di vista, innanzi tutto, quello di Klara un androide di classe AA (Amico Artificiale) ad alimentazione solare, il più recente nella classe delle IA da compagnia. Klara ha una mentalità quantomeno curiosa – ed è strana la sensazione di potersi immergere nei pensieri di una creatura artificiale, come in quelli di un personaggio umano –, è ingenua ma anche acuta, gentile ma cauta, ansiosa di essere adottata da una famiglia umana ma nel contempo comunque affezionata ai suoi "compagni", gli altri AA che affollano il negozio.
Quando viene "adottata" dalla quattordicenne Josie, Klara si trova inserita in una famiglia disfunzionale, con la madre impegnata fino al collo nel lavoro e separata dal padre, Josie in condizioni di salute non buone e che ha perduto una sorella di recente – perdita che è diventata una fissazione pericolosa per sua madre –, e una donna di servizio, Melania, che non perde occasione per dichiarare il suo odio per qualunque genere di androidi.
Ciononostate Klara si dedica con passione e una buona dose di curiosità alla compagnia di Josie, divenendone quanto di più simile a una vera amica. Ben presto compare Rick, amico di Josie – e forse qualcosina di più che un semplice amico – con il quale la nuova amica di Klara trascorre i pomeriggi studiando e/o chiacchierando mentre l'androide la ascolta, ben felice di quell'amicizia che sembra liberarla dall'ombra della malattia. Ma non fila tutto come dovrebbe, la madre di Josie, anzi Madre, che la mette a parte di un suo sogno disperato, Melania che accenna a rischi e pericoli che la quattordicenne corre, il padre della sua amica che si rivela persona inattesa, Rick, con il quale Josie sembra avere rotto il rapporto e Mr Vance e Capaldi, il primo una vecchia conoscenza, il secondo un individuo oscuro ed enigmatico. Confusa, ma sempre decisa Klara si impegna per ricucire la situazione e per recuperare Josie, caduta nella medesima malattia che ha ucciso la sorella, e ci riuscirà, anche se a un prezzo troppo elevato.
Come dicevo all'inizio di questa recensione il punto di vista di Klara è l'elemento vincente di questo curioso e singolare romanzo. Il suo punto di vista "innocente" e senza peccato, simile a quello di un ipotetico "selvaggio" spedito suo malgrado nel nostro mondo con una missione non facile, e che aggirarandosi tra noi, evidenzia per contrasto una realtà spaventosamente competitiva, dove il miglioramento tecnico e genetico ha un ruolo crescente nell'organizzazione umana e dove la semplice compagnia di un androide destinato a immolarsi può essere l'elemento vincente di un scontro che, al di là dei modi perfettamente urbani esibiti dagli esseri umani in ogni circostanza, è in realtà feroce e disperato. Un romanzo davvero notevole che sembra viaggiare a lungo in souplesse ma che quando colpisce fa davvero male.
Se guardassi meglio le nuvole scure mi accorgerei che non sono di fatto in scala rispetto alla Madre o alla cascata. Cionostante questi ricordi compositi mi hanno talvolta invaso la mente in modo così vivido da farmi scordare per parecchio tempo che in realtà sono seduta nel Cortile, sulla terra dura.
Cambiamo completamente autore anche se non completamente genere – con tutto che, personalmente, non sono abituato a dividere i libri in genere. Kij Johnson è un autrice statunitense la cui produzione tradotta in italiano è formata da un racconto (Battibecco) uscito su un numero della rivista Robot, da un romanzo breve, Quel ponte sulla bruma, del 2011, edito da Delos nel 2020 e La ricerca onirica di Vellitt Boe (2016), pubblicato da Edizioni Hypnos.
Sinceramente, avendo letto i due romanzi sopra citati, non posso dire di impazzire per la nostra Kij, ma si tratta di un'autrice comunque interessante, piacevole e curiosamente gradevole nel raccontare le strane vite dei suoi personaggi. Molto probabile che ciò che è disponibile in Italia dia soltanto un'idea quantomeno molto parziale della sua produzione che vede come costante della sua estetica la mitologia giapponese, in particolare quella centrata sulla figura della Kitsune, la donna-volpe.
La ricerca onirica di Vellitt Boe (the Dream-Quest of Vellitt Boe) riprende i temi di The Dream-Quest of Unknow Kadath, di H.P.Lovecraft, scrivendone una versione al femminile, ambientata nella Terra dei Sogni e riutilizzandone luoghi, mostri e dei, dai ghoul dell'amato HPL al deserto di Leng alla città di Celephais. Vellitt Boe è un'insegnante del collegio femminile di Ulthar che parte alla ricerca di Claire Jurat, una delle sue migliori allieve, presumibilmente fuggita dalla Terra dei Sogni per raggiungere il Mondo della Veglia, passando attraverso la Soglia del Sonno Profondo, posto sul monte Hatheg-Kla. La Boe si mette alla ricerca della giovane, conscia della sua importanza per preservare l'equilibrio del loro mondo. Dopo diverse avventure, vari incontri e scontri con i mostri che montano la guardia al confine tra i due universi, Boe riesce infine a ritrovare Claire nel Mondo della Veglia e la convince a riprendere il suo posto nella Terre dei Sogni, anche se la sua impresa non sarà indolore per lei.
Indubbiamente piacevole, soprattutto per la tendenza sorprendentemente imprevedibile di raccontare la vicenda valendosi di un registro volutamente dimesso, quasi familiare o – volendo – minimale, ovvero agli antipodi di ciò che avrebbe scelto Lovecraft. Con tutto ciò il romanze breve si legge con piacere, tenendo compagnia al lettore anche nei momenti più intricati e complessi. E probabilmente è proprio questo modo inatteso di raccontare un mondo e una vicenda ambientati in un universo profondamente alieno, inventato dall'autore di Providence, ad aver fruttato a Kij Johnson il World Fantasy Award 2017.
Vincitore dei Premi Hugo e Nebula edizione 2012 è stato The Man Who Bridged the Mist (Quel ponte sulla bruma), pubblicato in Italia nel 2020. Vi si narra di un fiume che taglia in due l'Impero e «che non è come tutti gli altri fiumi. Nel suo letto non scorre acqua, ma Bruma: una sostanza strana, forse viva, […] corrosiva e imperscrutabile».
A costruire il ponte che unirà in maniera definitiva le due metà dell'Impero viene chiamato Kit Meinem di Atyar, un architetto giovane anche se non alle prime armi. Il suo rapporto con il fiume di Bruma – e con la gente che vi ha a che fare quotidianamente, in primo luogo i traghettatori – diventa ben presto prevalente rispetto a qualunque altra abitudine quotidiana. Kit passa il tempo a studiare la Bruma e a valutare nuove soluzioni per la costruzione, cercando di stabilirne la natura profonda, e valutando le diverse voci della gente che vive sul fiume di Bruma, dei pescatori e della fauna che la popola, dei piccoli pesci e dei grandi pesci, forme oscure che talvolta compaiono davanti o sotto il piccolo traghetto che lo conduce da un lato all'altro del fiume.
Il suo rapporto con gli abitanti delle due rive del fiume di Bruma finisce per complicarsi – o per avere una svolta positiva – quando Kit si innamora (quasi fatalmente) di Rasali de'Barcaioli di Trasbruma che così ragiona di se stessa:
[…] Amo e odio questo tuo ponte. Mi struggerò per la bruma, per il bisogno di attraversarla. […] Se avrò una figlia, non dovrà prendere la decisione che è toccata a me. attraversare la bruma e morire, o restare al sicuro su un lato del mondo e non vedere mai l'altro. Perderà qualcosa. Guadagnerà qualcos'altro.
Un libro indubbiamente gradevole ma nel quale si avverte la mancanza di una rottura, di un momento di crisi reale che permetta di ripensare l'intera vicenda e la situazione di Kit e degli abitanti sul fiume. L'ho letto attendendomi – probabilmente in maniera infantile – che i misteriosi grandi pesci della Bruma assalissero gli abitanti e lo stesso Kit o Rasali o che il ponte crollasse nel fiume non appena terminato. Nulla di tutto ciò, solo qualche vago dubbio e una tensione che attraversa il testo senza sfociare in qualcosa di descrivibile. Rimane la storia dell'architetto Meiner, dei suoi dilemmi nella costruzione e del suo contrastato rapporto con la barcaiola Rasali: una piccola storia che può divertire il lettore anche se non riesce mai a condurlo altrove.
Specchi neri di Arno Schmidt è un libro scritto nel 1951 ed è «il pannello conclusivo del trittico Nobodaddy's Kinder». Scritto negli anni successivi alla seconda guerra mondiale narra di un paese reduce da una sconfitta non soltanto militare ma soprattutto epocale e di civiltà e lo trasfigura in una terra che – insieme al resto del mondo – ha subito un attacco atomico lasciando a vivere sulla terra soltanto pochi individui, separati e senza speranza. Il protagonista, un giovane intellettuale, ateo, disincantato, esaltato da una situazione estrema, vive in un eterno presente, cercando da un lato di accantonare risorse per il futuro – cibo, combustibili, oggetti, abiti – dall'altro ridendo sulla quantità di oggetti lasciati da un'umanità scomparsa, oggetti che testimoniano la vacuità della sua esistenza. Il giovane «si aggira in luoghi che fanno parte della privata geografia dell'autore, e ragiona a freddo sul passato e sul presente […] percorre un itinerario orientato dagli incerti della sopravvivenza e dalla ricerca più o meno consapevole di altri superstiti.»[dalla presentazione in seconda di copertina].
E gli accade di incontrare una superstite, Lisa, una ragazza armata, spinosa, imprevedibile. Ma nonostante la situazione i due non divengono i nuovi Adamo ed Eva, lei si concede qualche giorno di riposo per poi ripartire:
«Domani me ne vado : forse sono ancora in tempo prima di adagiarmi nelle comodità. Tu sei troppo forte per me. […] con te – non so come dire – mi faccio più pesante, più classica […] però nessuno può cambiare la propria natura.
Il protagonista, lasciato da Lisa che gli fa soltanto qualche vaga promessa di ritornare, rimane l'ultimo uomo, solo in un bosco per sempre silenzioso.
Specchi Neri non è un libro consolatorio né vuole esserlo: Arno Schmidt «non si illuse sull'attitudine dell'uomo di essere nemico all'uomo e al mondo» e consegna il protagonista / alter ego a una solitudine da ubriaco senza nessuna speranza di un risveglio da sobrio. Ad accompagnarlo frammenti di storia della letteratura, di filosofia, di fisica, di narrativa, di matematica, oltre a giochi di parole e variazioni assurde sulla lingua, evocati e ripetuti senza un ordine preciso, che si sommano e si confondono a costituire un metamondo nel quale il giovane può illudersi di poter sorridere ancora. Veramente notevole il lavoro che l'editore, Lavieri, e il curatore, Domenico Pinto, hanno costruito per dare a Schwarze Spiegel un metatesto che potesse spiegarne lo strano andamento e i continui riferimenti ad altre opere ed altri autori – prova ne sono le numerose pagine di note al testo da pagina 79 a pag. 97. Altrettanto degna di lettura la postfazione dello stesso Pinto, Per speculum. Da segnalare, infine, la bibliografia di Arno Schmidt, riportata in calce al volume, insieme alle carte geografiche della zona della Bassa Sassonia dove si muove il protagonista.
Un volume che non è facile accostare ma che merita davvero la lettura e una rilettura attenta e partecipe. Evidentemente imparentato a La Nube purpurea di Matthew Shiel e a Dissipatio H.G. di Guido Morselli, il libro di Shmidt possiede la caratteristica di una macabra giocosità che si sostanzia nella sua apparente allegria, nel suo piacere di ridere delle minime fissazioni di un'umanità ormai coniugabile soltanto al passato. Ultimo particolare, tutto sommato trascurabile per un lettore che non pratichi la lingua tedesca, è come sia sorprendente l'elasticità e la variabilità di una lingua che si ritiene solenne e rigida: un ulteriore motivo, almeno per alcuni, per leggere Specchi oscuri.
Alien Virus Love Disaster di Abbey Mei Otis, è un'antologia uscita in edizione originale nel 2018 e tradotta in italiano – a cura di Chiara Puntil e Chiara Reali – da zona42. Abbey Mei Otis è «cresciuta nei boschi del North Carolina e vive a Whashington DC, dove scrive e insegna», praticamente le sole notizie sull'autrice che è possibile rintracciare, a parte qualche accenno alla sua origine asiatica. Scarne anche le notizie che riguardano la sua carriera di scrittrice, in genere limitati a «suoi racconti sono apparsi sulla rivista Tuttolà e sulla rivista Oggiqua.» Tutto ciò detto, – e una volta respinta la tentazione di recludere l'autrice nel recinto di coloro "che hanno seguito un corso di scrittura creativa" – resta il dato di fatto che racconti come quelli contenuti in questa antologia sono assolutamente meritevoli di attenzione e di una lettura attenta e partecipata.
Il racconto che dà il titolo all'antologia, Alien Virus Love Disaster, è un racconto breve, di una trentina di pagine, e racconta in maniera fredda e malinconica l'epidemia che colpisce una zona di un'anonima periferia urbana che viene isolata e sottoposta a una terapia coatta. A raccontare la vicenda una giovane donna che, per qualche giorno, cerca di resistere alla malattia – nel frattempo scatenatasi con sintomi dermatologici – finendo per cedere o, verosimilmente, per immedesimarsi nel morbo che l'ha colpita:
«Più che altro ho fatto delle cose perché se no ci sfrattavano o perché c'era un buono sconto […] Ma adesso provo una sensazione nuova, come se qualcosa si fosse allentato e io nemmeno sapevo fosse stretto. Come se la corrente più leggera di sempre fosse arrivata a portarmi via. Come se non dovessi più preoccuparmi di niente […], perché prima di andare via farò qualcosa di bellissimo. »
Lunatici è la storia di un gruppo di originari del nostro satellite, scesi a lavorare sulla Terra e che devono affrontare le conseguenze della loro origine su un corpo planetario con una gravità pari a 1/6 di quella terrestre. Come ognuno di loro affronta la sopravvivenza sul nostro pianeta, l'intolleranza dimostrata da alcuni nei confronti dei "Lunini", le condizioni di lavoro non particolarmente favorevoli e l'isolamento sono raccontati in una trentina di pagine, scabre come una parete di roccia. Se potessi essere il dio di qualcosa è la vicenda di un gruppo di ragazzi che ritrova un robot scartato in una discarica e si illude per un istante di poter partecipare al delirio tecnocratico del mondo nel quale vivono. Maestra è l'incarnazione dell'incubo di qualsiasi giovane insegnante alle prese con una classe della periferia: «Quando nasco, sono povera. Oggi, sono povera. Quando muoio, sono povera.». Sangue, sangue racconta dei combattimenti corpo a corpo che giovani umani inscenano perché interessano agli alieni, creature mai descritte che attraversano e condizionano le vite di tutti, Cripte del sesso per persone tristi è la vicenda di una prostituta dedita a un tipo molto particolare di pratica sessuale, basata su un'assoluta solitudine, Non è una storia di alieni racconta di un alieno di tipo particolare che alcuni ragazzi non riescono a salvare – racconto tristissimo, per la cronaca, Fidanzatina, ovvero come può funzionare (o no) un rapporto tra due appartenenti a specie diverse e con genitori invadenti. Mi spiace che vostra figlia sia stata mangiata da un puma è un racconto bizzarro, incentrato sulla percezione vaga e incompleta del rapporto tra la vita e la morte, I ricchi... beh, per dare un'idea del racconto è sufficiente una frase presa dal racconto di un assurdo gioco sociale: «Il mio pollo ha capito che niente di quello che avrebbe potuto dire l'avrebbe reso diverso dai polli ricchi. Non c'era opinione che avrebbe potuto esporre più estrema di quelle che loro avrebbero potuto adottare per moda». Il penultimo racconto, Se vivessi qui ti avrebbero già sfrattato, parte da un'idea apparentemente assurda, l'uccisione della madre da parte dei figli per poter mantenere il possesso della propria abitazione, per evitare che questa diventi la sede di una supermercato, ma leggendo la sensazione di vivere in un mondo assurdo impallidisce e si finisce per augurarsi che l'assassinio e gli assassini siano compiuti e che la vecchia casa rimanga di proprietà dei figli. L'ultimo racconto, Megasballo casalingo definitivo Vol.4, è una piccola storia di periferia con un finale amaro ma che merita leggere soprattutto per lo stile suggestivo e insieme incisivo dell'autrice: un piccolo capolavoro.
Leggere questa antologia mi ha convinto una volta di più che non esistono generi definiti – fantascienza mainstream, romance, fantasy, weird, horror ecc. ecc. – quanto autori, le loro parole e il loro modo personale di accostarle, combinando incontri e scontri tra loro, fino a ottenere un'immagine inattesa della realtà. Volendo cercare un "difetto" nella scrittura di Abbey Meri Otis emerge più che altro un dubbio: riuscirà l'autrice a non rendere la periferia definitiva da lei raccontata un canone, un modo tanto abituale di narrare da finire per scivolare via dalla visione del lettore? Per il momento questo pericolo. comunque, non esiste.
Ultimo libro per questo giro: Cronorifugio di Georgi Gospodinov, Voland 2021 [Ed.or. 2020]. Che cos'è un "cronorifugio"? «Una "clinica del passato" dove [Gaustìn] accoglie quanti hanno perso la memoria per aiutarli a riappropriarsi dei loro ricordi. Ogni piano dell'edificio riproduce nei dettagli un decennio del secolo scorso, e la prospettiva di un confortevole rifugio dal presente finisce per allettare anche chi è perfettamente sano.» [dalla quarta di copertina].
Apparentemente il romanzo è basato sulla ricerca, condotta da Georgi Gospodinov, del mitico Gaustìn, inventore e conduttore della bizzarra clinica, il cronorifugio. Ma Gaustìn non è realmente scomparso, al protagonista / autore capita di incontrarlo in più occasioni, nella sua clinica, «negli anni '40, a primo piano.» o riceve una sua telefonata, o lo incontra «nello studio anni '60», o legge suoi appunti, frammenti, considerazioni mentre l'intero mondo sembra perdere il filo del tempo che cambia e procede, ognuno cercando di rientrare nel proprio tempo preferito e rifiutando ogni cambiamento. Così è anche per Gospodinov, costretto a rivivere le giornate meno gloriose della sua patria, la Bulgaria, e a viverne e riviverne la concitazione, il dubbio, l'incertezza fino al ritorno al vecchio regime, «quasi che per trent'anni avessero atteso con pazienza il ritorno di quei tempi».
Il filo del tempo spezzato si ripresenta in mille occasioni, racconta tanti diversi momenti del passato personale e comune, nello stile volutamente minore di Gospodinov, capace di rendere una vicenda confusa, assurda e vagamente ridicola anche l'invasione tedesca della Polonia. La voce dell'autore accompagna gentilmente il lettore nei mille rivoli di un passato che non è passato e che non vuole passare, come se tutto il nostro tempo trascorso fosse a un passo da noi, un fantasma ilare e folle che non ha nessuna intenzione di scomparire.
Un libro del quale consiglio volentieri la lettura: è stato il tipo di testo che desideri tornare a casa prima per leggerne un altro po' e mentre sorridi dei modi rilassati e del registro sottilmente satirico di Gospodinov, ti rendi conto forse per la prima volta che il tempo passato – di ognuno e di tutti – è appena dietro la porta, pronto a ritornare, calmo e suadente, per fornire un rifugio dal presente e, peggio ancora, dal futuro.
E con questa volta mi fermo qui, anche perché temo di aver superato la lunghezza normale di un post. Per la cronaca ho ancora da recensire otto-libri-otto ai quali dovrei aggiungere La chiocciola sul pendio di Arkaij e Boris Strugatskij, recentemente stampata e tradotta dalle edizioni Carbonio e che, naturalmente, non potevo lasciarmi sfuggire. Alla prossima e BUONE FESTE (e buone letture) A TUTTI!
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