23.5.11

Co-scrivere

Collaborare nella scrittura è una pratica complessa, al limite un po' assurda. 
Se scrivere è esprimere in forma verbale ciò che si sente più profondamente, scavando e ricercando dentro se stessi, immaginare di farlo in maniera collettiva risulta fatalmente contraddittorio. 
Mi è capitato raramente di farlo, una volta scrivendo un racconto - dieci pagine striminzite ma tutto sommato leggibili - con altri due autori e una volta collaborando con il mio alter-ego, Silvia Treves, per un romanzo pubblicato proprio qui. Mi capitato altre volte nell'ambito del corso di scrittura autogestito del quale ho parlato in queste pagine, di scrivere con più persone su un tema predefinito. Esperienza utile e interessante - anche per scoprire che cosa usciva dalle altrui penne - ma che non ha molto a che vedere con la scrittura a più mani. 
Tutti abbiamo in mente qualche coppia di autori - Fruttero & Lucentini, Sjöwall & Wahlöö o Sveva Casati Modignani, pseudonimo di Bice Cairati e Nullo Cantaroni - ma una coppia è un insieme ragionevole e comprensibile. Si scrive, in genere, un capitolo a testa, si discute di dove deve andare la storia e via, a riempir risme. Se c'è un buon accordo - e patti chiari - il fatto di lavorare in coppia può rivelarsi estremamente positivo. Sarete obbligati a seguire pieghe della vicenda inattese o a dover «inventare» nuove forme di descrizione o di cronaca che, per conto vostro, non avreste mai visitato. È un po' come gettarsi sotto la doccia ancora in parte vestiti, con una temperatura dell'acqua che non è quella che avreste scelto. In più, una volta terminato il lavoro, è piuttosto probabile che il vostro socio commenti: «Non è male, però...» E dietro quel «però» si annidano infinite possibilità di ulteriori errori. Come di successo, certo, ma pagato duramente... 
Ma di provare a scrivere con una ventina di (semi-)sconosciuti, avendo come book una semplice, banale annotazione, non mi è ancora capitato. 
Non ho intenzione di spifferare al mondo - anche solo al piccolissimo mondo che legge queste mie - di chi e di che cosa si tratta, semplicemente approfitto di questo spazio per girare la domanda. Secondo voi è possibile scrivere collettivamente? È ragionevole? Può uscirne qualcosa di decente o inevitabilmente si dovrà remare sottocosta, evitando percorsi pericolosi e vicende poco sperimentate? Si dovrà limitare la propria inventiva - ammesso di averne, perlomeno io  - o il lavoro risulterà felicemente imprevisto, una piccola stella in un cielo oscuro? 
Personalmente inclino sempre al pessimismo. Temo, quindi, che la necessità di «tenere insieme» autori e stili (immagino) profondamenti differenti obblighi a volare bassi, ammucchiando e infilando stilemi ahimé un po' consumati. Temo di dovermi accodare a uno spunto poco originale e condotto in maniera prevedibile, e di dover scribacchiare qualcosina, giusto per non saltare il turno.
Ma, come dicevo, sono un inguaribile pessimista e mi capita abbastanza spesso di sbagliarmi.
Esperienze di scrittura collettiva sono in corso in tutto il web. Scrittura collettiva di saggi, articoli, pamphlet - certo - ma anche di brevi testi narrativi. 
Quindi non è detto. 
Non è affatto detto. 
In ogni caso ciò che mi pare grandioso è l'attesa per l'inizio del lavoro, la speranza, la curiosità. Leopardianamente, in un angolo della mia mente sono nel «sabato» della scrittura. 
In fondo la scrittura prima che arte - ovvero raffinato artigianato - è un esercizio piacevole che può avere come risultato anche soltanto una oretta di genuino divertimento per un eventuale lettore. 
Presto, comunque, ci ritornerò.

18.5.11

Fiera del libro. In prima persona plurale.


Sì, lo confesso, ho partecipato alla Fiera del Libro di Torino.
Ho personalmente contribuito al fragoroso e supponente caos librario che molti tra coloro che conosco detestano profondamente. 
Ho montato e smontato uno stand e durante i giorni della Fiera ho venduto, suggerito, sorvegliato millanta potenziali ladruncoli e disturbato uomini e donne mandati lì dalla casa editrice, istigato da altri uomini e donne desiderosi di un consiglio, un suggerimento, un'idea, un cenno di vita. 
A mia discolpa posso dire che sono stato - anzi sarò - pagato per il lavoro fatto e che l'editore al quale ho dedicato il mio lavoro tutto sommato mi piace. Motivo più o meno sufficiente per contravvenire - anche solo parzialmente - il mio post di un paio d'anni fa. In particolare, e non lo dico per cattiva coscienza, l'editore Carocci per il quale ho lavorato non è un buon esempio di Grande Editore Cannibale ma semmai, di quel genere di medio editore di cultura che chiunque abbia un po' di sale in zucca dovrebbe difendere.
Nell'insieme, comunque, è stata una discreta esperienza. Lo dico nel caso (improbabile) che qualcuno fosse incuriosito. Un'esperienza condivisa con Marco e Katiuscia per noi C.S. e con Antonietta, Claudia, Roberta a altri della Carocci.  
Fortunatamente avevo con me la mia (antica) macchina foto...


Quello alla cassa, inevitabilmente, sono io. 
Quelle sedute sulle mini-poltroncine offerte da Carocci sono - fraudolentemente - della casa editrice. 
In primo piano una (vera) lettrice.

Alla cassa ora l'eroica Katiuscia.

Sopra Marco, in tenuta sventatamente "leghista" come più o meno tutti gli hanno fatto notare. 


Qui Claudia, con t-shirt bianca, e l'ottima Antonietta, deliziosa creatura della quale mi sono fatalmente infatuato, tanto da farle promesse inopinate, tipo quella di ritornare alla prossima fiera...


Qui una veduta d'insieme di uno dei dodici o tredici scaffali a muro della Carocci. Per inciso quella che composto personalmente. Nella foto successiva parte della Biblioteca Medievale, collana della quale, infognato tra i titoli di infiermieristica, avevo finito per dimenticarmi. Con l'occasione mi sono rifatto del lungo digiuno.  



...


Qui sopra altre due dello staff Carocci, che hanno collaborato a rimettere i libri avanzati nelle scatole. Detto per inciso, ad arrivare sono stati nove bancali per un totale di più di centocinquanta scatole, tutti da disporre sugli scaffali. In ordine alfabetico di autore. 


Last but not least il piccolo Jacopo, figlio di Katiuscia, già evidentemente condannato a una vita da libraio...

Ah, no, un'ultima cosa che già so che farà inferocire i miei colleghi. 


Già, sconto 15%.
Come peraltro previsto dalla legge. E non abbiamo derogato neppure l'ultimo giorno, nonostante ci fossero editori che avevano affitto cartelli con «sconto 50%». 
A entrare in libreria non si paga, qui, invece, si pagava. Eccome...


6.5.11

Referendum a perdere





Ovviamente andrò a votare. 

Altrettanto ovviamente voterò 4 sì. 
Uno contro questa un'industria del nucleare che nasconde la gravità degli incidenti avvenuti, due contro la privatizzazione dell'acqua, uno dei beni che saranno al centro della speculazione mondiale nei prossimi anni, e uno, infine, perché credo fermamente sia bene impedire al Demente di fare altri danni in Italia. 
So bene che stanno tentando in tutti i modi - legali e illegali - di impedirci di andare a votare e che in tanti provano a convincerci che non è importante, né utile, né politicamente essenziale andare a votare in una bella domenica di giugno. 
Sono ahimé quasi sicuro che sia impossibile convincere venticinque milioni di italiani ad andare comunque a votare, ma credo sia il caso di provarci ugualmente. 
Bòn, fine della tirata. 
Senonché mentre pensavo queste quattro povere cose ho ricevuto un e-mail che riporto qui sotto. Mi hanno chiesto di farla circolare e lo faccio ben volentieri. 
Posterò questo intervento e interverrò anche su facebook. 
Temo non convincerà nessuno che non sia già convinto mamale non farà. 

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E' UN NS/ DOVERE MORALE E CIVILE........

MI RACCOMANDO: PASSATE PAROLA

  Date: 20 aprile 2011 11:23

      Ciao a tutti,
      confermo la necessità di questo passaparola, aggiungendo che si tratta di informazione per ri-affermare i diritti costituzionalmente garantiti . Il dramma è che sembra la maggior parte della popolazione non sia consapevole di quanto sta avvenendo.

      Quello che Vi porto è solo un piccolo esempio. Sono una ricercatrice, mi occupo di diritto ambientale e di risorse idriche. Ieri mattina dovevo intervenire ad un programma RADIO RAI (programmato ormai da due settimane) per parlare del referendum sulla privatizzazione dell'acqua e chiarirne meglio le implicazioni giuridiche.

      'E arrivata una circolare interna RAI alle 8 di ieri mattina che ha vietato con effetti immediati a qualunque programma della RAI di toccare l'argomento fino a giugno (12-13 giugno quando si terrà il referendum), quindi il programma è saltato e il mio intervento pure.

      Questo è un piccolo esempio delle modalità con cui "il servizio pubblico" viene messo a tacere e di come si boicotti pesantemente la possibilità dei cittadini di essere informati e di intervenire (secondo gli strumenti garantiti dalla Costituzione) nella gestione della res publica. Di fronte a questa ennesima manifestazione di un potere esecutivo assoluto che calpesta non solo quotidianamente le altre istituzioni, ma anche il popolo italiano di cui invece si fregia di esser voce ed espressione, occorre  riappropriarci della nostra voce prima di perderla definitivamente.

       Il referendum è evidentemente anche questo!

      Mariachiara Alberton


      RICORDATEVI CHE DOVETE PUBBLICIZZARLO VOI IL REFERENDUM... perchè
il Governo non farà passare gli spot ne' in Rai ne' a Mediaset.
      Sapete perché ? Perché nel caso in cui riuscissimo a raggiungere il quorum lo scenario sarebbe drammatico per i governanti ma stupendo per tutti i cittadini italiani:
      Vi ricordo che il referendum passa se viene raggiunto il quorum. E' necessario che vadano  a votare almeno 25 milioni di persone Il referendum non sarà  pubblicizzato in TV. I cittadini, non sapranno nemmeno che ci sarà un referendum da votare il 12 giugno. QUINDI : I cittadini, non andranno a votare il referendum.

      Vuoi che le cose non vadano a finire cosi ?
Copia-incolla e pubblicizza il referendum a parenti, amici, conoscenti e non conoscenti.
      Passaparola!

4.5.11

Una decadenza fantastica


Non è un momento particolarmente felice per il fantastico in Italia.

Opinione personale, anzi personalissima che sono, anzi, pronto a rivedere e ripensare se qualcuno vorrà avere la santa pazienza di mettere in evidenza (eventuali) controtendenze e/o novità emergenti.

Non è un momento felice per la triste scarsità della produzione italiana, impantanata in un fantasy pre- e post-adolescenziale, un horror il più delle volte tristemente dilettantesco o stancamente legato a personaggi abbondantemente sfruttati - sopra tutti il vampiro, e una fantascienza sostanzialmente scomparsa in quanto tale, con gli editori italiani che l'hanno cancellata dalla produzione libraria avendo stabilito che «per la sf non esiste mercato». Al di fuori di queste tre classicissime categorie c'è davvero poco e quel «poco» spesso è semplice prova autoriale isolata, incapace di creare scuola o suscitare un interesse che superi la ristretta cerchia dei lettori avvertiti.

Le traduzioni, al di là delle stanche ristampe fanucciane della produzione di P.K.Dick, sono di corposi romanzi rivolti a un pubblico giovanile o adolescenziale e con protagonisti in età puberale chiamati ad affontare sfide morali ed etiche di dimensioni più o meno caricaturali e molto spesso diretti discendenti - o epigoni - di personaggi e autori di successo planetario. Harry Potter di J.K. Rowlings, The dark matters di Philip Pullman, i fratelli Baudelaire di Lemony Snicket, Twilight di Stephanie Meyer, il Ciclo dell'eredità di Christopher Paolini - senza mai dimenticare Tolkien o C.S. Lewis - sono onniprenti e si possono facilmente riconoscere nei panni - improvvisati o professionali - di migliaia di personaggi che, fatalmente, ne ripercorrono temi e vicende sia pure ribattezzate con altri e diversi nomi.

Anche in letteratura, in sostanza, sembra ripetersi il meccanismo tipicamente cinematografico della replica fino allo sfinimento dei successi già celebrati, multimilionari e capaci di rendere all'eccesso ai produttori attraverso tutti gli infiniti passaggi cinema-DVD-TV-libro-videogame-gadget di una rete di vendita che - inevitabilmente - retroagisce sulla qualità e il livello della produzione. Successi che finiscono per determinare completamente l'offerta ai lettori, emarginando qualsiasi altra idea o soluzione narrativa. Inutile, in sostanza, lamentarsi della crisi della fantascienza, della decadenza dell'horror o della serialità del fantasy. La realtà è che se non (ri)scrivete HP o Tolkien, se non tentate di collocare la vostra (povera) creazione in una cornice già stranota al pubblico non troverete un possibile editore.

Da qui nasce, probabilmente, anche la profonda crisi della sf letteraria, che, sostanzialmente divorata dall'interno dal cinema, finisce col rivolgersi a un pubblico non più giovane che, temo, finirà per portarsi nella tomba il suo amore letterario...

Questo senza nemmeno voler entrare nel merito della gestione del superstite Urania e nelle sue scelte...

Al di fuori del megacircuito cine-letterario, forzatamente ripetitivo, rimangono i libri autoprodotti, i testi distribuiti gratuitamente o quasi attraverso la rete. Una ricchezza, siamo d'accordo, ma anche un problema non piccolo. Se l'autore è l'unico giudice del proprio lavoro e può pubblicarlo senza ulteriori revisioni e senza il confronto con pareri professionali quante probabilità esist0no che il suo libro sia sostanzialmente illeggibile per un lettore medio? Statisticamente direi che le probabilità sono all'incirca di 1 su 100... Come dire che dovrete smazzarvi un centinaio di testi autoprodotti per trovarne uno buono. Più o meno ciò che accade ai lettori per conto delle case editrici per trovare un testo che merita una rilettura, una valutazione professionale, un lavoro di editing.

Ma forse uno su cento è troppo crudele. Diciamo pure uno su cinquanta o uno su venticinque. Va meglio? Ma io, comunque, non vedo mani alzate di soggetti che si candidano a leggere ventiquattro ciofeche per 1(un) romanzo decente. Un cattivo romanzo, al di là del gusto vendicativo di distruggerlo - recensendolo nel proprio blog o tagliuzzandolo fisicamente - , è comunque una sofferenza, una forma di tortura autoinflitta che è ragionevole pensare che nessuno cerchi intenzionalmente.

Quindi è ragionevole pensare che debba esistere una struttura di mediazione, qualcosa che garantisca il lettore che ciò che leggerà - anche gratuitamente - è perlomeno corretto grammaticalmente, formalmente ed esteticamente. Questo - curioso a dirsi - sarebbe il compito degli editori, ovvero quelli che qualcuno a suo tempo e con generoso impeto futurista definì «semplici parassiti».

Ne esistono ancora?

Qualcuno esiste (ancora).

Ma prima ancora sarebbe bene che esistessero portali o siti che rendano possibili incontri e valutazioni da parte di lettori «di lungo corso». Qualcosa di (relativamente) nuovo che sicuramente esiste già ma che, almeno finora, rimane comunque all'interno di un circuito limitato e semiprofessionale.

Unico (e gigantesco) problema: il fatto che non girino - ahimé - soldi nel circuito del fantastico. Non sono un mercante assatanato, ma se tutti i pareri sono gratuiti e chi li esprime nella vita fa letteralmente tutt'altro, quante sono - sempre statisticamente - le probabilità che il parere ricevuto sia irrilevante, assurdo, o nato da invidia, incomprensione, malanimo, intolleranza, disinteresse o noia? Questa volta non proverò a fare ipotesi numeriche ma lascio a mi legge tanta fatica. Personalmente posso annoverare un lussuoso esempio di una stroncatura (annoiata e seccata, ma gratuita) di Maurizio Maggiani (nientepopodimenoche) a un mio racconto. A parte il mal di stomaco e la sensazione di aver annoiato Sua Autorialità non ho comunque imparato nulla. Nel senso che MM aveva letto frettolosamente - se pure aveva letto - e gli era sfuggito il quid del racconto. Cose che capitano a farsi leggere aggratis...

Tirando le somme non è facile proporre qualcosa di credibile. Stretti tra un gigamondo di ipersuccessi basati su una rete di distribuzione disumana (centri commerciali, catene librarie, librerie virtuali che vendono praticamente gli stessi libri) e produzioni marginali e/o emarginate, mal-sopravvivono piccoli e medi editori e librerie indipendenti, che, insieme alla Rete, sono le uniche strutture da dove è teoricamente possibile ripartire per una rinascita della letteratura e persino del fantastico. Nel (troppo) vasto mondo della rete si nascondono gli autori del futuro. Cerchiamo di trovarli, prima di perdere le speranze.

Questo post esce in contemporanea sul blog ALIA Evolution

P.S. Per completezza aggiungo che la mia intenzione iniziale era quella di presentare tre libri di fantasy e fantascienza appena usciti. Si tratta de L'Atlante di smeraldo di John Stephens, Sono il numero quattro di Pittacus Lore (pseudonimo di Jobie Hughes & James Frey) e Alterra - l'alleanza dei tre di Maxime Chattam. Tutti e tre, detto per inciso, primi volumi di una trilogia. Ho passato in loro compagnia ieri mattina e ho finito per gettare la spugna. Nulla di illeggibile o di intollerabile, soltanto un'evidenza sinistra e un po' allarmante di stile, spunto, idea, personaggi, ambientazione, sviluppo e (mancanza di) conclusione. Quanto basta per stendere un articolo come questo. Alla mia età non si ama perdere tempo.


29.4.11

Passando da ALIA Evolution


Come saprete se avete letto la banda a sinistra di questa pagina, esiste nel cybermondo un altro blog (Wordpress) di nome «ALIA Evolution».
Si tratta del sito dove escono - o meglio, dove sono uscite - info, notizie e altri frammenti e cose varie sul fantastico e la sf in Italia e fuori. In particolare sul progetto ALIA, come è nato, è cresciuto e si è sviluppata la più formidabile antologia di fantastico nata in Italia.
...
La più formidabile?
Già.
Proprio così.
Sia per gli autori pubblicati che per la scelta dei testi, la cura delle traduzioni, l'impaginazione, i disegni allegati, le copertine. Per tutto, insomma.
Detto di passata, sto esagerando.
Ma in questi anni ho capito che se fai un lavoro discreto o buono è meglio se lo presenti come «ciò del quale non puoi ASSOLUTAMENTE fare a meno», piuttosto che, semplicemente, come una «cosetta pregevole».
E internet, da questo punto di vista, è un semplice succedaneo avanzato di un furgoncino con un grosso altoparlante sulla capotte, nel quale è abitudine urlare piuttosto che sussurrare.
...
Ma se ci piace tanto urlare, com'è che il sito è palesemente vecchio, abbandonato, cadente e solitario?
Bella domanda.
I motivi sono millanta e riguardano da vicino le vite vissute dei quattro poveretti che l'hanno tenuto in piedi per un po'. Quindi non ne parlerò. Accontentavi di sapere che, onestamente, non poteva che andare così. Che il blog viaggiava a mille prima che sui suoi curatori si abbattessero problemi di salute, depressione, un grave lutto in famiglia, un trasloco, difficoltà di lavoro e di lavori, complicazioni professionali, lavori persi e faticosamente ritrovati...
Pensare che un blog potesse davvero continuare a vivere e cazzeggiare nonostante problemi di questo genere è almeno almeno un pochino ingenuo.
Sicché il blog è diventato come una casa abbandonata, della quale alcuni hanno ancora le chiavi ma che generalmente evitano di usare.
Ma, come dicevo, - o come forse non ho ancora detto - oggi ho tirato fuori le chiavi e contando su un momento di assoluta (mortifera) calma in libreria sono andato fino alla casa abbandonata. Ho aerato un po' le stanze, spazzato la scala d'ingresso, eliminato un po' di ragnatele e scritto qualcosa nella bacheca all'ingresso.
Nulla di imperituro o di memorabile. Soltanto qualche parola per significare al globo terracquo che ALIA esiste ancora e per fare poche, pochissime promesse. Che hanno non poche probabilità di essere allegramente dimenticate.
Ma non è detto.
Per il momento potete fare un salto là e dare un'occhiata in giro.
Magari lasciare un messaggio, attaccare un biglietto sulla porta con un «ehi, ci sono passato anch'io».
In fondo continuo a preferire i blog a facebook. Se non altro perché per scrivere in un blog si suppone che uno abbia qualcosa di mediamente serio e/o importante da comunicare. In ogni caso qualcosa di un po' più vivace del vuoto pneumatico di tanti messaggi di accaniti facebukkiani.
...Sperando che mia figlia non legga quest'ultima parte del messaggio...


15.4.11

Raccontare il reale?


Bella domanda, vero?
Una di quelle domande che, se scrivete, cercherete accuratamente di evitare di porvi. O, forse, ve la porrete soltanto quando un vostro manoscritto è stato scartato in un concorso o ha ricevuto un giudizio poco lusinghiero da un lettore di mestiere - un editor, un giurato, uno scrittore.
Ma può capitare di farsi una domanda del genere anche, semplicemente, aprendo il giornale di oggi o scorrendo una pagina on line di politica interna o internazionale.
«Oggi hanno ucciso... sono morte due immigrate... il parlamento ha approvato l'ennesima legge ad personam... la centrale nucleare di Fukushima ha scaricato nell'ambiente cesio e iodio radioattivi...» Potete aggiungere quello che credete e avrete costantemente la sensazione di non essere nemmeno lontanamente all'altezza del reale. Non parliamo poi se, come il sottoscritto, amate particolarmente la narrativa fantastica e la fantascienza. Qualunque trama o intreccio riuscirete a immaginare non riuscirà MAI a raggiungere la raffinata perversione di una realtà contorta e imprevedibile.
È anche vero, però, che frequentemente il reale è di una banalità tanto ovvia e desolante da togliervi ogni velleità di scrivere. Avete un bell'inventare, putacaso, personaggi esemplari, della più imprevedibile perfidia e di un talento stupefacente nell'elaborare complessi, eleganti e barocchi intrecci con esiti imprevedibili e sorprendenti... e la TV vi comunica che il Demente ha appena acquistato altri tre deputati al prezzo di una villetta cadauno, un SUV come nuovo e alcuni passaggi sulla TV del mattino.
E vi cadono le braccia.
Se la realtà è così evidentemente ovvia e scontata merita davvero immaginare vicende tanto complesse, e in definitiva tanto improbabili?
A che diavolo serve aiutare a creare la sensazione che la realtà sia molto più complessa di quel che riuscite a immaginare per poi constatare che spesso non è così e che chiunque possegga beni al sole può facilmente modificare un esito, un'operazione, un tentativo?
Certo, potete anche rimettere le mani sul vostro personaggio e farne un individuo sordido, vendicativo, rabbioso, meschino, calcolatore e furbetto ma questo non vi diverte. E, soprattutto, rischia di non funzionare. Di Dementi, grossi e piccoli, è pieno il mondo e il loro mefitico potere ci ammorba tutti. Tanto che è difficile immaginare il possibile lettore di vicende tanto ovvie.
A pensarci meglio, è probabilmente la Personalità, l'individuo singolo e inimitabile a fallire miseramente, misurando quotidianamente la propria insufficienza. Ed è inutile mettere in scena il semplice contrario di un personaggio grandioso - il personaggio misero e disperato che alla fine si riscatta o il felice scemo che le imbrocca tutte - per avere comunque il ritratto in negativo dell'uomo del XXI secolo. Il problema principale è, probabilmente, che l'io romantico - e simmetricamente l'anti-io grottesco - sono morti e defunti da un bel po'. E che qualunque personaggio dai tratti troppo netti e definitivi, positivo o negativo che sia, risulta irrimediabilmente datato, pletorico, rigido e inutile. Ci si deve forse accontentare di un semipersonaggio, ovvero di un individuo vittima della realtà, che si sforza, spesso senza successo, di comprendere e afferrare tratti del reale, senza nessuna possibilità effettiva di modificarlo. In sostanza un personaggio che ricorda curiosamente certi profili nati con il noir e con il poliziesco di ambientazione metropolitana e germogliati anche nell'ambito della fantascienza meno ovvia e banale. Basti pensare ai personaggi della tetralogia "catastrofica" di J.G.Ballard (Vento dal Nulla, Deserto d'acqua, Terra bruciata e Foresta di Cristallo) per iniziare a costruire un'immagine sociale di questo genere di personaggi.
Curiosamente - e detto senza alcuna vena polemica - si tratta di un genere di personaggi assolutamente inadatti a comparire in un (consueto) fantasy di ambientazione medievale, dove a prevalere sono profili variamente rudi, idilliaci, malinconici, cupi, lirici o violenti, Personaggi con la «P» maiuscolissima che sembrano tenere saldamente in mano la propria vita - o quella altrui.
Qual è il legame con il reale di questo genere di personaggi? Meno di zero, temo.
Riuscite (seriamente) a immaginare l'eroe di un romanzo fantasy alle prese con le insidie barbaramente volgari del Demente o con le fughe di materiale radioattivo di una centrale nucleare?
Viceversa non avrete particolari difficoltà a inserire in quel frammento di reale un personaggio - debitamente stinto, disperato, alcolista e deluso - nato nelle pagine di Ellroy o di Elmore Leonard o di autori francesi come Manchette o Varenne. O personaggi come il celeberrimo cacciatore di androidi di P.K.Dick o i meno celebri - ma altettanto efficaci - Robert Childan de La svastica sul sole o Joe Chip di Ubik.
Per poter scrivere di realtà, in sostanza, sembrerebbe fondamentale scegliere un punto di vista minimale, un approccio parziale e limitato. Adottare, volendo esagerare, la modesta - o malata - visione di un signor Nessuno e farlo coinvolgere in fatti e vicende "più grandi di lui" delle quali il nostro personaggio possa o riesca a cogliere soltanto aspetti, frammenti, immaginarie visioni, o emozioni dovute a illusioni o errori di prospettiva. Si tratta, in sostanza, di un'estetica dell'Errore, qualcosa della quale mi è capitato di parlare nel mio personalissimo (e parzialissimo) manuale di scrittura.
Il che, probabilmente, dimostra che ho poche cose in mente e non posso fare a meno di ripeterle...
In quanto al rapporto con la realtà che ci circonda, parlando da scrittore di fantastico - sia pure di scarsissimo successo - non posso che esprimermi a sostegno di una visione necessariamente parziale ma nitidissima. Per un difetto di visione attentamente calcolato, rappresentando attentamente ciò che ci è vicino per sfumare gradualmente via via verso il grande e lo sconfinato, lasciando che tale remota visione si colori di indefinito, di mitico, di contraddittorio e di un inconsapevole fantastico.
Perché tale finisce per essere, io credo, la nostra personale visione del reale. Perennemente infarcita dei nostri sogni, delle nostre considerazioni, valutazioni, opinioni, idee.
La realtà che ci circonda ha i nostri colori e non possiamo impedire sia così.
E non si può parlare di percepito senza includere nel quadro il percepiente.
E tutti i suoi errori.



7.4.11

ALIA tra i fumetti


Per tutti gli interessati, ALIA sarà (massicciamente) presente a Torino Comics, Salone 1 del Lingotto.

Per la precisione ci sarà alle:

Domenica 10 Aprile
Ore 16,30
Sala Moliterni


ALIA 6.
Presentazione del sesto volume dell'antologia internazionale di racconti fantastici Alia, edita da CS Libri. Intervengono i curatori Silvia Treves, Massimo Citi, Massimo Soumarè e Davide Mana.

In sostanza chiacchiereremo un po' dell'ultimo nato e spenderemo qualche parola anche sui suoi fratelli maggiori, i vari ALIA che l'hanno preceduto.
Un buon lavoro, pensiamo, e lì cercheremo di dimostrarlo.

Qui potete trovare il Programma di Torino Comics.

Vi aspettiamo numerosissimi...
(...vabbè, si fa per dire)

2.4.11

Un'incontro in circoscrizione

SAL8 LETTERARIO
I MARTEDì DELL’AUTORE


CIRCOSCRIZIONE VIII
Via Campana 28 (interno cortile)
Martedì 5 aprile 2011, ore 17

VIAGGIARE CON LE PAROLE
INCONTRO CON
CONSOLATA LANZA
LETTURE DI MARIANNA BARBARO

Farò il possibile per andarci.
Non solo perché provo un certo frizzante piacere nel sentire Consolata che parla di scrittura ma anche perché è un'ottima scusa per allontanarmi dalla libreria per un po'...


30.3.11

Föra dij bal!


L'onorevole Bossi, ministro del governo repubblicano ha così commentato l'attuale emergenza in corso che vede uomini, donne e bambini raggiungere le coste di Lampedusa e della Sicilia nel tentativo di allontanarsi da ciò che accade nel nord dell'Africa.
Si tratta, per il momento, per lo più di tunisini che vorrebbero raggiungere la Francia nel tentativo di ricongiungersi con amici e parenti già a suo tempo emigrati. Ovviamente nulla esclude che a breve siano i libici, stretti da una situazione insostenibile, a fuggire dal proprio paese per raggiungere le coste italiane. Difficile sostenere che si tratti del consueto assalto di poveracci malintezionati alla ricca e potente Europa, più ragionevole cominciare a chiedersi quale dovrà essere d'ora in avanti il nostro rapporto con il Nord dell'Africa e con i milioni di persone che vi vivono. Aprire una riflessione non superficiale e non contingente che non tenti di sbrigare un problema epocale con un pugno di euro o con qualche affermazione dura e ultimativa. Si tratta di aprire negoziati e non limitarsi a fare la voce grossa chiedendo ai nuovi governi di «fermare gli immigrati».
La politica italiana nei confronti del movimento che risale da sud del mondo è stata finora meschina, cieca e idiota. Basata sulla necessità di solleticare le paure delle plebi italiane - formate in buona parte da anziani - rassicurandole che «gli immigrati non passeranno». Hanno inchiodato le barche sulle coste della Libia e della Tunisia e gli immigrati hanno continuato ad arrivare, più faticosamente, dalla Turchia e dell'ex-Jugoslavia. Lontano dai giornalisti e dalle paginate dei quotidiani. Spesso hanno attraversato l'Italia diretti in Francia o in Germania, mentre i legaioli nostrani, si vantavano di aver «fermato il flusso».
Ora il tappo è saltato. Non ci sono più i dittatori a reggere il sacco al governo. E la gente arriva a Lampedusa, dove non è stata predisposta nessuna struttura di accoglienza, nessuna infrastruttura, nulla di nulla, questo sebbene fosse stato ampiamente previsto che migliaia - anche se non «milioni» come profetizzava Maroni - di persone sarebbero presto arrivate.
In un paese appena civile gente come Maroni avrebbe dovuto quantomeno dimettersi.
Ma noi non siamo un paese civile.
Bossi liquida il problema con una frase da commedia dialettale longobarda.
Provate a immaginare di essere un tunisino, un libico, un egiziano, un siriano. Provate a immaginare che qualcuno, gentilmente, vi traduca la frasetta di Bossi.
Provate a immaginare di paragonare la vostra situazione con la miope e stupida idiozia di tanti italiani del nord, così evidentemente fieri di una classe politica del genere.
Qualcuno lo tradurrà a beneficio degli maomettani, statene certi.
Al Jazeera, tanto per dirne una.
Pensate a un governo capeggiato da un vecchio demente incapace di tenere a freno i suoi istinti senili, sostenuto da mafiosi e da capipopolo criptonazisti capaci soltanto di sparare cazzate in longobardo.
Pensate alle bibbie inviate in omaggio alle scuole elementari del Veneto e alla persecuzione degli autori «colpevoli» di aver firmato una mozione a sostegno di Battisti.
A ms. Ruby innalzata al ruolo di nipote di Mubarak e al parlamento italiano che finge di crederci.
Alle centinaia di persone che negli anni scorsi hanno superato il Sahara per finire in un carcere o in un'anonima fossa in Libia.
Pensate alla quantità di infelicità, soprusi e dolore dei quali è responsabile il nostro governo.
Una responsabilità della quale, prima o poi, ci presenteranno il conto.
E dire «ma io non ero d'accordo» non servirà, temo, a molto.

P.S. Calcolando che è statisticamente probabile che qualche lettore mi faccia notare che «fai presto a parlare, tu che non hai immigrati vicini», preciso che nell'appartamento di fronte al mio abita un immigrato albanese - squisita persona, peraltro - mentre al pianterreno c'è una (ahimè) rumorosa famiglia di immigrati nordafricani. La domenica mattina incontro immancabilmente gruppi di immigrati etiopi, somali ed eritrei di ritorno dalla funzione copta che viene tenuta nella chiesa del quartiere, a cinquanta metri da casa mia, mentre davanti all'ufficio postale - più o meno cento metri dal portone di casa mia - stazionano da tempo gruppi di immigrati dall'est europeo che recano a un furgone targato MD (Macedonia) pacchi e involti per i propri cari rimasti in patria.
Ci sono passato in mezzo più di una volta e - a parte non capire una virgola dei loro discorsi - siamo felicemente sopravvissuti, sia io che il mio cane : )

23.3.11

Ma quanto costano i libri?



Già. Ma quanto costano?
Troppo, secondo molti. Poco, secondo le esigenze del mercato editoriale librario.
E cosa intendiamo con il prezzo del libro? E di quale libro parliamo? Di quello distribuito in libreria o al supermercato o del libro che vi arriva per posta da una libreria on line? O dell'e-book distribuito on line? O di quello autoprocuratosi in maniera un po' rocambolesca - e un po' illegale - da e-mule? O di quello scaricato gratis dal il sito dell'autore? O di quello stampato, impaginato e spedito su richiesta?
Ecco, basta un veloce giro di orizzonte per comprendere che i modi per procurarsi un libro sono davvero molto vari ed eterogenei. Se vi ripugna sganciare dei verdoni per mantenere tutto l'apparato libraio-distributore-editore potete scaricare (legalmente) migliaia e migliaia di libri, anche se di autore poco o per niente noto, e leggerveli comodamente con un e-lettore. Se siete appassionati di best-seller potete ugualmente scaricarli (illegalmente) anche se, almeno fino a qualche tempo fa, l'aggiornamento non era troppo tempestivo - niente ultimo Wilbur Smith, quindi, perlomeno in italiano.
Potete impiegare il vostro magico lettore per scaricare a modico prezzo (dalla metà a un terzo del prezzo di copertina dell'originale cartaceo) una gamma finora non troppo ampia di libri in italiano. O qualche milione di libri in inglese.
E, infine, potete comprare i libri in carta e pagine.
Potete comprarli con lo sconto del 30% in occasione dell'ennesima promozione dell'editore o della catena di librerie. Anche qui, però, niente novità, ovviamente, trattandosi di campagne promozionali che riguardano le edizioni economiche, ma comunque libri generalmente discreti e acquistabili a 7 euro contro i 10 di copertina.
Insomma, stringi stringi il problema sembra ridursi all'eventuale disponibilità a basso prezzo o a un prezzo contenuto di:
1. Novità
2. Saggistica per scuole superiori o università.
Lasciamo perdere per questo giro la saggistica e andiamo sulla narrativa.
Facciamo un passo indietro.
Voi avete sempre sognato di fare l'editore.
Chi ha mai detto che si sogna soltanto di essere scrittori? O librai?
Avete un tot di denaro da spendere e volete creare due collan... No, collane non usa più. Due «Nubi», ecco, sul modello delle «nubi degli argomenti» dei blog. Una prevalentemente narrativa, l'altra tendenzialmente saggistica.
Reclutate con una certa fatica 3 o 4 romanzieri - nuovi, interessanti - e altrettanti autori di saggi. È soltanto un inizio, ovviamente. Nel frattempo prendete contatti, prenotate per Francoforte, arruolate traduttori, sentite agenzie letterarie, allacciate rapporti con intellettuali d'oltrealpe, meditate di organizzare un concorso letterario e cercate di risolvere l'annoso dilemma: «Cosa dico ai conoscenti che vorrebbero pubblicare un libro con me?».
Sentite i distributori nazionali, nel frattempo. Volete che quando i libri usciranno trovino subito la strada per la vendita.
Ma l'incontro si rivela un po' meno felice di quanto aveste supposto.
La distribuzione vi costerà un 40-45% del prezzo di copertina. Trenta alla libreria e 10-15 alla distribuzione. Se, come vi viene consigliato, vorrete entrare in una società di promozione dovrete sbucciarvi un altro 2-3%. Ovviamente i sovrasconti e le copie omaggio per le librerie sono a vostro carico. Un altro 2-3%. Totale: da un 50 a un 55% del prezzo di copertina se ne va indipendentemente dalla vendita o meno del libro. C'è poi un 5-6% per l'autore, il 4% di IVA, un tot (variabile) per la stampa e legatura... Senza contare che i pagamenti più lunghi concessi di fronte a ordini più cospicui saranno ancora a vostro carico. Insomma il margine lordo sul vostro libro A è intorno al 25-30%. Se in prima approssimazione avevate pensato a una collana decorosa di un prezzo non superiore agli 11-12 euro dovete riprendere in mano i vostri calcoli e rifarli.
«Se il vostro primo libro a 12 euro riuscirà a vendere cinque o seimila copie... saranno 18.000 euro lordi... con i quali dovrò campare io, mia moglie, i traduttori, Gisella dell'ufficio stampa, macchine, viaggi, telefono, internet... Se il libro lo vendessi a 13 euro? Sarebbero 19.500. Tanto vale... Facciamo 16 euro? Ma che brutto... Però... Vabbè, dai. Sono 24.000 euro. Me li pagheranno a centottanta giorni... Sì, ma poi preso il giro riuscirei a campare... »
Tutto da vedere, ovviamente.
La presenza del nostro nuovo editore non sarà - purtroppo per lui - troppo ben curata in libreria. Tra le librerie private qualcuno farà il possibile ma altri troveranno insufficienti - o scarsi, poco interessanti o chissacosaltro i romanzi - e le librerie di catena non vi metteranno in vetrina (bisogna concedere loro un ulteriore sovrasconto) e i vostri libri finiranno dietro cataste di best-seller. Rese a 60-90 giorni e addebito del distributore che vi arriva prima dell'accredito.
Siete partita da sei mesi e siete già nella m...
Tirate fuori altri libri. Acquistate i diritti di romanzi stranieri. Mettete in graticola il traduttore e riuscite a fare uscire i nuovi libri entro 3-4 mesi. Da 16 euro passate a 18 euro. Si tratta di rientrare, in fondo. Un paio di titoli li fate con copertina rigida. Questo vi permette di sparare 20 euro di copertina senza passare per un affamatore di popolo. Preparate e-video di promozione dei due romanzi, aprite una pagina su facebook e una su twitter, fate l'impossibile per essere presentati, recensiti, notati. Cominciate a pensare a una collana economica per i titoli già usciti... Tutto ciò vi impedisce, naturalmente, di occuparvi dei libri che pubblicate, ma una volta raggiunto un minimo di equilibrio potrete riuscite nuovamente a leggere...
Forse...
Più probabile che gettiate la spugna dopo due o tre anni di superlavoro, avendoci rimesso il piccolo capitale investito. Il progetto di tenere basso il prezzo dei libri è fallito nei primi sei mesi e i libri sono usciti con prezzi che chiunque avrà giudicato «troppo alti».
Ma il fatto di aver chiuso con l'editoria maggiore può anche non significare aver rinunciato del tutto al progetto di diventare editore. Pubblicare e-book o book on demand è ancora possibile, anzi «potrebbe essere il mio futuro».
Lasciare che il nostro giovane editore ritenti (sarete più fortunati...) [1] e fermiamoci un momento a riflettere su ciò che è accaduto. Dov'è il problema?
Il maggiore, ovviamente, è la quota del prezzo di copertina assorbita dal complesso distributore-libraio, una quota anche maggiore se si vuole apparire degnamente nelle librerie di catena. D'altro canto, a meno di avere un parere singolarmente semplificato e primitivo, il distributore si fa pagare per distribuire più o meno capillarmente il libro, recuperare le rese, controllare che i librai paghino a tempo - e già solo questo non è un lavoro tanto piccolo o leggero -tenere in piedi un sito e un magazzino regionale o multiregionale... È vero che, a differenza dell'editore, incassa senza rischiare (troppo) ma i suoi costi sono considerevoli. In quanto lettori possiamo pensare a una forma di limitazione sulla percentuale per ridurre il prezzo di copertina, ma difficile da far passare senza una rivoluzione del proletariato in armi.
Diminuire lo sconto alle librerie.
Fattibile, ma se lo fanno tutti e tutti insieme.
L'ideale - l'ho già detto, lo so, ma lo ripeto - sarebbe spazzare via tutte le campagne di sconto («Compra oggi che c'è lo sconto del 30%!!!!») a abbassare il prezzo di copertina di un 10-15% per tutto l'anno. E vietare lo sconto sui libri - o limitarlo a un 5% o a un 10% per un (breve) periodo ben definito, Come si fa in Francia, in Germania e non so in quanti altri paesi.
Ma qui siamo in Italia, perbacco. Meglio scrivere 10 euro per dodici mesi all'anno e poi scontarlo per due mesi all'anno a 7 euro. Per i polli che ci credono.
Viaggiando a forza di ultrasconti l'unico risultato sarà quello di far chiudere le librerie di prossimità a vantaggio delle megalibrerie del centro o dei centri commerciali. Se vi piace di più comprare i libri (che non saranno gli stessi libri, la quantità si trasforma sempre in qualità) in una megastia illuminata a giorno per 24 ore al giorno, buon divertimento.
E non venite a lamentarvi che i libri costano troppo.
Altri possibili canali non credo che esistano, perlomeno non con questo modello di sviluppo.
Tutti gli altri possibili canali, compreso l'autore che pubblica il proprio libro on line e in cambio vi chiede un piccolissimo obolo per leggerlo («Con 0,99 euro compra e leggi il nuovo libro di Zippolo Zufoli!») hanno qualche possibilità di successo, ovviamente, ma essenzialmente non funzionano nel senso che NON ARRIVANO A UN PUBBLICO SUFFICIENTEMENTE AMPIO.
Non ha importanza se siete sorprendentemente bravi o incredibilmente bestie, non riuscirete a raggiungere un vero pubblico, più o meno come se vi esibiste all'Olimpico senza impianto di amplificazione. Può darsi che gli attuali sviluppi dell'editoria mondiale non vi piacciano, ma in ogni caso temo proprio che non abbiate molte possibilità di essere candidati al prossimo Nobel.
«E come diavolo si fa a far dimuire il prezzo dei libri?»
Non credo esista una formula unica per affrontare il problema e soprattutto non ritengo possibile ottenere libri mano cari - se non marginalmente - nel settore novità. Qualcosa si può fare nel settore economici e non poco per i long-seller. Anche di più se rinunciate in partenza all'idea di avere il vostro libro in copertina e pagine. Certo, un e-book non è un libro come lo intendiamo normalmente, ma avere un prodotto diverso ma con gli stessi contenuti può essere una soluzione decente per il problema.
In realtà il problema, anzi IL PROBLEMA è in primo luogo quello della lingua (l'italiano) e in secondo luogo del numero di potenziali lettori. Una classificazione opinabile, se pensiamo a paesi come l'Olanda che ha un terzo della popolazione italiana e un mercato librario paragonabile al nostro per dimensioni. Quanto basta per stabilire che l'ordine dei problemi deve essere invertito...
Con una metà scarsa di lettori sul totale della popolazione italiana e un gruppo di tre milioni-tre milioni e mezzo di persone che leggono più di dodici libri all'anno (1 al mese...)[2] non è seriamente proponibile l'idea di far scendere il prezzo dei libri. Con tirature che solo raramente superano le diecimila copie è matematico che i libri dei quali potete scoprire l'esistenza in libreria o al supermercato costino (relativamente) cari.
Ma se vi viene qualche idea in proposito, sono qui ad ascoltarvi : )

[1] Un interessante esempio di evasione da questa legge è il progetto editoriale Alga che ha pubblicato nel 2010 cinque titoli di 200-300 pagg. rilegati decentemente e di gradevole aspetto a 3 (tre) euro cad. Ma, in realtà, la legge in apparenza vinta è stata in realtà confermata dal progetto. Il lavoro di progettazione, editing e controllo sui libri usciti è stato curato volontariamente dal (giovane) "gruppo" editoriale e dei loro amici. I libri non sono andati in distribuzione e sono stati distribuiti personalmente nel corso di eventi di ogni genere dal "gruppo" editoriale. In sostanza Alga ha evitato il gruppo distributore-propagandista-libraio e si è avvalso della collaborazione gratuita di curatori, editor, autori e promotori. I 3 euro sono serviti essenzialmente a pagare la stampa del libro e poco spese vive. Un risultato rimarchevole, in ogni caso.
[2] La classificazione di «forti lettori» in Italia viene concessa con almeno dodici libro l'anno.
Non alzate troppo la cresta: in Francia viene concessa con almeno 20 libri all'anno.



16.3.11

Il punto


È passato qualche mese dall'ultima riflessione sullo stato dell'editoria italiana, mesi tutt'altro che quieti e incolori, peraltro. La crisi, finora reale ma a bassa intensità si è fatta intensa e colpisce a fondo le imprese che operano nel settore. La riduzione della disponibilità di liquidi che ha colpito in primo luogo il ceto medio si è profondamente ripercossa sulle piccole imprese, conducendone non poche sull'orlo della chiusura.
Si moltiplicano le chiusure, i fallimenti, le cessioni (forzose) e il passaggio a franchising. È come se una situazione già complessa fosse improvvisamente giunta a una svolta.
Per molti «fare il libraio» è sempre stato un desiderio - o forse un sogno - che per prima cosa faceva passare in seconda linea il naturale desiderio di arricchirsi. In linea di massima chi fa il mio mestiere si accontenta di sapere che riuscirà ancora, ovvero per questo mese, a mettere insieme il pranzo con la cena, tenendo presente che non è affatto detto che sarà così il mese successivo. E così per tutto il tempo del suo lavoro che spesso coincide con il tempo della propria vita.
Beh, a quanto pare anche questo fragile equilibrio si è definitivamente spezzato e sono in molti a decidere che non è più possibile lavorare e sacrificarsi senza un futuro.
A pensarci bene, sarebbe bene se i libri avessero una segnalazione in copertina: «Attenzione, può provocare gravi danni alla vostra salute mentale».
Ma sto parlando di un altro tempo e d'altri libri.
Negli ultimi anni si è andato affermando un altro modello di libraio. Di venditore, a volerlo dire utilizzando il vocabolario anni '90 del perfetto general sales manager, conformato ad alcune semplici regole.
Prima regola del new-venditore è non mostrare il proprio parere sui titoli in vendita. Secondo alcuni g.s.m. l'ideale sarebbe quello di non averne proprio letti: una genuina ignoranza è meglio di un mediocre fingere.
Seconda regola rendere gradevole l'ambiente libreria per il possibile cliente - o customer - al quale gentilmente evidenziare i titoli sui quali l'impresa ha puntato. È quindi consigliabile costruire trappole di cartone e plastica e altri deliziosi marchingegni che richiamino l'attenzione sull'ultimo Baricco o sull'ultimissimo Eco lasciando sullo sfondo il resto, ovvero tutto l'inutile librame che si è costretti a tenere ma che - diosolosa - costituisce un ingombro a basso o bassissimo rendimento.
Terza regola, mai discutere con il cliente di gusti letterari, libri letti e altre sciocchezze ma essere (cordialmente) sbrigativi. C'è sempre, infatti, il rischio di esprimere qualche gusto personale.
Cortesi, anonimi, sbrigativi: la terna vincente del nuovo libraio.
«Sì, ma anche i librai indipendenti sono (ma forse erano...) spesso odiosi. Se la tirano e fanno cadere il loro parere dall'alto».
Vero.
A chi non è capitato di sentirsi un poverocristo di fronte a un Signorlibraio?
O di provare il desiderio di impiccare l'idiota che sorride saputo e un po' sufficiente ascoltando la vostra richiesta?
Ma ho la sensazione che anche questo genere di libraio da storiella sia giunto al capolinea.
Il vero problema non è tanto stabilire l'antropologia criminale del soggetto chiamato a vendervi qualcosa ma stabilire se è possibile e verosimile trovare un libro. Capire se in qualche libreria può essere disponibile - perché crede sia possibile venderlo - un libro, magari uscito due o tre mesi fa, che non faccia parte dei 450-500 che stagionalmente sono «spinti» dalle Grandi Case Editrici. Un libro del quale si ignora felicemente la posizione nella terrificante classifica degli indici di rotazione o iR[1], ma che vogliamo leggere, vogliamo assolutamente leggere, al di là del comportamento più o meno simpatico del libraio.
Ciò che è diventato evidente negli ultimi mesi è che il libro da voi tanto agognato (L.d.V.t.A.) - ammettendo che i vostri gusti si stacchino almeno un pochino dalle classifiche dei piu venduti - sta via via scomparendo. In qualche caso non è disponibile presso le librerie indipendenti per via del costo di immagazzinamento - con l'omino piendisé un po' sgonfiato - come non lo è presso le librerie di catena per via del famoso iR. Insomma, è come se il vostro libro non fosse mai uscito.
Infatti dopo un po' è quello il dubbio che vi assale.
Ma, con un po' di pazienza, è possibile farsi dire che «No, il libro è disponibile» ma che «ci vuole un pochino per farlo arrivare».
Lo ordinate.
Aspettate un tot ma nessuno si fa vivo. Si sono dimenticati? Avete lasciato il numero di telefono con una cifra sbagliata? Il libro non è davvero disponibile? Chiamate un paio di volte ma non trovate mai la persona che ne sa qualcosa. Chi vi risponde vi tratta come un povero alienato, un fissato, un demente.
Mentalmente li mandate all'inferno.
Cazzo, non lo sapevate ma siete divento un fenomeno. Uno bibliofilo scatenato e folle. Un soggetto da barzelletta o da trista vicenda di pazzi e infermieri.
Vi organizzate per riuscire comunque a trovarlo.
Lo ordinate ad Amazon.it.
Nella pagina web di Amazon.it il libro risulta. C'è anche, piccola piccola, la copertina. Ma sotto c'è scritto «Titolo non disponibile» [2].
Già, perché Amazon.it marchia come «non disponibile» tutti i titoli prodotti da piccole e piccolissime case editrici. «Così non si perde tempo a ordinare titolini a casine editrici sperdute e sconosciute».
Logico, a pensarci bene.
Scrivete un'e-mail all'editore per chiedere il vostro L.d.V.t.A..
L'editore risponde che può mandarvelo, certo. Ma vista la fine delle tariffe postali agevolate per la spedizione di libri [3] ricevere il vostro libro vi costerà (almeno) 5 euro di spese di spedizione.
Cinque euro, un terzo del prezzo di copertina.
Confermate l'ordine e vi arriva il libro. Lo scoprite trovando un frammento di fogliaccio che vi invita ad andare a ritirare il vostro libro nel magazzino postale periferico, distante più o meno 15 km da dove vivete e lavorate. Apertura soltanto mattutina. Tempo di ritiro tra le due e le tre ore. [4]
...
Non va sempre a finire così.
Potreste anche rinunciare e accontentarvi di un libro di Camilleri o di Mazzantini. Quelli siete sicuri di trovarli dappertutto. E anche il libraio con-la-puzza-sotto-il-naso sarà ben contento di vendervelo.
Ma c'è qualcosa che non va. Innegabile.
Possibile che decidiate di rinunciare a leggere novità, rileggendo libri già letti o ripescando libri acquistati e mai letti.
Che cominciate a scaricare e-book gratuiti.
Magari potreste ordinate un kiddle per leggere più agevolmente.
Da Amaz...
E no, eccheccazz.
...
La crisi è sicuramente di natura strutturale, questo è indubbio.
Ma è altrettanto indubbio che almeno in parte essa possa e debba essere spiegata come crisi di un certo modello di vendita e di promozione.
Siamo proprio sicuri che imporre a un pubblico molto variato un numero limitato di titoli funzioni ancora? Non si corre il rischio, continuando con questo modello di promozione, il rischio di allontanare frazioni crescenti di lettori dal commercio librario? Non è ciò che sta accadendo?
Sono semplici impressioni, basate semplicemente sul mestiere acquisito in trenta e più anni di lavoro. Lettori stanchi, disorientati da una produzione eccessiva, varia e stimolante come un rosario di suffragio.
Mi rendo conto di tirare a vuoto - ovvero troppo in alto per le mie competenze - ma i nostri geniali editori - italiani e stranieri - non hanno la sensazione di una produzione eccessivamente seriale, troppo raccolta su pochi temi e idee? Che manchino - o che siano poco sostenuti e poco promossi, ovvero praticamente la stessa cosa - nuovi autori o libri realmente originali?
Che la saggistica sia incentrata su (troppi) pochi nomi, che la narrativa vivacchi sul solito consunto thriller più o meno scandinavo, l'ovvio vampiro, la consueta/o quaranta-cinquantenne delusa/o, stanca/o, eccetera/o.
La tendenziale scomparsa dei L.d.V.t.A. temo proprio sia un segnale importante e da non sottovalutare.
È almeno una ventina d'anni (o forse di più) che sottolineo l'importanza di un equilibrio tra una produzione mass-cult orientata e una produzione attenta alla qualità intrinseca del libro, tra una distribuzione focalizzata su pochi grandi punti-vendita e una distribuzione ampia e capillare cercando di non creare o mantenere aree dove i libri non arrivano.
Ovviamente è stato urlare a vuoto.
Siamo tuttora in attesa di una (pessima) legge sul libro interamente commisurata sulle esigenze dei grandi canali di commercializzazione.
E il pensiero ritorna sul compianto Alfredo Salsano, l'ex-direttore commerciale dell'ormai scomparsa Bollati Boringhieri, divenuta una semplice filiale del gruppo Spagnol, ovvero Longanesi/Garzanti/TEA/Guanda, cioé MeLi, colosso della distribuzione editoriale italiana.
Nell'inverno 1999 pubblicammo su uno speciale di LN un intervento a firma di Alfredo Salsano sulla «desertificazione editoriale». L'ho ritrovato e riletto in questi giorni:

«Nel caso del libro, quella che potremmo definire come la monocultura del best-seller minaccia di perfezionare una desertificazione editoriale. Il futuro del piccola editoria, stretta com'è tra la stasi del mercato, difficoltà della libreria e acquisizioni eventuali, appare ben difficile. [...] Forse è giunto il momento di un pacifico divorzio tra gli interessi finanziari che impongono un'inflazione di titoli a bassa tiratura per consentire, con l'occupazione delle superfici, la forte rotazione di un numero inevitabilmente limitato di titoli a prezzi medi gestiti managerialmente, da una parte e gli interessi imprenditoriali dell'editore e del libraio di cultura o di proposta che sopportano rotazioni più lente e prezzi unitari più alti in cambio di una disponibilità nel tempo di un servizio personalizzato, dall'altro.»

All'epoca ricordo che provai qualche resistenza sul tema dei «prezzi unitari più alti», ma se non altro si parlava ancora di case editrici reali e di librerie esistenti.
Adesso siamo ormai andati oltre.
E il panorama - puntualmente - è peggiorato.
Non fa male ricordarlo.

[1] Se siete già passati di qui avrete un'idea almeno vaga di che cos'è un Indice di Rotazione. Altrimenti vi basterà sapere che l'iR indica la velocità di rotazione di un libro (o di un articolo di bullonviteria o di un bastone da tenda) in un periodo ben preciso. Se io ho un magazzino di 1.000 euro del libro A e in quel periodo ne ho venduti per 1.200 euro ne discende che l'iR di quel periodo (tre mesi, per dire) è di 1,2 (1.200 / 1.000). Se il libro B ha venduto per 4.000 euro l'iR è di 4. Ovviamente è poi necessario inserire alcuni correttivi come lo sconto praticato ecc. ma in generale è assolutamento ovvio che mi conviene tenere più copie a magazzino del titolo B. E magari spararlo in vetrina e costruire piramidi e ghirlande per mettere in vista il libro B. Magari cercare l'autore del libro B per organizzare una presentazione e chiedere più sconto all'editore per vendere il libro B.
Facendo parte di una catena libraria i libri B sono, ovviamente, «prefissati» dalla proprietà.
I libri A, viceversa, sono rumenta. Da tenere per 60 gg e rendere velocemente. Se andate a cercarlo al 61° giorno il libro risulterà esaurito, ovvero «disponibile presso l'editore», cioé morto.
[2] potete controllare nel sito http://www.amazon.it/ref=gno_logo. Buona parte dei libri indicati come «non disponibili» sono disponibili. Presso l'editore, ça va sans dire.
[3] provvedimento del consueto Tremonti nell'aprile del 2010. «La cultura non si mangia», naturalmente.
[4] Sono ammesse tutte le possibili varianti a questa vicenda. Compresa la possibilità più rara e termodinamicamente improbabile, ovvero che riusciate a trovare il libro al primo tentativo.