6.8.16

Salone o no?


E siamo tornati ai tempi di Orazi e Curiazi, in una tragicomica contrapposizione tra le due ex-capitali dell'industria italiana. 
Il tutto per il «Salone del libro», manifestazione di un certo qual charme, ma assolutamente inutile ai fini dell'editoria italiana. Nel Salone di Torino, infatti, non si trattano diritti, non ci si disputa i grandi autori, non si fanno contratti milionari per la distribuzione ma ci limita, molto borghesemente, a festeggiare ciò che è quotidianamente festeggiato e a cercare di vendere abbastanza da non rimetterci. 
Conosco il Salone di Torino praticamente da quando è nato, nel 1987, e i miei rapporti con il Salone sono sempre stati ondivaghi, tra il silenzioso disprezzo per una manifestazione meramente commerciale – nonostante la patente di cultura che cercava di autointestarsi – e il riconoscerlo comunque una manifestazione di rilievo, dove incontrare soggetti comunque rilevanti per la mia sopravvivenza. Ho partecipato tre o quattro volte in qualità di «libraio indipendente», azzuffandomi virtualmente con titanici zeppelin dell'editoria – uno su tutti il supremo kaiser mondadoriano Gian Arturo Ferrari – al quale mi sorpresi a rispondere a un riunione che univa editori, librai, distributori e rappresentanti editoriali, accusandolo di fare della facile demagogia sulla "cultura che tutti ci unisce", fingendo di ignorare le condizioni di lavoro alle quali la splendida Mondadori obbligava tutti noi a lavorare. 
Poi mi è capitato di lavorare al Salone per altri editori – Carocci, innanzitutto e gli Editori Piemontesi – o di lavorare in una sezione nata per la scienza, insieme ad altri librai più o meno competenti
Sicché ho motivi soprattutto personali e sentimentali per esprimere il mio dispiacere per il possibile trasferimento del Salone. Ma non molto più di quelli, per la verità.
Lavorando per Carocci, editore privato laziale che, ovviamente, non godeva di alcun sostegno da parte della Regione Piemonte, ho avuto modo di comprendere che l'editore ad ogni edizione del Salone andava sotto di una cifra che ho stimato compresa tra i cinquemila e i diecimila euro, nonostante che lo stand dell'editore rendesse a sufficienza. Il motivo? Il costo non lieve imposto dall'organizzazione per lo spazio e l'organizzazione del Salone. D'altro canto, se un piccolo stand di 4-5 m2 costava la bellezza di 1.500 euro IVA compresa per cinque giorni di Salone, potete provare a fare i conti di che cosa costava uno spazio di 50 o 100 m2.
La fuga da Torino è probabilmente in gran parte dovuta a un semplice conto delle spese confrontate con i costi ritenuti eccessivi, in un tentativo di spostare il Salone in uno spazio più economico. 
E più periferico. 


E interamente organizzato dai grandi e grandissimi editori, evidentemente a scapito dei medi e piccoli.
Sui costi del Salone si può discutere fino a domani e oltre. La gestione del Salone da parte della Fondazione per il Libro, la Musica e la Cultura di Torino è stata, per essere gentili, molto discutibile, la vicenda dei visitatori, passati dai supposti 300.000 ai veri 126.000 della scorsa edizione è passata dall'essere tragica al puro comico senza soluzione di continuità, i grossi nomi coinvolti nelle inchieste: Rolando Picchioni, Regis Faure, Roberto Fantino e Valentino Macri [*], non hanno certo gettato una luce favorevole sul Salone di Torino, ma resta il dato di fatto che un Salone di Rho organizzato dal gruppo Mondazzoli sarebbe un puro e semplice orrore ultracommerciale, senza nemmeno la foglia di fico dell'evento culturale e con i piccoli e medi editori relegati in un sottoscala.
Sicché eccomi qui a sostenere il Salone di Torino, nonostante tutti i suoi innumerevoli difetti. Ovviamente non è possibile fare finta di nulla e ignorare la miope rapacità di chi ha tentato di arricchirsi ai danni di una struttura che cercava – perlomeno nelle intenzioni dichiarate – di attirare i lettori. Diciamo che un Salone di Torino è possibile se i prezzi di ingresso saranno bassi o pari a zero, se gli editori non saranno taglieggiati, se i giovani autori avranno uno spazio ragionevole, se i piccoli editori avranno la possibilità reale di presentare i propri titoli.


Tutto ciò comporta l'intervento di strutture pubbliche, è ovvio, ma d'altro canto a cosa servono le medesime strutture pubbliche se non aiutano a diffondere il libro nella popolazione? 
Ultimo particolare, nemmeno secondario. Il cambio del sindaco a Torino ha avuto qualche riflesso nella furia iconoclasta degli editori che hanno pensato di creare un salone per Rho? Forse la signora Appendino è stata ritenuta un inciampo rispetto al fin troppo disponibile mister Fassino? Impossibile dirlo, ovviamente, e mancano i dati per supporlo, ma lasciatemi immaginare.



[*] L'ambiente piemontese di qualche anno fa comprendeva anche un pessimo scrittore come Giuliano Soria, giallista mondadoriano, patron del Grinzane Cavour e re della paratassi, condannato a sei anni e otto mesi per peculato e violenza sessuale. Non voglio affermare con questo che chi scrive utilizzando troppi punti sia un peculatore e un maniaco sessuale ma un minimo di diffidenza è perlomeno comprensibile

4 commenti:

Romina Tamerici ha detto...

Sono stata al Salone di Torino solo una volta, quindi non abbastanza dal considerarlo una tradizione (per me), però sono curiosa di vedere come evolverà la faccenda...

Massimo Citi ha detto...

@Romina: personalmente sono propenso a credere che la levata di scudi degli editori rimarrà un episodio. Spostare una cosa come il Salone dopo trent'anni di lavoro non è né facile né credibile in un paese come l'Italia. Oltretutto un salone milanese sotto il segno della Mondadori non credo farà gola a nessuno che non sia la Mondadori.

Romina Tamerici ha detto...

@Max: Il cambiamento è spesso difficile e non è detto che sia positivo. Sarebbe bello credere che si farà ciò che è meglio per la cultura, ma probabilmente vinceranno solo gli interessi economici...

Massimo Citi ha detto...

@Romina: che il Dio Denaro sia la ragione ultima di tutto ciò che accade l'hanno detto, tra gli altri, Gesù, Shakepeare e Marx. Diciamo che mi fido di più del diavolo che conosco e so che in qualche modo un po' di cultura nel Salone di Torino riesce a passare. Dopo di ché se a Milano avranno qualche buona idea non sarò io a risentirmi, anche se mi permetto di dubitarne.