19.12.15

Le IA


Le IA, ovvero le (I)ntelligenze (A)artificiali, sono un tema tutt'altro che piccolo o trascurabile, non solo nella sf, ma anche per la realtà fattuale, dove hanno uno spazio crescente, anche se, per chi non è direttamente impegnato nella produzione di manufatti, sono ancora oggetti futuribili e sottilmente allarmanti. 
I robot, ovvero gli strumenti attivi delle IA, sono già presenti anche se non hanno le fattezze pseudoumane che la nostra fantasia attribuirebbe loro. Un'automobile viene in gran parte assemblata dalle IA e dalle loro braccia, programmate in un altro luogo rispetto al luogo della produzione. Volendo ragionare marxianamente, si potrebbe concludere che il furto di plusvalore non avviene più alla catena di montaggio ma avviene molto prima, quando, utilizzando un elaboratore, vengono gettate le basi per la costruzione di un'auto – o di qualunque altro manufatto – che i lavoratori sono chiamati a montare in altro luogo e in un altro momento, come nelle istruzioni di un colossale gioco di Lego.
Non ho idea di che cosa direbbe Karl Marx di un simile modello di produzione anche se non ho problemi a immaginare che un buon cervello come il suo saprebbe come valutare i tempi e i temi di un simile processo. Non esiste più lo sfruttamento? Non credo, semplicemente si è spezzata l'unità di produzione – ovvero la fabbrica –, distribuendo il lavoro su diversi luoghi e in diversi momenti. Ma questo significa anche che il grado di competenza richiesto a semplici «operai di catena» li rende molto diversi non solo dagli operai di catena degli anni '60 e '70 ma anche dagli operai di inizio XX secolo, in grado di costruire un camion dal primo bullone all'ultimo. E, da questo punto di vista, le gigantesche fabbriche degli scorsi decenni, con decine di migliaia di lavoratori, sono un passato che non si ripeterà più, perlomeno in Occidente. Ultima conseguenza, non molto piacevole, chi non ha una funzione precisamente determinata all'interno di un simile modello di produzione finirà per lavorare nel settore dei servizi, il che spesso significherà scegliere se essere un cameriere o un telefonatore seriale, tenendo conto della concorrenza degli stranieri che sono disposti a lavorare per cifre minori. Non sarà questione del tempo che si è disposti a passare sui libri ma del tipo di studi scelto. 
Sempre se si hanno soldi da spendere in una formazione sempre più costosa e meno disponibile per tutti


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«Sempre a buttarla in politica. Non dovevi parlare di IA?»
Vero, hai ragione, ma non potevo... Vabbè, adesso ne parlo.
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Le IA esistono, in sostanza, e sono ovunque.  Nei droni che spiano e, volendo, bombardano, come nei camion che trasportano il petrolio, come nelle macchine che trasformano il petrolio in benzina, come nei trattori che dissodano e lavorano la terra. Piccole intelligenze, il più delle volte, che segnalano un problema di carburante o indicano l'eccessiva pendenza del trattore o la temperatura troppo elevata in una forno e in qualche caso intervengono, consultando o meno l'addetto. Ma le IA sono anche i robot che stanno testando a Torino e a Genova, robot «da compagnia», che avranno compiti di assistenza e persino di compagnia per ammalati o anziani immobilizzati. Seguiranno poi i robot da utilizzare per i compiti di pulizia e gestione dell'ambiente di lavoro e di vita quotidiana. E poi? Beh, dopo la rivoluzione del Web assisteremo a un'altra rivoluzione che provocherà un vero terremoto nell'organizzazione del lavoro e nella vita sociale.
Non si tratta più di fantascienza, in sostanza, ma di realtà che avanza e che renderà molte figure sociali, divenute inutili, un nuovo problema per l'equilibrio sociale

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E di IA abbiamo parlato io e Silvia proprio l'altro ieri con Cooper Hugmented, riflettendo insieme sulla passione umana per gli oggetti intelligenti, una passione che fa sì che, per citare proprio il conduttore del Podcast, «gli esseri umani sognino di poter imitare Dio creando a loro volta creature intelligenti».
La fantascienza ha passato diverse fasi nella propria storia nella visione delle IA. Dal robot come semplice lavoratore – d'altro canto «Robot» viene da ceco «Robota», ovvero lavoratore –, al robot come allucinante imitazione in Metropolis, ai supercomputer de La civiltà dei Solari di Norman Spinrad o de Il sistema riproduttivo di John Sladek, al furto elettronico di sentimenti e di emozioni come in Synthajoy di David Compton, o alla realtà virtuale di Permutation City di Greg Egan. Ma anche, nel corso della sua storia, il Mike de La luna è una severa maestra, di Robert Heinlein, il supercomputer ciecamente attivo dei Nove miliardi di nomi di Dio di Arthur Clarke fino ai tamagotchi de Il ciclo di vita degli oggetti software di Ted Chiang, le navi senzienti di Iain M. Banks ne L'Altro Universo e le intelligenze ancillari di Anne Leckie in Ancillary Justice
È stata dura, ammettiamolo, tentare di riassumere decenni di fantastico fantascientifico in poco tempo e poco opere e sicuramente abbiamo trascurato qualcosa di fondamentale e irrinunciabile. Ma se non altro ci abbiamo provato. almeno questo lo si dovrà ammettere
Abbiamo parlato poco di Isaac Asimov, vero, molto vero, limitandoci a citare le 3+1 leggi della robotica, ma ci sembrava di essere quantomeno ovvii a rimandare a un autore comunque noto nel campo delle IA robotiche e abbiamo preferito accostare altri autori che non hanno costruito un mondo intorno ai robot ma che hanno scelto un approccio diverso al tema. 
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E che le IA siano in questo periodo al centro se non altro della mia attenzione posso rivelare un piccolo dato: il mio racconto per ALIA, Una nuova vita, ha al centro della vicenda una IA. Una IA "di serie", assolutamente normale, ma che dimostra in più occasioni un bizzazzo sense of humour.  Ma è possibile, mi sono chiesto in più occasioni, che una Intelligenza Artificiale sia in grado di interagire profondamente con un umano, essere ingenua ma decisa, in qualche occasione bietolona ma sempre curiosa, che mostri un gentile affetto per gli esseri che gli sono stati affidati? Ed è possibile affidarsi a tali intelligenze  
La Corrente, da questo punto di vista, è fondata su una massiccia cessione di autorità, di indipendenza, di iniziativa dell'umanità verso le IA. La Corrente non è il paese dei balocchi ma è soprattutto Equilibrio.  Gli umani possono giocare finché vogliono ma qualcuno è chiamato a rimettere in ordine quando i giochi sono finiti. È successo in tutti i testi che ho scritto, pubblicati o meno, ed è così anche questa volta. 


5 commenti:

Paolo ha detto...

Noto una curiosa sincronicità. Ieri, quasi contemporaneamente e per caso, ho riletto alcuni passi di F come Frankenstein e ho trovato una citazione del suo capostipite, Dial F for Frankenstein, in Il logico e l'ingegnere di Paul Nahin (Codice Edizioni, attualmente in edicola con Le Scienze).

"Dall'epoca in cui Clarke scrisse questo racconto, i satelliti hanno di fatto interconnesso le reti telefoniche di tutto il mondo" scrive Nahin in una nota, "ma niente di terribile è accaduto. Almeno, credo di no. Non ancora."

Nel mio racconto Paolo osserva: "Forse entità del genere talvolta si formano, ma sono instabili. Forse rimangono quiescenti per lunghi periodi... O forse vengono segretamente tenute sotto controllo... in vari modi."

La convergenza fra l'opinione del mio alter ego nel racconto e quella dell'autore di questa dotta rievocazione storica dell'opera di Boole e Shannon sul momento mi ha lusingato, ma devo dire che, ripensandoci, non la trovo affatto rassicurante.

Glò ha detto...

Fantastico questo post *__* La parte "politica", per così dire, molto meno XD anche se la trovo assai realistica.
Sulle IA in senso stretto, mi ha affascinato moltissimo l'anime Ghost in the shell (e successivi) proprio perché si indaga su tematiche difficili, quali identità, anima/coscienza...

Massimo Citi ha detto...

@Paolo: la crescente interconnettività dei sistemi può provocare... che cosa? Secondo Robert Sawyer l'emergere spontaneo dell'intelligenza dal semplice aggiungere nuove connessioni. Io e Silvia anni fa abbiamo scritto insieme un romanzo, «Riduzione a Icona», nel quale ipotizzavamo il sorgere di un'intelligenza dalla rete capace non solo di replicare l'intelligenza umana, ma anche di imitarla, di schernirla, di apparire e scomparire a suo piacimento. Sinceramente sono molto perplesso sulla possibilità di un'esistenza reale di una simile creatura - o anche di altre creature a un grado più basso di iniziativa e volontà - ma non posso pronunciarmi seriamente su un tema simile. Ma possiamo scrivere tutte le storie che vogliamo, nel frattempo, e giocare con il nostro comune mostro telematico.

Massimo Citi ha detto...

@Giò: ho a suo tempo visto una versione cinematografica di Ghost in the Shell e direi che il genere di riflessioni che venivano svolte nel film erano tutt'altro che superficiali. In ogni caso mi hai messo addosso la curiosità di rivedere il film, cosa che farò stasera stessa. Grazie per aver definito «realistiche» le mie osservazioni sparse e parecchio maliconiche sull'attualità. Ho una figlia di 23 anni che ha perso tempo a studiare ciò che amava davvero, la letteratura italiana, e non ho un'idea nemmeno vaga di quale sarà il suo futuro.

Paolo ha detto...

Oggi Internet, nel suo complesso, già supera potenzialmente il numero di connessioni neurali di un cervello umano. Ma sull'emersione spontanea dell'intelligenza ho dei dubbi. Richiederebbe un lungo processo di selezione darwiniana, ostacolata dai tempi di trasmissione e di accodamento sui server di rete. L'entità del mio racconto è un fenomeno locale, almeno all'inizio, e sembra mossa, nelle sue varie istanze, da un intento vendicativo, quasi autolesionistico. Se è un'intelligenza, è alquanto disorganizzata. Inoltre rimane quiescente per quattro settimane, dopo l'evento iniziale (curioso che nessuno mi abbia chiesto perché).

"E' anche possibile che, a differenza della rete immaginata da Clarke, Internet non sia un ambiente favorevole al loro sviluppo, per via dei firewall e delle gateway che tenderebbero ad intrappolarle in sottoreti senza sbocchi. Inoltre i grossi sistemi sono ben protetti dagli attacchi esterni, in particolare i mainframe IBM che, per la loro architettura peculiare, sono praticamente invulnerabili. Non si può dire lo stesso per i piccoli server isolati e, soprattutto, per il gran numero di dispositivi programmabili che ormai sono permanentemente in rete. Quelli sarebbero un grossissimo problema..."

Al di fuori della metafora e della fantasia: io la IoT (Internet of Things) me la sogno di notte.