30.5.13

Lo scorrere del tempo in narrativa


Domani pomeriggio, alle 18.30, Franco Pezzini mi ha incastrato a parlare del tempo nella narrativa - e particolarmente nella narrativa fantastica - nel corso delle sue lezioni nella Libera Università dell'Immaginario. A fare coppia con me sarà il buon Alessandro Defilippi, scrittore "serio" (nel senso di pagato) chiamato a discutere di personaggi come Van Helsing e il dottor Seward.
Ovviamente sono contento di essere stato interpellato e di poter presentare al pubblico un elemento nascosto ma essenziale in narrativa come l'organizzazione dei tempi e del tempo nella scrittura. Un pochino meno contento nel rendermi conto (con orrore) che provare a fare un discorso ragionevole sul tema va mooooolto oltre le mie personali capacità. L'unica possibilità è aprire il discorso qui, sul mio blog, giungendo a mettere in evidenza alcuni aspetti della percezione e della misura del tempo in narrativa. 
Piccola nota a margine: il mio intervento in quanto "cultore del Tempo" è una diretta conseguenza del titolo della mia antologia, In controtempo, dove ho giocato tra passato, presente/presenti e futuri irraggiungibili vari ma senza mai fermarmi a riflettere sul percorso compiuto... Ben mi sta.
Allora, il tempo...
... La narrativa, TUTTA, ha sempre giocato sul conflitto tra tempo reale e tempo percepito. Come mi è capitato di scrivere: 

Le domeniche pomeriggio di Malinconico Blues, grigiastre, umidicce ed eterne, formano tuttavia la base concettuale della teoria del «Tempo Prolungato Soggettivo», il ben noto fenomeno per il quale, quando la festa si affloscia, qualunque orologio osservato e riosservato dopo l'intervallo di un'ora, afferma spudoratamente che sono passati solo 5 minuti o anche meno. (Da Calibano, capitolo 4)


Il tempo percepito ha un andamento molto diverso dal tempo regolarmente scandito da un orologio. Come si rende conto anche Malinconico Blues, personaggio di una mia space opera delirante, il tempo percepito può trasformarsi in una tortura. 
O in una beatitudine. 
Tutti probabilmente conserviamo il ricordo di una giornata perfettamente felice e abbiamo spesso la sensazione che il suo peso nella nostra vita sia maggiore di tutti i giorni anonimi scivolati via senza un ricordo. I giorni belli sono pochi, gli altri sono d'imbottitura, diceva Karl Krauss. 
Anche scrivere, provare a costruire una scena o una vicenda, ci obbliga ad accorciare certi tempi e a prolungarne altri. Ad annullare il correre del tempo o a procedere "a salti" cancellando lunghi momenti di vita dei nostri personaggi. Nulla di strano, in questo. Anche il realismo più scrupoloso è costretto a lavorare sul tempo per non rischiare di suscitare un'insopportabile noia. La scelta di raccontare i momenti più minuti e irrilevanti di una vita, di un momento, di un mattino o di una sera ha la funzione - in letteratura o nel cinema - di creare tensione o straniamento, di indurci a raddoppiare l'attenzione.  Nelle scene d'azione – e qui il cinema ha finito per "copiare" la narrativa – certi movimenti risultano rallentati, quasi statuari (slow motion) con il risultato, nelle scene meno riuscite, di risultare stucchevoli o ridicoli. 
Nella narrativa fantastica - nella buona narrativa fantastica - uno dei primi elementi a comparire è la nascita di un "controtempo", ovvero un procedere del tempo in forma anticronologica o un dilatarsi del tempo sino all'immobilità. Gli esempi in proposito non mancano, basterà ricordare gli Dei di Lovecraft che "dormono da millenni, sognando" o i fantasmi della tradizione, inchiodati a ripetere lo stesso terrificante canovaccio all'apparire di ogni nuovo inquilino. O racconti come "Hunati" di Edmund Hamilton, con l'ingresso in narrativa del tempo vegetale, o il tempo terminale di James Ballard o il tempo invertito di Richard Matheson (Tre millimetri al giorno) e di P.K.Dick (In senso inverso), il tempo immobile di Samuel Delany o l'eterno presente di John Harrison... 

Vedi ho smesso di respirare ma non sono morto. Ho smesso di mangiare, di bere e non sono morto. Sto qui, il tempo mi ha dimenticato. (Da Morire in Africa


Il riferimento, in questo caso, è a un mio testo.  
Il protagonista del racconto non riesce a morire. La sua personale morte ha contagiato la realtà che lo circonda, inchiodando il sole in un tramonto interminabile. 
Ma il "controtempo" può funzionare anche come tempo narrativo rovesciato, come perturbazione, diabolica anomalia, come nel Dracula di Bram Stoker. Il vampiro che ringiovanisce succhiando il sangue e la vita ai mortali è una potente metafora della sua potente, insondabile alterità. Ed è questo elemento dell'anticronologia uno degli aspetti che il nuovi "dracula per fighetti" sembrano aver completamente cancellato, eliminando in questo modo anche l'aspetto profondamente mistico del vampiro. Dracula non muore e il suo tempo – e il suo Dio – non esistono. Il suo ringiovanire è un sottoinsieme del suo rapporto profondamente alterato con il tempo dei mortali, una falsa conseguenza puramente esteriore. Dracula non ringiovanisce, piuttosto riassume le sue sembianze reali (in alternativa, bisognerebbe postulare che – a forza di ringiovanire – potrebbe indossare i panni di un bimbo o di un infante) e lancia la sua sfida al nostro tempo, alla nostra mortalità. 
Dracula come Prometeo? Dracula come un ultraumano, finalmente libero dal peggiore dei nostri legami, la morte?
Che Dracula sia insieme uno dei personaggi più terrificanti e più suggestivi che la narrativa ci ha regalato e che – diversamente da altri personaggi "negativi" della tradizione letteraria – spesso la sua immagine si sia prestata a interpretazioni "positive" non è affatto strano o curioso. Molti di noi si sono chiesti come sarebbe stata una vita da immortali come quella di Dracula... Ma l'altra faccia dell'immortalità è, secondo Stoker, l'assoluta amoralità. 
Atemporalità, immortalità, amoralità, queste le tre caratteristiche fondamentali del vampiro. E, d'altro canto, che cosa possono valere mai le nostre modeste morali umane in rapporto a un semidio? 
Ed è qui che emerge il legame profondo tra cronologia e morale. La seconda, come conseguenza della prima. In fondo è ben vero che la  narrativa fantastica è una narrativa immorale o amorale. Una narrativa che ci consente di giocare molto oltre i nostri limiti. 
Ed è questo a renderla davvero preziosa...  





28.5.13

Imprevisti

Era un periodo particolarmente ricco di lavoro.
Carico di cose e cosucce da fare, terminare, iniziare e ultimare. Di impegni presi e di compiti da onorare.
Proprio in un momento simile doveva capitarmi una cosa del genere...


Una gatta, anzi una gattina di due mesi (quella che tiene tra le zampe anteriori è una trenetta e la foto è stata scattata sotto il mobile del tinello). Non che io sia del tutto incolpevole della situazione venutasi a creare, sia chiaro. Con mia figlia progettavamo da qualche mese di procurarci un gattino per semplice desiderio di compiacere il nostro personale culto catofilo, ma si sa che tra il desiderio di peccare e il piacere di farlo passa sempre molto tempo. Invece, solo qualche settimana fa salta fuori un amico di mia figlia che possiede una gatta che si è abbandonata ad amori illeciti con un maschio di passaggio, mettendo al mondo la bellezza di sei micetti. Il che dimostra che non si è trattato di violenza carnale [1] ma di genuina passione. 
Da quel momento la cosa ha proceduto con terrificante velocità. Dalla scelta della gattina preferita da una foto della nidiata, alla necessità di informarsi sulla possibile reazione di un cane adulto di anni due all'arrivo di una piccolina non della propria specie, ai turbamenti in termini di gelosie e possessività, alla banale necessità di creare un piccolo spazio per la piccola in arrivo, al trasportino, al veterinario, a tutte le necessità più o meno stravaganti che possono venire in mente parlando di un membro minuscolissimo della specie felis cato. 
Sotto il termosifone del tinello, life size
 
Ulteriore problema, messo in bilancio soltanto in maniera facilona, era l'accoglienza di mia moglie, finalmente sazia della compagnia del buon cane Mirra e non troppo desiderosa di ricominciare la pratica dell'apprendistato alla vita sociale di un nuovo elemento felino. 
Compito di suscitare il desiderio fu mio - mia figlia è abilissima nell'evitare le grane. In qualche modo riuscii nel compito affidatomi, promettendo, come la Germania dopo la Prima Guerra mondiale, una quantità eccessiva di favori, obblighi e corvées. E spergiurando che il cane avrebbe accolto meravigliosamente la piccola. 
Il gattino è arrivato la scorsa domenica, pomeriggio. L'accoglienza mia e di mia figlia è stata educatamente fredda: non volevamo che il cane si sentisse trascurato. 


Quella di mia moglie è stata scandalosamente allegra e felice, come se il gatto l'avesse scelto lei. Normale, da un certo punto di vista. Quanto al cane la sua prima reazione è stata di evidente gelosia. Non appena qualcuno di famiglia accennava ad accarezzare la piccola il cane ringhiava e cacciava il muso sotto il naso del poveretto, a quel punto tenuto ad accarezzarlo. Quanto al gattino, nonostante pesasse meno di un decimo del cane, non mancava di soffiare e "fare la gobba" non appena Mirra si avvicinava a meno di un metro. Ogni volta che si cercava di rifocillare la piccola era necessario nutrire anche il cane. Ogni volta che il cane si avvicinava all'angolino della piccola Isidora (nome scelto da Morgana) veniva distolto dalle sue losche intenzioni con l'offerta di un succulento biscotto e così via. 
Domenica sera eravamo già pronti a un periodo di guerra, con la casa continuamente sorvegliata per scongiurare vendette e massacri. Lunedì ci siamo dati il cambio, tenendo sottocchio i due individui e sentendoci membri dell'ONU inviati in qualche semisconosciuto paese africano o asiatico dove era in atto uno sterminio etnico. Abbiamo notato che Isidora aveva smesso di soffiare all'apparizione del cane e che Mirra aveva cessato di ringhiare, ma non ci saremmo mai aspettati ciò che abbiamo visto la mattina successiva. 

Isidora nello studio mentre insegue il buon cane Mirra

Pessima foto, ma è sostanzialmente impossibile fotografare un cane e un gatto che giocano.

 Ci siamo resi conto che, in definitiva, soltanto gli esseri umani possono essere tanto pericolosamente criminali da richiedere una sorveglianza costante. 
Mirra e Isidora, no, evidentemente.

[1] Ovviamente la violenza carnale è, a quando dicono gli etologi, una caratteristica dei primati superiori, primo tra tutti la specie Homo Sapiens Sapiens. Tra le altre specie semplicemente non c'è. E se qualcuno ha mai visto una gatta femmina di cattivo umore non avrà nessuna difficoltà a crederci. Quanto al numero dei piccoli è una funzione diretta del numero degli accoppiamenti (anche con diversi maschi).

 



26.5.13

T'sas coa sun' i mau mau?


Perdonate il mio terribile torinese, ma si tratta dei Mau Mau, gruppo originale di Torino, fondato da due metropolitani (Luca Morino e Fabio Barovero) e da un camerunense (Taté Bienvenu Tsongan), divenuto altrettanto metropolitano alla faccia di tutti i Borghezio del mondo, il gruppo preferito da mia figlia da bambina, oltre che uno dei gruppi italiani preferiti anche dal sottoscritto. 
...
Mau Mau, per chi non lo sapesse, è il termine utilizzato nel dialetto di Torino a indicare sia gli italiani di origine meridionale che in generale tutti coloro che provengono dal Sud del mondo. Sottilmente discriminante, ovviamente, ma rigiocato dai Mau Mau in forma parodica e antirazzista. 
Resta il problema della lingua, tutto sommato in larga parte incomprensibile per me, nativo di Brescia e cresciuto in giro per l'Italia, per mia moglie, cresciuta  a Torino ma nativa di Roma e anche per mia figlia, nata in Torino ma allevata da due genitori perfettamente ignoranti della lingua locale...  
Il pezzo che presento è Sauta rebel (Salta ribelle), ma non chiedetemi altre traduzioni...

 

24.5.13

Un viaggio molto, molto lontano



Salve a tutti. 
In questo gelido e assolato week-end me ne vado in montagna. Per piccole grane e per controllare che sia tutto a posto, dal momento che sono almeno tre mesi che non vi ritorno. 
Le comunicazioni in montagna sono quello che sono, quindi dubito di riuscire a postare qualcos'altro. Avrò LN a cui pensare (oddiomio!) e un brano particolare da pubblicare tra sabato sera e domenica mattina e mi auguro di farcela. 
Vi lascio in compagnia di un mio racconto tratto da ALIA 2, ormai esaurita. Un brano relativamente breve - non più di una dozzina di pagine - che pubblico su Scribd e non direttamente sul blog perché rimanga disponibile e rintracciabile più a lungo. 
«E perchè mai?»
Perché mi piace, il che non è poco. E poi perché Raven-Divu ed Hector Moresco, i protagonisti di questa storia curiosa, sono due tipi umani (geneticamente un po' meno umano il primo e decisamente più umano il secondo) che mi hanno accompagnato in questi anni. La mia personale speranza è di essere molto più simile a Raven-Divu che a Moresco. Se leggerete la storia capirete perché. 
Quanto al posto assurdo dove sono finiti, trovo che sia, tutto sommato, terrorizzante. Ma gli esseri umani, lo sanno tutti, sono strani.
Per leggerlo vi basterà cliccare QUI.  


21.5.13

La malinconia del Salone

Lo so, hanno scritto del grande afflusso, delle migliaia e migliaia di persone che hanno affollato il tre scatoloni grigi del Lingotto, di un 20% e più di incremento... Lo so, lo so. Io sono un triste dubitatore, un freddo calcolatore, un gelido contatore, ma sinceramente ho più che qualche dubbio sulle cifre presentate. Il Salone del Libro esiste dal 1988, è partito con 550 espositori e poco più di centomila visitatori ed è arrivato nella seconda decade del XIX secolo a circa trecentomila visitatori, con un trend oscillante tra i 305.000 e i 315.000 e più o meno 1500 espositori. Affermare, come hanno scritto in molti, che l'aumento dei visitatori sarebbe stato di un 20% è come dire che sarebbero stati circa 60.000 in più i visitatori. Un numero abbastanza delirante, diciamo la verità. 





Non che siano mancate, le code, ma nulla di straordinario, in questo. Io sono stato al Salone tutti i giorni che Dio manda in terra ma non ho mai avuto la sensazione di un accrocchiarsi maggiore di altre edizioni - in questo anche per il minor numero di espositori, con spazi liberi imprevisti e in realtà poco beneauguranti. Insomma, intorno ai 300.000 ci siamo, molto oltre non credo. Poi potete anche mettere a confronto la mia pochezza con i titoli dei giornali e ridere di me, ma io rimango dello stesso parere.[1]
E poi ci sarebbero anche gli incassi, per definire l'andamento del Salone. E qui le cifre latitano. I grandi editori ovviamente cantano vittoria, ma mi sarei stupito del contrario. I piccoli editori non si sa, dal momento che nessuno glielo chiede. 
Personalmente, in quanto lillipuziano editore, non posso lamentarmi. Ho portato al Salone libri usciti da almeno un anno - quindi non-novità - e ne sono uscito onorevolmente, anche se ho dovuto organizzare quattro-presentazioni-quattro per movimentare un pochino le cose. Con un paio animate dalla ripresa video che presto uscirà, qui, sul sito di LN e su quello di ALIA. Che poi non è che le presentazioni servissero davvero a vendere di più, se non marginalissimamente, ma sono servite a motivare gli autori e a incontrarli. ALIA è un buon esempio, da questo punto di vista, ma ne parlerò nel blog ALIA Evo. 

Qui l'eroica Silvia Treves in attesa dell'autore per iniziare una delle presentazioni

La sensazione personale, di coatto che vagava per il Salone nei momenti di relax, non è stata esattamente gaia [2]. Editori - medi e piccoli - che promettevano sconti più o meno fin dal primo giorno, poche novità e rivolte a un possibile o probabile Grande Pubblico, nel tentativo di raggranellare qualche eurino, presentazioni all'Incubatoio meno affollate, un movimento rallentato - con la felice eccezione dello stand di Bao, dove l'autore di Zero Calcare firmava le sue copie -, in generale una sensazione di malinconia sul tipo: «Sì, siamo qui, ma non ci speriamo troppo».  
Nulla di strano, in fondo. Da un'anno che minaccia di essere tra i meno vitali della storia recente dell'Italia non mi sarei aspettato molto di più. Anche se, come cerco di ricordarmi sempre, a sperare non si fa peccato. Poi ho qualche motivo di personale soddisfazione in più, qualche movimento personale e collettivo in corso, ma anche una sensazione di malinconia che fatico a togliermi di dosso. Il Salone del Libro ha in qualche modo confermato la sensazione di profonda crisi del libro in Italia. E una volta terminato si ritorna a chiedersi chi leggerà domani, che cosa leggerà, quanto leggerà? Bello ritrovarsi tra affetti della malattia della lettura ma dimenticarsi ciò che accade fuori rimane impossibile. 

A dx, sul bancone, qualche copia del mio libro. Una copia omaggio a chi ne indovina la posizione. No, sul serio
 
[1] Ultimissime nuove: i partecipanti sarebbero stati 340.000, cioé un dieci per cento in più. Un buon risultato, in apparenza, ma poco significativo senza conoscere i dati reali delle vendite. Che comunque non avremo mai.  
[2] Sì, ho anche comprato una decina di libri. Miei personali l'ultimo di Rosa Matteucci, La civiltà dello spettacolo di Mario Vargas Llosa e Lui è tornato di Timur Vermes. Gli altri regali per moglie e figlia. Ma la cosa davvero agghiacciante è che mi sono rimasti ben pochi desideri inappagati. La prima volta che mi succede da quando vado al Salone. Sto invecchiando? 

19.5.13

Le avventure di un redivivo.


ALIA Evo l'ha fatta grossa. 
Ha pubblicato un post senza sentirmi, senza consultarmi, senza chiedermi nulla.
Come se pensasse di essere indipendente.
Non solo, pensa addirittura di ritornare voce e strumento del progetto ALIA. Insomma, come ritrovare un dinosauro ancora vivo, aiutarlo a riprendersi, riabituarlo alla vita in un universo completamente diverso e poi sentirsi dire «grazie di tutto, davvero, ma ora me ne vò».  
Va bene, va bene. Ma tanto del progetto ALIA redivivo se ne parlerà anche qui. In ogni caso, per chi volesse saperne qualcosa in più può sintonizzarsi qui
...
Sbrigata - in senso puramente virtuale - la pratica ALIA, dovrei dire qualcosa del Salone o qualcosa del genere. 
Dovrei presentare un musicista
Dovrei commentare la tragicomica situazione dell'editoria come emerge da un'occhiata rapida a millanta banchetti, a centinaia di colonne, a dozzine di ziggurat. Ci ritornerò, giuro, ma non oggi. 
Dovrei riuscire a mangiare qualcosa, prima di tutto. E poi fuggire. 
Quindi mi limiterò a suggerirvi un tizio abbastanza famoso ma non troppo, abbastanza bravo ma non troppo (ne ho tre CD di livello, a mio parere, discendente), arpista e dannatamente svizzero. Svizzero tedesco. Andreas Vollenweider. Questo è il primo CD. Buon ascolto a tutti.

    
 

17.5.13

Affannosamente dal Salone: un'ALIA on video


Di corsa, tra una presenza e l'altra al Salone, scrivo queste due righe per dire che 1) sono ancora vivo, 2) oggi ci sarà la presentazione di ALIA Storie.
Ieri, con la presentazione di 140 lettere d'amore, meravigliosamente raccontato da Silvia Treves con alcune notevoli letture di Morgana Citi (lo so, è mia figlia, ma quando dico «notevoli» intendo proprio notevoli, mia figlia sa che specie di rompic... sono). Prima dell'incontro ho subito un'intervista da parte di Giulia Madau per conto della sua associazione di sostegno ai giovani artisti. Un'intervista che non ho esattamente subito, ma durante la quale sono stati gli intervistatori a subirmi, nel senso che, letteralmente, sono riusciti a piazzare in tutto un paio di domande e per il resto sono stato io a imperversare come un un Temucin dell'editoria. D'altro canto chiedere a me un parere sullo stato dell'editoria in Italia è come chiedere a Edward Teller il suo parere sulla bomba atomica. 
Quanto alla presentazione del volume di de Alfaro è stata sì intima, nel senso che erano presenti un pugno di amici dell'autore più il sottoscritto e qualche editore piemontese più o meno sfaccendato, ma la presentazione è stata completamente videoripresa e apparirà presto qui e su Youtube. Sempreché Giulia si sia ricordata di togliere il coperchietto dell'obiettivo [1] o che i canti, danze, e birignao contemporaneamente in scena nello stand della Regione Piemonte non siano riusciti a sovrastare completamente le voci di Silvia e Morgana.  



Particolare importantissimo per coloro tra gli autori e simpatizzanti di ALIA sparsi per il patrio stivale [2], anche la presentazione di ALIA, che ci sarà stasera, alle ore 21.00, verrà videoripresa grazie al contributo di Marco Iavarone e di Morgana Citi (sempre tra i piedi, 'sta ragazza) Quindi se tutto funziona come deve dalla prossima settimana potrete assistere alla presentazione e potrete vedere sul sito ALIA Evolution - se proprio ci tenete - una serie di elementi da neurodeliri parlare di un'antologia introvabile accompagnati da musica klezmer [3]. Queste sì che sono soddisfazioni 



[1] Giulia è molto più brava di come appare qui. Ma io sono un rompip..., come si diceva.

[2] I partecipanti all'incontro che dovessero capitare nei dintorni prima dell'ora prevista, sono caldamente invitati a far la parte del pubblico nella presentazione precedente, quella di Salute, geni e cibo di CS_libri. Imparare qualcosa fa sempre bene. 

[3] Non è un'invenzione. Stasera nello spazio della regione Piemonte si esibirà il gruppo di musica Klezmer di Janos Hazur. 

14.5.13

Cose da editore e cose da autore


Sono giorni un po' sommari nei quali, fatalmente, a patirne le conseguenze saranno questo Blog e quello di ALIA Evo. Ho qualche dubbio, infatti, di riuscire a postare qualcosa nei prossimi giorni. Qualcosa di decente e di meditato, perlomeno. Da domani, giorno che sarà impegnato nella consegna dei volumi allo stand e nel dare una mano ai poveretti impegnati nella realizzazione dello spazio espositivo, ai prossimi giorni, tutti impegnati tra la presenza allo stand e la partecipazione e organizzazione degli incontri. 
A questo proposito avevo pensato di creare un post sulle presentazioni previste, ma, dal momento che ne avevo già parlato su ALIA Evo e su LN-LibriNuovi ho stabilito che avevo già rotto abb..., pardon, avevo già informato a sufficienza il pubblico e che potevo anche evitare di fare pubblicità anche qui. 
Il mio lavoro come editore, al quale normalmente dedico in media una mezz'ora al giorno, è in uno dei suoi punti di massima, e da un certo punto di vista non posso nemmeno dire che mi dispiaccia. Ma non chiedetemelo tra qualche giorno, quando i relatori si saranno persi nel Salone, i libri non si venderanno e il pubblico si perderà senza lasciare traccia... 
...
   
Ma come tutti o quasi sanno, io sono anche un autore, cioé uno scrivente. La mia carriera di scrittore mi ha reso finora più o meno mille eurini in quarant'anni e un po' di complimenti - sperabilmente sinceri. Di acchiappare una stroncatura o un commento pesantemente negativo non mi era ancora capitato. Ma mai dire mai. Proprio ieri, sul blog di Iguana Jo, al secolo Giorgio Raffaelli, Iguana ha steso una recensione dove afferma che non ha gradito il mio In controtempo. Le ragioni di Iguana sono ben spiegate nel suo post e quindi non tenterò di riassumerle - rischiando di deformarle - per chi capita qui. Aggiungo di mio che comunque mi sono sembrate critiche fuori bersaglio ma fondate, ovvero basate su dati reali. Non solo, le sue osservazioni mi hanno spinto a meditare sul mio modo di costruire vicende, personaggi e storie e sul narrare in generale. 
«Dovresti ringraziarlo», mormora il mio alter ego. 
Beh, non esageriamo. In fondo ha pubblicamente scritto che leggere il mio libro lo ha lasciato assolutamente indifferente e persino un pelino irritato. Però, però, la discussione nata sul suo blog mi è parsa utile e interessante.  
Ora dovrete avere pazienza e beccarvi una breve tirata sull'argomento narrazione scritta da un genuino Carneade. Chi non fosse interessato può benissimo cambiare canale, io non mi offendo. 
...
Scrivendo si parte da punti di vista anche molto diversi. Si creano personaggi più o meno completi, in funzione al loro ruolo nella vicenda che si sta scrivendo. A Iguana - chiedo scusa, se lo utilizzo in quanto come antagonista virtuale -  è piaciuto uno miei racconti (definito "meraviglioso"), apparso su ALIA Autori Italiani, Leggere al buio, mentre non non sono piaciuti gli otto racconti apparsi su In controtempo
«Otto a uno e palla al centro».
Sì, va bene. Ma la domanda è, che cosa cambia davvero tra i testi indicati? 
Il genere, innanzitutto. Leggere al buio è un racconto di sf sulle 50 cartelle, ideologicamente schierato, lo ammetto, su un tema relativamente "facile", ovvero l'importanza fondamentale del libro nella cultura, nella comunicazione e in democrazia. Nato come finto fantasy, ovvero su un pianeta che si può definire grossolanamente "medievale", si sviluppa poi in una trama fantascientifica, sul modello di altri testi simili, dove una civiltà più avanzata interviene a sostenere - segretamente - una parte su un'altra. Abbastanza classicamente protagonista del racconto è un anziano "lettore", ovvero uno di coloro che conservano la capacità di leggere. Il racconto finisce "bene", ovvero il punto di vista che ho scelto per narrare finisce per prevalere. 
In controtempo ha un paio di racconti più lunghi, Vetro di Seta e Linea di Confine, uno brevissimo, Polvere e gli altri cinque sulle 15-20 cartelle ognuno. In sei di essi il protagonista maschile si trova a superare inconsapevolmente una "linea di confine", spezzando definitivamente il tessuto della propria vita. Negli altri due la protagonista è donna, e in questo caso la frattura avviene ma si rivela liberatoria. Sono racconti non particolarmente allegri, me ne rendo conto, fantastici ma non fantascientifici, a cavallo, come scrive Iguana, tra il fantastico il mainstream. In sostanza racconti su un modello "psicologico", come li definì Vittorio Catani, probabilmente disturbanti, forse irritanti, in ogni caso privi di un lieto fine riconoscibile. I protagonisti (non Le Protagoniste, particolare importante) affrontano la realtà di malumore, reagiscono rabbiosamente alle difficoltà, ignorano o cercano di ignorare i problemi. Li ho creati così volutamente, in un certo senso predefinendo il loro naufragio. Ciò che intendevo raccontare, in sostanza, è proprio il loro fallimento, eliminando in partenza i loro lati migliori. Comincio però, a questo punto, a comprendere il senso della critica di Iguana. Sì, sono personaggi "monchi", narrati in maniera monolitica, afasica, riduttiva perché loro sono afasici, monolitici, riduttivi. Non esplorano il mondo perché ne sono vittime. Perché io le ho volute vittime. 
In sostanza, debbo ammettere che Iguana ha ragione, si sente una forte tensione morale - meglio, etica - nei racconti, una tensione che il lettore non necessariamente è chiamato ad accettare. È possibile che sia stato un tentativo fallito o che narrare storie tanto chiaramente predefinite non sia nelle mie corde, ma se provo a guardare il mondo senza affidarmi alle categorie più usuali è inevitabile che mi appaia come un luogo incomprensibile, minaccioso, distruttivo, caotico. 
Ciò a dire che posso non essere un grande scrittore, ma continuerò a vederlo così, più o meno fino all'ultimo dei miei giorni
Je ne regrette rien.
Quanto a Iguana, che ringrazio per il tempo perduto a leggere un libro che non gli è piaciuto, gli sono comunque grato per avermi aiutato a comprendere qualcosa di me e di ciò che scrivo. Non è davvero una cosa da poco.