30.10.14

Libri da uno scaffale all'altro. Panopticon.


In uno dei miei ultimi post avevo citato le mie letture promettendo una presentazione, se non proprio una recensione a ognuna di loro. Dopodiché ho dato un'occhiata al mucchio di libri letti - con mia moglie abbiamo uno scaffale apposito per i libri letti dall'uno e che l'altro deve ancora leggere - e ho avuto una crollo di volontà. Dedicare anche solo tre righe a ciascuno di essi mi avrebbe costretto a un post troppo prolisso per essere letto da chiunque sia un minimo presente a sé.
Sicché ho deciso di lasciar perdere la sf, rimandata ad altra data, e di soffermarmi solo sui saggi e i romanzi che meriti segnalare, dedicando a ognuno di loro lo spazio di un post che apparirà qui e in seguito sulle pagine di LN-LibriNuovi. Dedicherò, viceversa, uno spazio da minimo sindacale ai libri che mi hanno fatto soltanto perdere tempo o  quelli che non hanno ripagato la fatica dedicata loro. 
...
Sicché non parlerò di Frank Close, Neutrino, sicuramente interessante nelle intenzioni ma deludente nel suo essere un saggio (breve) su un tema tuttora quasi completamente sconosciuto e che tale rimane al termine della lettura. Uguale sorte per Un angelo a Babilonia di Friedrich Dürrenmatt, un autore che è poco meno di un mito per il sottoscritto e pubblicato da un editore serio e immaginifico come Marcos y
Marcos. Si tratta di una commedia tiepidamente divertente ma temo un po' troppo vaga e incoerente nel rappresentare insieme l'umana infelicità, la follia, l'ambizione, la venalità, il desiderio e la rassegnazione, l'ipocrisia e la franchezza... troppo in troppo poco spazio. 
Stesso discorso per i Mille cretini di Quim Monzò, dimostrazione pratica che una persona normalmente intelligente non è davvero capace di raccontare la condotta di un cretino.
Gli esempi inventati da Quim sono sicuramente ingegnosi, non per niente è egli uno autori spagnoli contemporanei più quotati, ma l'esito finale è modesto. Quim Monzò fa mostra di umorismo raffinato, di un antiautoritarismo militante, di surreale comicità ma non colpisce fino in fondo. Probabilmente perché esiste un lato della stupidità che non ha nulla di comico ma che sbanda sul tragico e riuscire a mantenersi in bilico tra il buffo e il tragico è una scommessa che hanno perso in molti. Niente di che, ma 14,50 euro, sia pure con lo sconto, son troppi.
...
Ma, venendo a parlare di libri che ho apprezzato, il primo libro che mi viene in mano è Panopticon di Jenni Fagan. Il panopticon o panottico, per quelli come me che ne avevano letto ma ignoravano la sua esistenza reale, è un progetto di penitenziario nato nel 1791 da un'idea del filosofo Jeremy Bentham. E il Panopticon è anche il centro di rieducazione giovanile dove è stata rinchiusa Anaïs Hendricks, la quindicenne protagonista del romanzo. Anaïs è una figlia della strada, una «schizzata fradicia», indiziata del ferimento di un poliziotto al momento in coma e si trova al Panopticon - un ex-carcere degradatosi a manicomio, poi a quasi-riformatorio - in attesa della formalizzazione di una accusa ufficiale. È un tipo particolare, Anaïs, una ragazza ribelle e dura nella vita di tutti giorni, con alle spalle cinquantauno (51) cambi di sistemazione, un passato tra drogati e prostitute - tra le quali una, Teresa, è stata una buona madre affidataria - una delusa a oltranza, aggressiva e rabbiosa ma capace di parentesi improvvise di meraviglia infantile, di confusi sentimenti e di cocenti rimpianti che non si permette di lasciar emergere. Il libro è in prima persona singolare e ogni incontro, ogni giudizio, ogni pensiero di Anaïs diventano i nostri incontri, i nostri giudizi, i nostri pensieri. Abilità dell'autrice, induscutibilmente, e potenza nella scelta della prima persona. Altrettanto potente nel nostro immaginario - e anche nell'immaginario di chi deve sistemare i libri in libreria [*]-  è il Panopticon, una torre di guardia con una finestra oscura aperta dentro ognuna delle stanze. Anaïs non si impressiona più che tanto, al suo arrivo, finendo però col creare un rapporto interamente suo con la torre di guardia, con i suoi occhi ciechi, con le presenze enigmatiche e soltanto immaginate che li sorvegliano.
La realtà di Anaïs si trascina giorno per giorno, nell'imminenza di una decisione che non dipende da lei: «... mi sbattono in un riformatorio fino a diciott'anni. Poi la galera», ripescando ricordi consumati, amicizie perdute, passioni impallidite e morte. Si sente gli anni passare addosso come una donna invecchiata male, non riesce a sopportare le droghe che girano, cerca di non farsi incastrare in qualche casino combinato dagli altri ospiti del Panopticon. Ma ha un sogno: Parigi. Una Parigi che ha l'odore i colori dei cartoni animati di Walt Disney ma che per lei è perfettamente reale, è il sogno di adulta, il luogo dove vivere e morire.

Il romanzo si chiude in maniera volutamente enigmatica, lasciando in noi lettori il dubbio che in realtà le cose non siano andate esattamente così. Ma siamo dalla parte di Anaïs quando desidera con tutte le sue forze una vita diversa, un'esistenza scelta da lei stessa e da riempire dei tanti modesti e colorati sogni di un'adolescente finalmente divenuti reali. 
Diventiamo tutti adolescenti, immersi in questo libro. 
Certo, dovrete accettare di essere invasi dal personaggio di Anaïs, dovrete resistere al piccolo dubbio - soltanto accennato in qualche passaggio - che l'autrice vi abbia preso troppo, portando al limite la necessaria sospensione di incredulità. Ma si può fare, comunque si può fare. E leggere si rivelerà un piacere. 
Piccolo particolare: dal libro verrà tratto un film di Ken Loach. Parere personale: un'ottima idea.  

[*] Il romanzo nella Feltrinelli di 8Gallery a Torino si trovava nella categoria "Fantascienza e Fantasy". Il Panopticon ha evidentemente colpito e confuso anche il personale della libreria.  
 

26.10.14

ALIA Evo in vista!


Ne ho già parlato sia su Fb che nel blog dedicato ad ALIA Evo ma poi mi è venuto in mente che esistono alcuni soggetti che non frequentano Fb e ignorano l'esistenza del blog di ALIA, sicché ho deciso di pubblicare la nuova anche qui. 
Non è soltanto un modo per "cantarsela e suonarsela" ma anche per ringraziare pubblicamente il buon Marco Corda, autore di un buon articolo e che è persino arrivato a chiedere notizie sulla storia di ALIA, un evento raro nel mondo dei recensori.
Sia quindi gloria al buon Marco Corda che ci ha ospitati qui e onore a Sandro Pergameno che ha ripreso la recensione qui.
Se ne avete voglia e tempo, invece di commentare qui fatelo sulla pagina di Fb, per una volta che cosa vi costa...? 
Un buon modo, in ogni caso, per cui il nostro ALIA Evo non si perda nel tempo. 

 
  

23.10.14

I blog che se ne vanno


Oggi ho dato un'occhiata al mio blog. 
Cose da poco, verificare i collegamenti, controllare se qualcosa non conduceva a nulla o su una pagina di turco o in russo. 
Puntualmente trovate, detto di passata.
Eliminare cose passate di moda o di interesse.
E i collegamenti con altri blog. 
Questo è un dato che tengo d'occhio da un po' e a essere onesti gli unici blog che viaggiano normalmente con post più o meno regolari sono stati quelli di Nick il Noctuniano, quello di Romina Tamerici e il blog in lingua inglese di Davide Mana, "Karavansara". Qualche segnale di vita è arrivato da Kokoro, da Salomon Xeno e da Davide Mana col suo blog rustico e campagnolo, "Fra le province". I blog "ufficiali", come "Letteratitudine", "Malpertuis" o "Il futuro è tornato" procedono con i propri ritmi e tempi, come prevede la loro struttura di riviste o fanzine. 
E gli altri?
Normalmente il mio blog ospita una trentina di link ad altrettante indirizzi di blog, riviste, ecc. E giusto oggi mi sono trovato a eliminare cinque link a blog moribondi o decisamente defunti. 
Cinque link.
Altri ne ho tolti qualche tempo fa, tipo tre o quattro mesi.
Ohibò.
È possibile che sia stato il mio leggendario fiuto a spingermi a collezionare blog suicidi o sta succedendo qualcosa del quale non sono stato avvertito?
Non sono uno che ama navigare in internet ma per curiosità ho provato ad andare a vedere i blog confinanti con il mio nella logica googliana ("blog successivo"->"blog successivo -> ecc. ecc.) e ho ripescato una ventina di blog, un paio monotematicamente (o monomaniacalmente) dedicati al calcio gli altri di varia umanità, in gran parte fermi al 2013. O al 2012. O al 2010. 


Kzzz. Avete presente quei film dove uno si sveglia e comincia a girare per le strade senza incontrare nessuno? Ma proprio nessuno. Beh, la sensazione è quella. 
Tutta  colpa di Album-di-facce? O di Cinguettante?
Può darsi, può darsi, certo, anzi è probabile. Resta il fatto che il fenomeno blog mi sembra abbia avuto un crollo preoccupante, ultimamente. 
Come ho già spiegato non ho tempo per FB né per Twitter. Nel senso che essere sapido, sardonico, ironico, satirico e brillante a comando mi richiede un sacco di fatica, senza contare lo sforzo alla lunga strianante di essere sempre cool per divertire tutti. 
E quanto al turpiloquio, sono fermo all'altro secolo. 
Non il XX, il XIX.
I blog sono pesanti, probabilmente, meno rapidi, richiedono una lettura (aaaahhhh, quelle horreur!), in qualche caso obbligano a riflettere, in qualche altro spingono a informarsi o a controllare su internet o in biblioteca (aaaahhhh, quelle horreur [2]!) e non ci siamo assolutamente. Ma non è necessario pensare che sia in atto la prevalenza del cretino, semplicemente basta riflettere sui tempi di vita che abbiamo tutti. Sul tempo spezzettato e distrutto con il quale dobbiamo sopravvivere. 
In questo senso FB e Twitter sono lo strumento ideale - forse l'unico strumento - per non scomparire completamente e sentirsi almeno in parte vivi nel mondo virtuale. 
I blog danno sempre di più l'idea di essere roba da intellettuali, da perdigiorno, da rentiers
Richiedono un pensiero coerente, un ragionamento conseguente, prove o quantomeno fonti. Vuoi mettere con «Oggi è un giorno no. Non scrivetemi (:-z)». 
Il moderno sistema finanziario-industriale ci concede la possibilità di leggere banalità su FB e su Twitter. 
Tutti pronti? 
Applausi.   


21.10.14

Raccontare il nemico



Sto leggendo con una certa ansietà le novità via via presentate dal nostro grande Re-Renzi e, detto con tutta onestà, non ho ancora stabilito in via definitiva se vuole prenderci tutti quanti per i fondelli - compreso se stesso - o meno. In ogni caso comincio a provare una netta intolleranza per un tizio che cerca di rivenderti i tuoi soldi (il TFR), li tassa, ti obbliga a barattare il domani con l'oggi ma non rinuncia a vantarsi per aver trovato una soluzione alla deflazione. È un tipo con una mentalità totalitaria, il nostro Renzi, uno che non sopporta di essere contraddetto. È un eroe da film americano, di quelli che sono disposti a tutto pur di vincere. O forse è soltanto un balordo piendisé e pericoloso. Chi sa dirlo? È un lupo di Wall Street che ci pentiremo prima o poi di aver seguito o un Napoleone IV che avanza sui resti del defunto PCI reale? E Cuperlo cos'è, un maggiordomo rimasto senza lavoro, un losco sicofante al soldo dei rottamandi o un eroe socialista incompreso? E Civati?
In ogni caso io, votante x SEL, sto con Civati. 
Come ai tempi delle primarie.
Punto. 
Sicuro di perdere, come sempre, ma a noi Rônin scuce un baffo di vincere. 

L'ISIS. Ecco un altro nemico - più serio, anche se non più pericoloso [*] - da raccontare. 
Sto continuando a scrivere (lentamente) e sto collezionando articoli in italiano e in inglese, cercando in qualche modo di mettermi nei panni dell'ex-cameriere di un Pub di Birmingham divenuto un soldato della Jihad.
Non è per nulla facile, davvero. 
Il "nemico" nel mio caso è un genere di individuo dalla fede certa e incrollabile, pronto a sacrificarsi nel nome del proprio credo e altrettanto pronto a sacrificare gli impuri, i tiepidi, gli incerti, i blasfemi, gli irrecuperabili, gli sconfitti, i traditori e i nemici. E le donne, ovviamente. Ma su questo aspetto ritorneremo. 
Al centro del fenomeno "jihadista" c'è un colossale problema di Padre. Non in senso banalmente freudiano, ma come rapporti interni all'organizzazione, all'interno di una scala di potere legittimata dallo scopo santo dell'impresa. Chi all'interno della struttura è un passo avanti al nostro giovane ex-cameriere di pub - ma anche ex-lavoratore in un call center o ex-piazzista di prodotti inutili - si trova a disporre di un potere assoluto su di lui, determinando la possibilità di promuoverlo a guerriero della Jihad o di lasciarlo ancora nella penombra di coloro che non sono stati scelti. Sceglierlo - anche per una missione suicida - significa fissare definitivamente il suo posto all'interno della santa impresa, accettarlo come figlio e come proprio pari. Il grosso degli uomini dell'ISIS sono soggetti relativamente "normali", spesso provenienti dagli strati più bassi della società e come tali disponibili ai gesti meno nobili - stupri, furti, assassinii - e di valore limitato da un punto di vista militare, come dimostra l'assedio finora senza esito della città di Kobane, ma accanto a loro combattono i membri "stranieri" dell'ISIS, provenienti dall'Occidente e gli "intellettuali" locali, individui più raffinati, cinici quando è necessario e i più convinti di partecipare a un'impresa che ha come primo obiettivo le potenze politiche locali. Una struttura perfettamente tripartita, formata da un vertice intellettuale in grado di interagire con le strutture mediali occidentali creando "terrore" in senso proprio, un grado intermedio formato da volontari provenienti dal primo mondo e disponibili anche alle missioni più pericolose e una vasta base di individui provenienti da ambiti locali, un esercito obbediente anche se non efficientissimo.
Le donne "volontarie" dell'ISIS si trovano a essere tra i delusi provenienti dall'Occidente, alla ricerca di un'identità nel gruppo ma necessariamente, com'è stato a suo tempo per le SS Gefolge, i reparti ausiliari femminili delle SS, bloccate nel grado intermedio senza poter aspirare ai vertici. 
Le donne, nella caricatura del mondo musulmano creata dall'ISIS, sono in ultima analisi creature demoniache, coloro che possono dannare i guerrieri, distogliendoli dalla loro missione. Come per i cristiani fondamentalisti le donne sono semplici "ampolle del seme", la loro anima è dubbia e la loro perfidia certa: 

Non concedo a nessuna donna di insegnare, né di dettare legge all'uomo; piuttosto se ne stia in atteggiamento tranquillo. Perché prima è stato formato Adamo e poi Eva; e non fu Adamo ad essere ingannato, ma fu la donna che, ingannata, si rese colpevole di trasgressione. Essa potrà essere salvata partorendo figli, a condizione di perseverare nella fede, nella carità e nella santificazione, con modestia. (Nuovo testamento, Timoteo 2.12, in Marco) 

La somiglianza tra il cristianesimo storico il pensiero musulmano sono molte di più di quanto ci piaccia ammettere... E da un felice incontro tra queste due religioni del Libro - oltre che dallo storico odio verso le donne - posso procedere con il mio racconto.

   
  
[*] Non ho ancora stabilito se è più pericoloso chi ti porta via la vita o chi ti sottrae il futuro. Per me continuano a rimanere più pericolosi i secondi, ma sto cercando di diventare un Renzista-merkelista anch'io.

16.10.14

Ebola variations


La diffusione crescente dell'Ebola sta diventando un problema sempre più prossimo. Texas, Spagna, Germania... i virus non si fermano sulle frontiere e non rispettano né le nazionalità né la ricchezza relativa.
Ed è questo un elemento che sarebbe stato utile ricordare in altri tempi, quando, cioé un immunologo italiano - Antonio Lanzavecchia - riuscì nel 2007 a isolare gli anticorpi anti-ebola di soggetti che avevano superato la malattia ma non riuscì a trovare fondi sufficienti per continuare le ricerche. Il motivo? Si può soltanto supporre che si sia rivelato difficile o impossibile ottenere finanziamenti dalle grandi case farmaceutiche, dal momento che i neri dell'Africa Occidentale non sono buoni clienti.
L'Ebola fa parte di una famiglia, i Filoviridae, relativamente nuova in virologia. Tanto nuovi [*] che ha goduto un certo successo una voce non confermata che rendeva Ebola il risultato  di inconfessabili esercizi di guerra batteriologica mai ammessi. In realtà, ed è questo un elemento particolarmente sinistro, l'Ebola è troppo veloce nel colpire e uccidere da risultare una buona arma batteriologica, dal momento che il tempo del contagio è troppo breve e il virus potrebbe spazzare via l'intera popolazione di un villaggio prima di allargarsi ad altre comunità umane. Ebola risulta endemico presso alcune popolazioni animali africane (gorilla di montagna, pipistrelli) dai quali l'uomo fu a suo tempo contagiato. 

Ora Ebola minaccia l'occidente civilizzato con grande soddisfazione, immagino, delle major farmaceutiche che finalmente potranno contare su incassi elevati e sicuri. Ovviamente sarà necessario un minimo di tempo per giungere a una cura e altrettanto per arrivare a una possibile vaccinazione. Il che, se permettete, fa un pochino alterare pensando a tutto il tempo passato tra il 2007 e il 2014 senza che si sia messo a punto perlomeno un siero contro il virus.
Ma con la paura in Occidente cresce anche il sospetto, il rifiuto, l'ostilità contro gli immigrati, soprattutto se di colore. Poco e mal informati i cittadini europei - e soprattutto coloro che vivono in faccia all'Africa - sono anche vittime ideali e spesso inconsapevoli complici della politica di estrema destra, pronta a  rappresentare l'ignoranza e il malanimo di un popolino incapace di informarsi e di distinguere le vere notizie dalle voci, dai miti e dalle pure e semplici bugie.
Mi auguro che sia trovato presto un rimedio contro l'Ebola, anche perché l'Italia, come la Grecia o la Spagna, rischia non poco in termini di ordine pubblico e di civiltà.
Ma i politici dell'Occidente "civilizzato" sono colpevoli di questa colpevole indifferenza, che ha condannato a morte migliaia di persone nell'Africa Occidentale e che ora mette a rischio la vita e la convivenza civile in Europa e negli Stati Uniti.
Adeguarsi bovinamente alle esigenze delle multinazionali del farmaco può rivelarsi letale, in certe circostanze. Il guaio è che non lo è tanto per i portavoce di una politica sanitaria mirata innanzitutto alla massima soddisfazione degli azionisti [**], ma lo è soprattutto per coloro che dovranno difendersi da una pandemia ad elevata morbilità.

 
[*] Tanto è vero che sul mio libro di virologia, edito negli anni '70, Ebola aveva più o meno una nota a pié di pagina.
[**] È il caso di ricordare tutte le epidemie favoleggiate negli ultimi anni e la quantità di farmaci e di vaccini sostanzialmente inutili ma generosamente acquistati dai nostri governi e da quelli europei?

13.10.14

Cronaca di un'infinita decadenza: il libro in Italia



Il mercato del libro nostrano infatti si restringe sempre di più, inesorabilmente: nel 2013 gli italiani che leggono almeno un libro l’anno sono scesi ancora, -6,1% ovvero 1,6 milioni di lettori che hanno abbandonato i libri per un anno intero, compreso bambini (-7,4% nella fascia fra 6 e 14 anni), donne (-4,7%), forti lettori da più di 12 libri l’anno (-10,3%).

Il libro ci sta lasciando. 
Questi dati, pubblicati dal sito Bibliocartina.it al quale vi rimando per ulteriori dati, sono stati distribuiti in occasione dell'inizio della Fiera del Libro di Francoforte e ci forniscono un dato non solo pesante e negativo, ma soprattutto inserito in una tendenza che non sembra voler terminare.
Avevo già parlato a gennaio di quest'anno in questo post della situazione pietosa della lettura in Italia e non mi sembra il caso di tornarci su. Può essere interessante, comunque, notare che la posizione in classifica del rapporto con i libri in Italia ha avuto un cambiamento. Da terzultima in Europa l'Italia si piazza ora in penultima posizione, subito prima della Grecia. 
Ringraziate l'allenatore. 

...
Ma la domanda davvero interessante è: dove sono finiti i forti lettori? Perché non comprano più libri?
C'è un problema di crisi, innanzitutto, che è sotto gli occhi di tutti. Ma attenzione, la domanda fatta dall'ISTAT riguarda il numero dei libri letti, non il numero dei libri acquistati [*]. 
Ohibò.
Ecco che da un problema tipicamente economico ci spostiamo a un problema di tipo culturale e - perché no - esistenziale. 
In Italia, a quanto pare, poco meno di un milione di lettori ha rinunciato di brutto a leggere, riducendo nettamente il numero di libri letti/anno. Il che, lo ammetterete, è piuttosto strano. Ma se diamo un'occhiata alle statistiche ci accorgiamo di un aspetto delle statistiche che non è immediatamente evidente.
Nella categoria dei forti lettori, infatti, le performance peggiori, ovvero con un dato in netta diminuzione, sono state a carico delle fasce di età comprese tra i 20 e i 44 anni.
In sostanza emerge che i forti lettori sono sempre meno nella quota più attiva della società, ovvero tra i 20-40enni.
Ed ecco che un dubbio mi coglie.  
Un altro articolo mi ritorna in mente. 

Nel quinquennio c2008-2012 nel sud si sono persi oltre 500mila posti di lavoro, un numero che mostra in maniera evidente come per un giovane del sud rimanere nel proprio paese di nascita significhi non avere prospettive di lavoro.

L'articolo proviene dalla rivista on line ArticoloTrentasei. Praticamente questo significa che sempre più giovani ad elevato profilo professionale e di buona cultura tende ad abbandonare il nostro paese e a trovare un lavoro al Nord o decisamente in un altro paese. 
Guarda caso, infatti, se andate a rileggervi i dati contenuti nell'articolo prima citato scoprirete che gli editori italiani stanno tentando di inseguire i nostri connazionali fuggiti all'estero. 
Quindi in apparenza sarebbe sufficiente mettere in connessione i dati relativi alla caduta dei lettori nell'età compresa tra i 20 e i 44 anni e la fuga all'estero per ritrovare - almeno in parte - i nostri poveri grandi lettori misteriosamente scomparsi. 
Ovviamente la tendenziale scomparsa dei grandi lettori ha tante altre ragioni, dalla diffusione capillare dei cellulari e al tempo che essi ci portano via, al poco tempo libero disponibile, alla lettura veloce sul PC o sul tablet, alla qualità mooooolto discutibile dell'offerta, alla difficoltà di trovare subito disponibili titoli un po' meno corrivi, fino alla tendenziale scomparsa delle librerie di quartiere o nei piccoli centri [**]. Senza contare le persone che, semplicemente, pur essendo nati qui e vivendo e lavorando qui, hanno smesso di leggere nella nostra lingua.
Fatto si è che la fuga dall'Italia ci sta configurando come un paese non solo più povero ma anche più ignorante.

Voi che cosa ne dite?



[**] ovviamente il dato comprende sia i libri su carta (p-book) che i libri elettronici (e-book)
[*] Su questo tema ritornerò presto. Ho incontrato i miei ex-colleghi librai ai Portici di Carta e non posso fare a meno di confidarmi con voi...

9.10.14

Armi del futuro


Sono tempi bui per il libro, la lettura e le librerie. Una furiosa battaglia oppone gli editori tradizionali all'Amazon di Jeff Bezos mentre il numero dei lettori in Italia continua a diminuire. Soprattutto dei forti lettori. Vi sono incontri, valutazioni, riflessioni, si tentano di creano reti di librerie ma la situazione continua a rimanere preoccupante. E gli e-book a quanto pare non sembrano aggiustare la situazione...
Ma di questo parlerò la prossima volta. Oggi è tardi, sono stanco e ho altro per la testa. Sicché la mia modesta valutazione della situazione andrà in onda non appena avrò messo insieme dati a sufficienza. Il che, conoscendomi, può essere pericoloso, ma spero di fermarmi a tempo.
...
Quello che ho per la testa è una lussuosa sciocchezza, ovvero come raccontare uno scontro a fuoco in un lontano momento del futuro, su un pianeta inventato, ovvero uno degli strani compiti con cui chi scrive sf si trova a fare i conti. 
Può divertire molto chi non legge o non ama la fantascienza, ma resta il fatto che raccontare le armi, l'organizzazione militare, la tattica e la strategia in tempi che non sono i nostri ma che dai nostri derivano è una fatica immane. Si può passare un intero pomeriggio a spulciare articoli e studi per scrivere un paio di righe in tutto. 
«Ma chettifrega, metti un paio di pistole a raggi o di disintegratori e Zot! Uiiii! Kapow!»


In effetti è il sistema che veniva usato in altri tempi, ai tempi del futuro anteriore ma dubito che oggi funzionerebbe. Il rapporto tra l'industria degli armamenti e la società civile è un rapporto marxianamente dialettico, il che significa dal tipo di armi è possibile desumere l'organizzazione militare, il suo scopo, la sua funzione fino alla struttura stessa della stato. Non sto esagerando: riuscite a immaginare una battaglia di Waterloo con divise multicolori e numerosa cavalleria combattuta a colpi di mitra o una battaglia di Canne con cannoni e fucili? Il rischio di inserire pistole a raggi o disintegratori è più o meno quello di chi crede sia possibile far combattere ad Agincourt con i kalashnikov al posto dei dei longbow. 
In più c'è il piccolo particolare che cerco di non scrivere una parola senza esserne saldamente convinto, e tutto il resto vien da sé. 
Così sono qui, inchiodato a tentare di ipotizzare armi non solo verosimili, ma verosimili all'interno di un esercito regolare - oltre che nell'ambito di una forza irregolare e di rapido movimento. E devo tener conto che non ci sono solo le armi di serie, ma anche le armi personali, quelle per le quali i soldati di mestiere finiscono per provare un sentimento molto simile all'amore, le armi di sistema o le armi strategiche, ovvero quelle che possono modificare il corso di una guerra, le armi improvvisate utilizzando una tecnica nata per tutt'altro scopo e le armi sorpassate ma tuttora utilizzate.
Ma forse è il caso che faccia una piccola digressione, tanto per discorrere. Io NON sono un fanatico di armi. Mi interessavano da bambino, certo, ma i regali di zii e nonni andavano in tutt'altra direzione - essenzialmente libri e costruzioni, con mia piena soddisfazione - e il mio unico rammarico era quello di essere sempre un soldato semplice disarmato negli eserciti da bambini. La necessità di interessarmi alle armi si è manifestata poco per volta, proprio scrivendo. Quando non era necessario scriverne se non di passata accennavo oscuramente a qualche genere di arma ovviamente sconosciuta a voi (noi?) semplici umani del XXI secolo, inserivo un «fu colpita (la nave)» o «fu colpito (il pirla di turno)» e buonanotte. Senonché i mondi che mi trovavo a raccontare erano talvolta ricchi di imprevisti scontri e cervellotiche minacce e l'ambiente militare, anche se volutamente ridotto al minimo ragionevole, doveva comparire in qualche parte di un racconto o di un romanzo. 



La tecnica dell'allusione era la mia preferita: «io so e tu sai che il personaggio ha un'arma e che la usa, ma non ti farò perder tempo, caro lettore, a dirti la rava e la fava di come funziona e quanti danni fa: pensiamo alle cose serie», che però non è l'approccio giusto dovendo raccontare di guerriglia su un pianeta lontano lontano.
«Sì, ma chi te lo fare?»
Bella domanda. Diciamo che quello che ho da dire in questo momento - dal momento che pagare per leggermi è un privilegio che finora in pochi hanno scelto - mi obbliga a raccontare una storia di guerra. 
Che il racconto della guerra è un classico della letteratura.
Che narrando di guerra e di soldati/e si racconta molto di una società e di un mondo.
Che se non si racconta d'amore si racconta di guerra.
Eros vs. Tanathos.
Eggià.
Ma secondo voi esisteranno mortai a infrasuoni? 




6.10.14

Scuola Holden forever


In un tempo che fu i neo-assessori regionali alla cultura ecc. di ogni regione e comune intervenivano ai convegni, alle presentazioni, agli incontri vantando la propria disponibilità in termini personali e soprattutto istituzionali a sostenere la ogni attività in campo culturale, sportivo, turistico e così via. 
Questo accadeva in un altro evo, ora è normale presentarsi a un incontro tenuto presso Toolbox Coworking - elegante sede di numerose imprese culturali imprevedibilmente sistemata tra alcune fabbriche dismesse - dichiarando che non si ha un centesimo di spendere e invitando i convenuti, giunti da attività culturali che hanno resistito finora in tutta la regione, a «fare impresa» e a smettila di chiedere denari alla regione, che denari, come ormai sanno tutti, non ce n'è più né punti né pochi. E per essere più chiari si aggiunge che Hangar. Re-inventare il futuro è un nuovo progetto di Antonella Parigi, assessore regionale:  

Una giornata a porte aperte con workshop a ritmo continuo per presentare Hangar. Re-inventare il futuro, la nuova piattaforma a regia dell’Assessorato alla Cultura e Turismo della Regione Piemonte rivolta a imprenditori, istituzioni e operatori del settore culturale per sviluppare il loro spirito d’impresa e potenziare la loro capacità progettuale manageriale.

Non male. 
Il nuovo verbo renziano dilaga come i mongoli sulle pianure dell'est, ammettiamolo. 

Io sono stato a lungo, abbastanza a lungo, via, un manager, di quelli che emozionano i nuovi quadri del PD e in quella antica veste non mi sono mai sognato di chiedere una lira o un eurocent alla Regione, cercando di sopravvivere come potevo. Mi è capitato di chiedere qualche soldo a sostegno di imprese culturali - in fondo essendo un libraio poteva persino capitare di «fare cultura» e dover pagare il treno e il pranzo a chi interveniva da un'altra città - ma avendone sempre risposte variabili tra il «no», il «quasi nulla» e il «poco e tra molti mesi». In quanto editore avrete seguito la vicenda degli editori piemontesi e della loro sede e quindi saprete benissimo come funzionava la precedente amministrazione in fatto di soldi. Dopodiché mi potrete dire che un'impresa culturale dovrebbe funzionare anche senza soldi o potrebbe procurarseli da sé e io potrei rispondervi che per andare sicuri basta creare prodotti culturali sul modello di quelli di Rupert Murdoch per non avere bisogno di soldi, anzi procurandosene non pochi. Basta far mostra di un potente cinismo e pensare che la ggggente sia formata da poveri idioti interessati unicamente al gossip, alle tette, ai culi, alle storie truci e agli scherzi stupidi e il gioco è fatto. 
Al Toolbox Coworking, dietro invito della squisita Antonella Parigi, sono andato in compagnia di mia figlia, laurenda in lettere moderne e linguista in erba. La povera fanciulla convinta, come del resto lo era il sottoscritto, che saremmo stati informati delle iniziative previste dal nuovo assessorato negli anni a venire. Non che avessimo troppe speranze, ma d'altro canto per che cosa era cambiata la giunta se non per cambiare il programma? Ne siamo usciti un paio d'ore dopo perplessi e irritati e il commento di mia figlia è stato: «Bene, questo era il programma degli italoforzuti, e il programma della sinistra dove lo presentano?» 
A condire degnamente la presentazione una serie di micropresentazioni con titoli altisonanti del tipo: «Accellerare l'innovazione», a cura di Talent Garden, «Web Stories. Raccontare ecc. internet e i social network» a cura della Scuola Holden, «Capacità imprenditoriale» a cura di Fondazione Fitzcarraldo e «Mindfulness. Come progetto il mio domani» a cura del Circolo dei lettori, micropresentazioni che servivano in pratica soltanto a pubblicizzare i relativi corsi che, come da brochure generosamente offerte: «sono proposti a tariffa agevolata grazie al co-finanziamento dell'Assessorato alla Cultura e Turismo della Regione Piemonte». Il che vuol dire che i pochi soldi della regione vengono spesi per foragg... pardon per sostenere la Scuola Holden, il Circolo dei Lettori e altre tre o quattro società private che, loro sì, hanno capito come si può ancora munger..., no, scusate, farsi finanziare dalla Regione Piemonte. 


Antonella Parigi è stata una dei fondatori della Scuola Holden e qui a Torino ha creato il Circolo dei Lettori. Il che potrà sembrare una combinazione giusto se siete malfidenti. Due strutture, in particolare la prima, estremamente capaci di procurarsi denaro anche e soprattutto dagli enti regionali e locali. Parrebbe quindi abbastanza logico e normale che siano proprio loro a venire a insegnare a noi, poveri e blasfemi servi della gleba, che ci ostiniamo a vivere senza saper fare impresa e ci intestardiamo a correre alla corte del valvassessore chiedendo sostegno per compagnie teatrali di provincia o per una fabbrica di ceramiche d'arte che ha bisogno di essere pubblicizzata. 
Sarà anche logico, ma onestamente io non lo trovo tale. 
A me dà l'idea di una cosa che suona maledettamente come interesse personale in qualche cosa, forse in atti d'ufficio. Ovvero un uso un po' troppo disinvolto delle strutture regionali per favorire qualche amico di vecchia data.
No, non ci siamo proprio. 
E non è il facile miraggio del "fare impresa" a poterci intortare come si deve. Il liberismo allo stato brado alla Ronald Reagan o alla Margaret Thatcher ha già fatto e sta tuttora facendo troppi danni. Il tutto in salsa piemontese, accompagnato dall'aiuto ai "nostri cari amici" è un piatto davvero indigesto. 
A questo punto dubito sinceramente di essere invitato a ulteriori incontri con l'assessorato, ma me ne farò una ragione. Dal canto mio preferisco continuare a sgavazzare con attori di provincia o con bibliotecari dimenticati da dio e dalla regione. 
Magari perfino di sinistra.



2.10.14

Libri e riviste (on line)


Proprio ieri è terminato il mio rapporto di collaborazione con una rivista on line, una discreta rivista con la quale ho collaborato riproponendo una piccola raccolta di articoli a suo tempo apparsi come speciale on line della rivista LN-LibriNuovi, interamente dedicato al Cyberpunk. Una serie di articoli ovviamente datati ma che pensavo e penso possa essere utile per un'introduzione al genere. 
Debbo ammettere che a suo tempo - negli anni '90 - diedi un'importanza eccessiva al fenomeno Cyberpunk. Lo considerai - come capitò a molti - il nuovo della sf in arrivo e apprezzai la scelta di molti autori di sperimentare non soltanto il testo, inventando punti di vista spezzati, incoerenti, parziali e artificiali come la sf degli anni precedenti non aveva sviluppato, ma anche la sua forma, utilizzando raffinatezze stilistiche nuove per la fantascienza. In sostanza sembrava l'anello che mancava nel rapporto tra sf e mainstream.
Ma non sono uscito dalla rivista per questo motivo. Il Cyberpunk era vecchiotto, certo, ma creava ancora un certo interesse, se non altro per la stranezza del tema scelto. Il motivo fondamentale è stato in realtà una lettera inviata dal direttore della rivista ai suoi redattori [*]. In questa lettera il direttore affermava: 1) Che i redattori dovevano scegliere con maggiore attenzione i libri da recensire, scegliendo titoli di maggior richiamo e scartando i titoli meno seguiti. Stessa regola doveva valere per gli editori, anche qui scartando i piccolissimi editori di scarso richiamo. 2) Che doveva cessare l'abitudine dei redattori di recensire libri pubblicati o autopubblicati dai redattori stessi. 
Ohibò.
Cose in apparenza sacrosante, ma, a mio parere, tali soltanto in apparenza. 


Ma facciamo un passo indietro. 
LN-LibriNuovi ha chiuso come rivista cartacea nel 2011, dopo 14 anni di vita, più di cinquanta numeri, undici numeri di Fata Morgana e tre speciali. Una montagna di carta che mi occupa un'intero piano di uno scaffale. Di LN-LibriNuovi sono stato co-coordinatore per altrettanto tempo ma non ho mai ritenuto di dover dettare norme di comportamento ai redattori. Nè ho mai ritenuto di dover proporre alcuni libri invece che altri. Se proprio ritenevo fondamentale - e col senno di poi direi che spesso erano semplice fregole poco motivate - che qualcuno recensisse il tal libro e nessuno sembrava preoccuparsi dei miei appelli, provvedevo di persona dopo un ultimo tentativo con l'altro co-coordinatore. Il motivo fondamentale di questo comportamento non era la bontà [**] ma la semplice constatazione che chi lavorava per LN lo faceva per il piacere di farlo, senza percepire alcuna mercede [***]. 
Ecco il motivo fondamentale per il quale trovavo quantomeno discutibile l'ukase emesso dal diretùr. Oltre a far rischiare alla rivista l'appiattimento al seguito dei grandi editori (il 10% dei titoli pubblicati è pubblicato da sei gruppi editoriali che in questo modo recuperano il 90% del fatturato del settore... e il 99% delle recensioni), non riteneva di voler recensire saggi, riduceva a poca cosa la presenza dei piccoli editori, non sembrava riconoscere la novità degli e-book e cancellava la possibilità per i redattori di apparire nella rivista per la quale lavoravano (gratis).
Ho commesso l'errore di far educatamente notare il mio punto di vista e dopo una discussione nemmeno troppo animata e passabilmente educata su FB ho preso i miei quattro stracci e me ne sono andato. Non ho sbattuto la porta ma, come avrebbe detto Gaber «non ero di buon umore».
Ma qual è la funzione di una rivista indipendente on line?
Ultimamente sto leggendo L'ingenuità della rete, di Evgeni Morozov, un saggio del 2012 edito da Codice. Diciamo che un libro di quel genere fa nascere non poche perplessità sul mondo della rete. Il problema è in poche parole questo: se vuoi che la tua rivista abbia un futuro puoi puntare sull'estrema specializzazione - mi occupo di filatelia dell'Italia pre-risorgimentale e scarico la rivista perché è l'unica che se ne occupi - o sulla massima esposizione, scrivendo recensioni sui libri che la gente legge e discute. E così facendo ti adatti a leggere e recensire anche 50 sfumature di bordò o l'oroscopo di Branko. In fondo quelli sono i libri che la gggente legge.
Il numero di passaggi scegliendo la seconda possibilità è assolutamente vitale. Più passaggi significa più movimento, più notorietà, la possibilità di inserire pubblicità, di lavorare (pagato) anche per altre testate e di ricevere a Natale gli auguri di Marina Berlusconi. 
Il che è come dire che on line riesci a essere visibile unicamente se ti allinei con i grandi gruppi.


Può sembrare un'esagerazione ma non lo è. Semplicemente una volta stabilito che l'unica legge che conta è quella dettata dai grandi gruppi editoriali allinearsi completamente è un semplice problema di tempo. 
E facendo bene il mio lavoro ne sarò compensato. 
Se, viceversa, ritengo di voler continuare a girare nei bassifondi in compagnia di autori autopubblicati ed editori con le suole sfondate non ne otterrò nulla. Al massimo un minimo di buon ricordo. 
«Sto lavorando duro per preparare il mio prossimo errore» ha detto Bertolt Brecht e temo che questa frase sia diventata il mio motto. Ho lavorato in una libreria di qualità, scrivo libri poco letti, ho tenuto in piedi una rivista poco allineata... non male. Ma alla mia età non devo più preoccuparmi del mio futuro. Mi dedicherò ai piccoli editori e agli scrittori scrausi.  È un lavoro duro ma qualcuno deve pur farlo.
E tanti auguri alla rivista con cui non collaboro più.


[*] è piuttosto comico utilizzare lo stesso linguaggio sia per il Corriere della Sera che per una rivista on line nella quale nessuno percepisce un eurocent, ma è comunque corretto e il dizionario lo permette. 
[**] Non sono buono, non lo sono mai stato. Da piccolo scambiavo lo zucchero col sale, giravo le candeline  a testa in giù nella torta, bruciavo formiche nel portacenere di mio padre e rubavo figurine ai bambini subnormali. E mi fermo qui giusto perché non mi viene in mente altro. 
[***] LN-LibriNuovi è stato in attivo per molti anni. Niente di stupendo ma comunque in attivo. Aveva un proprio bilancio separato da quello della libreria. Non lo dico per vantarmene ma semplicemente come dato di fatto e come dimostrazione che si poteva sopravvivere anche, tra l'altro, con una rubrica di poesia, una di storia contemporanea e una di fantascienza.