29.7.11

Un po' tardi, ma...

Cari tutti
Ho vergognosamente dimenticato di avvisarvi che è (finalmente) uscito il nuovo numero di LN-LibriNuovi, l'11.1. 
Per chi ignorasse anche la sua semplice esistenza - la stragrande maggioranza della popolazione navigante, inutile farmelo notare - dirò che si tratta di una rivista a periodicità trimestrale di recensioni, interventi, contributi, narrazioni, interviste e tutto quello che vi viene in mente in tema di libri, saggi e romanzi. 
A questo punto dovrei spiegare perché mai una rivista trimestrale esce ben sei mesi dopo il numero precedente...
Beh, è un numero doppio. 
Vero, ma questa è stata più una conseguenza che un'intenzione. 
Mancano i denari. 
Ma anche questa non è una novità.
No, il problema è che siamo rimasti in (troppo) pochi a curarne l'edizione, tanto che è fatale che al minimo intoppo la rivista passi in cavalleria. Intendiamoci, non è che manchino gli articoli, i contributi, gli interventi ecc. ma chi, fisicamente, impagina e prepara la rivista, ha da fare altri millanta cose, anche soltanto per sopravvivere (male) come succede di questi tempi a chi vende i libri senza chiamarsi Feltrinelli, FNAC o qualcosa del genere.
Che poi, per quanto ne so, nemmeno F & F, Mondadori ecc. se la passano proprio così bene...
Ma questo è tutto un altro discorso e lo riprenderò proprio qui. 
E riprenderò anche su queste pagine virtuali anche il tema del nuovo LN on line al quale stiamo lavorando da qualche mese. 
Abbiate fede!
Ultima cosa: in questo LN sono contenuti due pregevoli racconti di Davide Mana e di Maz Soumarè e uno mio. Racconto al quale sono irragionevolmente affezionato, sebbene il suo esordio non sia stato per nulla felice, come leggerete nella brevissima prefazione. Sarei contento di ricevere - con comodo, senza fretta - un parere del tutto sincero. Qui o dove preferite. Se merita, in sostanza, la carta sulla quale è stato stampato.
Di seguito, come sempre, l'indice del nuovo numero:

MAPPE

Il cinema tedesco ai tempi di Weimar di Silvia Treves
Quelli dell'infinito crepuscolo di Lorenzo Pompeo
Questa non è la solita crisi a bolle! di Massimo Citi
Chi non conosce la storia è condannato a ripeterla... di Vittorio Catani
Vizi che possono far male di Consolata Lanza
Altruisti? Sì, ma solo per interesse di Silvia Treves
Letture invernali di Massimo Citi
Molto prima della «Milano da bere» di Gordiano Lupi
Cinquant'anni di «Ferito a morte» di Mario Prisco
Due scrittori per un destino di Gordiano Lupi
A scuola di evoluzione dai semi di Silvia Treves
Hammer Show di Franco Pezzini
Letture controvoglia di Cettina Calabrò

ISTANTANEE

Recensioni di Consolata Lanza, Luca Battisti, Davide Mana, Gordiano Lupi,
Sara Cavarero, Silvia Treves...

PAESAGGI

Il ladro di Anime (2) di Davide Mana
Olimpia e il Turco di Massimo Citi
Anima di metallo di Massimo Soumarè

 

P.S. Ultima cosa, importantissima. Se avete sempre ricevuto a casa la rivista e ora invece la vedete latitare, scrivetemi. Abbiamo modificato -  ovvero cambiato programma - del db degli abbonati a non vorremmo mai fosse scomparso il vostro nome... 

 


22.7.11

Another brick in the wall

A tutti quelli a cui interessa... 
E in particolare a un certo Piotr.
Ho pubblicato oggi - anzi l'ha fatto Davide per me - il mio contributo a SBS. 
Detto di passata, ho rifilato il documento al buon Davide senza indicare nessun titolo. Meno male che ci ha pensato lui, e molto bene, debbo dire. 
Che cosa ho scritto per il round robin non lo dirò chiaramente qui. Potete cliccare sul link in alto a sinistra della home page o se siete più pigri di me, qui
«Che esperienza è stata? Come si sente ora?»
No, non penso che qualcuno mi farà questo genere di domande. In ogni caso è stata una buona esperienza. E mi sento splendidamente, ora. A parte un po' di mal di schiena, la stanchezza lavorativa ecc. 
Piccolo particolare al quale non avevo pensato: visto il mio lavoro ho dovuto scrivere in libreria. Un'esperienza che molti giudicherebbero paradisiaca. Beh, non lo è per nulla. E debbo ringraziare di cuore i miei colleghi di non avermi chiamato troppo spesso... «L'hai ordinato il libro della Jimenez?... Ne abbiamo ancora di Nesbo?... Ma che tu sappia l'abbiamo mai avuto un libro di Scapagnini?» 
Queste sono alcune delle domande che mi hanno posto mentre il mio Luciano saliva le scale della villa maledetta... Particolarmente sinistra e inquietante la domanda su Mr. Scapagnini, ex-medico del demente.
In ogni caso vi invito caldamente a visitare SBS. Può darsi che io mi sia bevuto il cervello come gli altri 23 coinvolti, ma mi pare che qualcosa di buono ci sia.
Voi che cosa ne dite?




14.7.11

In arrivo, in ritardo


Come alcuni hanno ormai (abbondantemente) capito, io scrivo.
Scrivo per il gusto di farlo, perché, da un certo punto di vista, non posso farne a meno.
Perché ho letto tanto in vita mia da farmi germogliare dentro il desiderio di farlo anch'io. Perché, probabilmente, ho già dedicato tanto tempo a farlo che smettere adesso mi farebbe provare una sensazione di vuoto intollerabile. 
Si chiama «complesso del Concorde», se avete idea di che cosa vuol dire. Quando qualcuno dedica troppo tempo e troppo denaro a un disegno, fino al punto che continuare a farlo cessa di essere una possibilità per diventare una sorta di fissazione, una malattia mentale sostanzialmente innocua, anche se non priva di controindicazioni. Il meccanismo continua finché l'obiettivo non è raggiunto o... chi costruisce il Concorde lo manda fuori produzione.
Ho provato un certo numero di concorsi, con risultati non eccelsi. Con qualche piccolo successo, ma sicuramente pochi in rapporto allo sforzo profuso. D'altro canto posso chiedermi: «sarebbe andata diversamente, se avessi smesso?». E conosco già la risposta. 
Qualche giorno fa ho saputo che anche l'ultimo concorso al quale ho partecipato è andato «bene». «Bene» nel senso che sono stato tra i primi 10 tra 180 partecipanti, ma il concorso premiava (giustamente) soltanto i primi 5. Uno di quei casi dove si può indifferentemente e contemporaneamente gioire o incazzarsi come lupi. Una strana sensazione, indubbiamente, ma purtroppo non troppo rara per chi scrive da anni e ha partecipato a qualche decina di concorsi.
Ma non sono qui per lamentarmi. Scrivo e le regole del gioco sono queste. Non mi ritengo un fenomeno letterario che qualche oscura potenza sta cercando di sottrarre al piacere delle grandi masse, ma un semplice onesto mestierante che rare volte ha avuto fortuna e in genere ha fatto fiasco. E ripensandoci non mi sembra poi nemmeno troppo strano. Ho sempre scritto ciò che desideravo scrivere, senza preoccuparmi se ciò che componevo poteva piacere o meno. Ho sempre scritto «per me», non per un piacere autistico e un po' snob, ma semplicemente cercando di costruire storie e personaggi che non mi annoiassero. Quando ho iniziato ero ingenuamente convinto che le mie storie fossero «facili» e che potessero davvero piacere a tutti, poi, diventato libraio e raggranellato le prime esperienze di concorsi e case editrici ho capito che no, non ero uno poi tanto facile. Non tanto, credo, per lo stile, quanto per lo sviluppo delle mie storie, per l'assurda fissazione di raccontare personaggi che non fossero del tutto definiti e definibili (come accade nella realtà) e che riuscissero a mutare sotto il naso del lettore, per i troppo frequenti transiti nel gusto - un po' deprimente, lo ammetto - del fallimento e dello scacco, per ciò che mi piacerebbe definire «ansia» di vivere, ovvero la sensazione inafferrabile che qualcosa - un rimorso dimenticato, un desiderio cancellato, un moto di rabbia rimosso - ci impedisca di vivere pienamente la nostra vita anche nei momenti migliori.
Questi erano soltanto i desideri, beninteso. Possibile che non ci sia riuscito. E possibilissimo che di tutta quest'ansia di scrivere si risolva in nulla di fatto. Ma non credo che smetterò di scrivere, comunque. Anche perchè con il tempo ho comunque messo insieme un piccolo gruppo di lettori che non vorrei abbandonare : )
...
Qualche anno, quando mia figlia aveva più o meno una decina d'anni, scrissi per lei una storia. Una storia per bambini, anche se non esattamente «da bambini». Poco più di un centinaio di pagine di un «urban fantasy» molto poco ortodosso.
All'interessata piacque parecchio e ne fui ben contento. In seguito feci un paio di tentativi per «spacciarla» a due grossi editori italiani ma da nessuno dei due ricevetti una risposta purchessia. Normale anche questo, lo so.
Adesso mi chiedo: se mia figlia non è più una bambina e i grandi editori hanno tenuto in spregio la mia povera storia, cosa dovrei farmene?
Riprovare con altri due grossi editori?
Mappercarità. 
Stamparmela per conto mio e (forse) tirare su un centinaio di euro?
Possibile, certo, ma...
Pubblicarla on line e vedere quale accoglienza riceve?
Beh, questa potrebbe essere una possibilità. Una buona possibilità.
Potrebbe essere un piccolo regalo estivo per chi abitualmente mi segue - o almeno così spero. Che sia un regalo, intendo.
Una volta pubblicato on line potrei stamparlo e pubblicarlo in acrobat.pdf in modo che si possa scaricare e leggere anche off-line.
Non mi sembra un'idea così malvagia... Cosa ne dite?


Attendo commenti.
Ma anche scongiuri, contumelie e maledizioni. 
Sono pronto a tutto.


P.S. La storia è intitolata «Coralinda e la gente nera».
Tra i protagonisti: Arlecchino, Aguzza, Elak, Parsiphal, il piccolo Bomber e il tycoon Sgrinfio Katodiko Granbricconi. 






9.7.11

Maturanda / Maturata


In questi ultimi giorni la mia prediletta - e unica - figlia ha affrontato il suo esame di maturità.
Oggi pomeriggio ha saputo l'esito di tanto sbattersi & arrabbattarsi.
85/100.
Non male, non male.
È stato massacrante per lei e pesante anche per mia moglie. Mia moglie, infatti, è un'insegnante e quindi ha dovuto sostenere moralmente la piccola che in alcune occasioni sbandava come un peschereccio con mare forza 5. 
«Piccola» che ovviamente tanto piccola non è, dal momento che ha diciotto anni e passa. 
Ma si sa come sono i genitori... 
Io, comunque, sono stato un semplice rincalzo di valore limitato. Di quelli che riescono ad emergere dalla panchina soltanto quando tutta la squadra ha fatto un'indigestione di cozze. Per niente preparato in matematica, nonostante la frequenza del prestigioso liceo scientifico Galileo Ferraris - non a caso posto di fianco al glorioso Politecnico di Torino - mi sono sono reso utile (la domenica) con qualche veloce ripasso di Storia e Filosofia, qualche aiutino in Scienze e ben poco di più.
Ma anche grazie - o nonostante - il mio aiutino, la puella ce l'ha fatta. 
Sia gloria a lei.
Dal canto mio sono comunque rimasto sinceramente sorpreso dalla quantità di materiali e di nozioni che la disgraziata diciottenne si è digerita nel giro di un paio di mesi. Io ho fatto la mia maturità negli anni '70, più o meno nel pleistocene. E con un regolamento un po' meno allucinante del suo. Portavo due materie - scelte da me - e due affibbiate dalla commissione. Grazie al meccanismo annuale delle maturità era più o meno possibile indovinare le materie che sarebbero uscite e così da gennaio in avanti si potevano tranquillamente ignorare le materie che non erano nel piccolo club e dedicarsi soltanto a quelle che sarebbero «uscite». Nel mio anno uscirono fisica e filosofia. Che cosa portai io, sinceramente, non me lo ricordo. Ricordo un garbato litigio con il commissario di tedesco - uno Junker criptonazista - e una chiacchierata (pseudo)filosofica, ma nulla di più. E ricordo il lavoro del nostro «membro interno», la mia gloriosa e benedetta profia di tedesco. 
Presi 42/60, un modo gentile per non darmi del poveropirla ma quasi. 
Mia figlia ha dovuto sfidare una mezza dozzina di commissari sconosciuti - anche se il buon vecchio facebook/mettilafaccia ha reso un pochino meno oscuri i suddetti - e sostanzialmente TUTTE le materie del suo ultimo anno. 
Da matti. 
Mentre ascoltavo mia figlia che commentava Leopardi o compendiava D'Annunzio o rifletteva Pirandello o osservava Montale o contraddiceva Hegel o scuoteva Sartre mi sono chiesto chi è l'idiota - o il poco informato, via - che sproloquiava sui giovani poco informati, poco interessati, poco intelligenti, dispersivi, casinisti, infantili, drogati, tele- e computer-addicted, alcolisti & qualunquisti. 
Certo, quel genere di commenti era un po' sciocchino ma innocuo, va bene... certo ci sono anche quelli che non studiano (pochini, tra i liceali, temo)... certo si trattava di un purparlé (in piemontese finto-francese), ma komekazzo si fa a parlare così di un mezzo milione di giovani che bene o male si è rotto il k... per un esame che noialtri unzaccoalternativi abbiamo a suo tempo superato senza particolari problemi?

Forse la verità è che noialtri vecchi on-the-road non arriviamo poi da chissaquale splendida e indimenticabile età dell'oro, dove noi eravamo i prediletti della cultura. 
Forse la verità è che la scuola è peggio di una volta, ma non perché i giovani non si impegnano o non ci credono, ma perché si sono tagliati i fondi a sangue e la scuola pubblica - ora come ora - è un posto maledetto dove quattro insegnanti poveri pirla si sbattono (non tutti, va bene, ma molti) perché i giovani non perdano la voglia di studiare, informarsi, riflettere, meditare. 
E opporsi.   
Ecco, a vedere mia figlia che preparava la maturità ho capito che una speranza c'è ancora. 
Una bella speranza, luminosa e tenace.
E allora grazie, piccola. 
Dal solito, banale, papà.





6.7.11

Oltre che cornuto...


Chiedo scusa per il tema assai poco, temo, friendly, ma quando succedono cose di questo genere viene voglia di bruciare automobili, lordare i muri di una chiesa con frasi oscene, picchiare la moglie o sparare al commercialista.
Avendo, a fatica, rinunciato a compiere questo genere di gesti - la moglie, oltretutto, me le avrebbe anche restituite - mi sfogo scrivendo qui e rompendo i cosiddetti agli sciagurati navigatori che dovessero passare...
La CS, libreria che mi onoro di presiedere dal 2007 dopo esserne stato amministratore per una trentina d'anni, ha un fido bancario. Un fido bancario - ovvero un prestito (costoso) che la banca concede per «elasticità di cassa» - che, visto il momento difficile,  è sostanzialmente impiegato all'80%-85% per buona parte dell'anno. Il suddetto fido ci costa alcuni migliaia di euro all'anno che debbono essere considerati sotto ogni profilo una perdita.  
La CS, in quanto società di capitali, è anche tenuta al versamento dell'IRES, ovvero un'imposta per il reddito delle società. 
Fino al 2010 è stato possibile scaricare parte dell'imposta con gli interessi passivi. 
Da quest'anno no. 
Totale, l'IRES della società si è sostanzialmente decuplicata.
Non solo. 
Dal momento che oltre all'imposta relativa all'anno 2010 debbo versare anche l'acconto relativo all'ann0 in corso, mi trovo con un paio di migliaia di euro da versare in pochi mesi, giunti in un momento di incassi che più nero di così non può essere... Basti dire che giugno 2011 è stato il mese più basso in termini di incassi dal 2007. 
Ovvero 2008<2007,  2008<2009, 2009<2010 e 2010<2011.
Da praticare il seppuku.
Il mio commercialista mi ha chiesto: «Ma non potete ridurre l'indebitamento?». Domanda che suscita il dubbio che i commercialisti non si rendano davvero conto dell'andamento economico del consumo al dettaglio e della situazione delle piccole imprese... 
Posso radere a zero il magazzino, come no, e così recuperare il debito con la banca. Solo che poi avrei non poche difficoltà a vendere libri senza averli in magazzino. 
«Sa, è per non pagare l'IRES»
Il lettore mi guarda strano e passa alla libreria successiva.
Il legislatore tributario si può vantare di aver così esteso la giurisprudenza europea alla realtà delle imprese italiane, questo senza però aver tenuto conto del grado di indebitamento delle imprese italiane. Particolarmente delle piccole imprese.  
Certo, a questo punto potrei prorompere in oscure e stravaganti minacce... Voto per la Lega, la prossima volta... per il Berlusca (ahahahah, buona questa)... mi incateno alla cancellata dell'ufficio imposte... chiudo Brunetta sotto una pattumiera rovesciata e lo minaccio di morte per asfissia se non mi riducono le tasse (e poi magari, distrattamente, me lo dimentico sotto la pattumiera) ... penetro in una scuola armato e minaccio di morte insegnanti e allievi... vado a suonare il sax in piazza con al collo il cartello «imprenditore rovinato dalle tasse» - sai le risate...
Ma non farò nemmeno questo.
La sensazione prevalente è il rifiuto e la stanchezza. 
Sono stanco, davvero stanco, di reggere l'anima con i denti. 
Stanco di tenere in piedi un'impresa della quale - evidentemente - non importa un accidente a nessuno.  
Mi passerà, immagino. Sono rognoso o forse dovrei dire soltanto testardo. 
Ma comincio a non poterne proprio più. 

4.7.11

Quando il gioco si fa duro...


È di questi giorni l'appello della rivista L'Indice per salvarla dalla chiusura definitiva.
Un'emergenza per il momento rientrata grazie a una «sottoscrizione [che] ha avuto grande successo, anche sulla spinta di una parte qualificata dei media (soprattutto Rai Tre e il "Corriere della Sera"). Ci sono stati gesti importanti di solidarietà come quello della rivista "Satisfaction" che ci ha offerto una delle sue pagine che intendiamo contraccambiare» ma che, come giustamente rileva l'home page della rivista «Per essere fuori pericolo, occorre un’altro grande sforzo collettivo. Invitiamo tutti a usare al meglio la rete, diffondendo l'appello sottostante.»
Quindi leggete e, se lo ritenete giusto e ragionevole, contribuite alla salute della rivista, anche solo acquistandola. 
Sbrigato ciò che potrei descrivere come il mio dovere, provo ad articolare in modo un po' meno telegrafico il mio personale punto di vista non solo sull'Indice ma anche su ciò che sta accadendo intorno al mondo dei libri. 
L'Indice non ha mai navigato nell'oro, questo è un dato di fatto. Una rivista «che ha allineato in 26 anni di vita ben 37.500 recensioni» ma che non ha mai goduto di una salute ferrea. Nata con il merito - e l'onere - di rappresentare un punto di vista autonomo e indipendente sulla produzione italiana di libri; attenta, probabilmente fino all'eccesso, al grado di comprensione e intellegibilità dei libri presentati, tanto da sostenere che le recensioni di libro stranieri potevano essere considerate unicamente se presentate da lettori delle edizioni in lingua originali e con un'attenzione quasi ossessiva al punto di vista accademico e alle opinioni cattedratiche. L'Indice, in sostanza, nelle sue prime pagine rappresentava l'aspetto migliore dell'universo accademico nazionale, anche se necessariamente vincolato a dare spazio a conflitti, ruggini e rancori tra dipartimenti, istituti e facoltà, di interesse ovviamente molto relativo per i semplici lettori. 
Altra caratteristica dell'Indice, in questo caso un elemento a mio parere decisamente meno positivo, il disintesse più o meno totale per la realtà economica e produttiva del libro. Un disinteresse dai risvolti talvolta quasi divertenti, che spesso provocava una curiosa miopia nei giudizi e nelle considerazioni di redattori e recensori. Basti pensare all'attenzione degna di miglior causa dedicata ai premi bancarella o Strega... La realtà economica del libro, necessariamente un po' volgarotta, non ha mai suscitato più che tanto interesse tra i redattori de L'Indice, che hanno finito per suggerire un universo del libro disincarnato ed etereo, dove i libri nascevano grazie a passioni e interessi sostanzialmente estetici ed artistici, senza prendere in considerazione il parere di alcuni (Schiffrin ecc.) per i quali sempre più spesso a decidere della pubblicabilità di un libro era il direttore commerciale piuttosto che quello editoriale.
Tutte caratteristiche queste che noi di LN - passo temporaneo a un «noi» redazionale – abbiamo tenuto in debito conto. Qualche volta sforzandoci di seguirle, più spesso dissentendo educamente, ma avendo comunque in mente i criteri - per noi più o meno accettabili - del «grande» Indice. 
Adesso che LN è in crisi (come la libreria che ne è l'editore, peraltro) come lo è l'Indice viene spontaneo chiedersi se la radice di tale crisi non sia, in realtà, da cercare proprio in quella maledetta disattenzione a ciò che potremmo marxisticamente definire «la forma di produzione del libro». 
In questi ultimi anni la profezia enunciata già nel 2000 da André Schiffrin nel suo Editoria senza editori è diventata di strettissima attualità. Con un mondo editoriale ormai largamente in mano - più o meno l'80% - ad amministratori che non hanno alcuna affinità né possono vantare una qualche provenienza dal mondo del libro, con una produzione editoriale che vive ormai di best-seller predeterminati e prefabbricati, la funzione delle riviste di recensioni vive un momento di profondissima crisi. Recensire i best-seller, scritti con una lingua anonima e seriale, è ora come è sempre stata, pratica sostanzialmente inutile. Riferire e recensire libri usciti in un momento di crisi economica (di nuovo l'economia, maledizione!), quindi bene o male nati e scelti cercando di inseguire i gusti di un pubblico sempre più disattento, è nuovamente un esercizio stancamente inutile. Che cosa resta, allora? I libri pubblicati da editori di frontiera - editori «veri» come e/o, Minimum Fax, ISBN, Saggiatore e altri - che si sforzano di valorizzare autori e temi meno sfruttati, autori che non (ri)scrivono per l'Nsima volta il thriller truculento, il noir surgelato, il vampiro educato e galante, il fantasy campestre. Editori che, tuttavia, faticano a trovare uno spazio ragionevole nelle librerie. In quelle di catena perché vincolate a regole ferree di produttività per centimetro quadrato, in quelle indipendenti perché cercano disperatamente di sopravvivere, svendendo onore e orgoglio. 
Non troppo diverso il panorama per quanto riguarda la saggistica. 
Venuta meno la storia recente per raggiunti limiti di età di autori e lettori, storia, psicologia e scienze vengono masticate, digerite e ripresentate in forma ultradigeribile da uno sterminato nugolo di alberonidi che, come le mosche, sono ovunque e crescono e concrescono felicemente su un rumore di fondo che copre e confonde notizie e riflessioni. 
Mi basta ripensare a S.J.Gould e a Shirer per capire dove ci troviamo ora... 
Anche qui non mancano gli editori «seri» (Codice, Sironi, Dedalo, Donzelli, Cortina, Orme, Carocci solo per citarne alcuni) che si adoperano a diffondere e costruire importanti riferimenti storici e scientifici nel deserto comunicativo che ci circonda. 
Ma il problema maggiore è che ormai è la stessa cultura in forma di libro, venduta a prezzi onestamente eccessivi, ad avere il fiato corto. I libri non possono resistere a lungo a un mercato così chiaramente «drogato» da prezzi ormai fuori dall'orizzonte degli eventi per milioni di persone. A una crisi economica che ha massacrato il portafoglio e le speranze di milioni di persone non si può rispondere aumentando ogni anno il prezzo dei libri di un 4-5%, in cambio della promessa di sconti stratosferici. Gli sconti altissimi, che soltanto i grandi gruppi editoriali possono proporre e sostenere, segnano la morte per tutto il sottomondo di piccoli e medi editori «di proposta», come li chiamava Alfredo Salsano, e la distruzione del mondo di librerie locali diffuse sul territorio.
Questo, sia pure necessariamente ridotto ai termini essenziali, il panorama nel quale l'Indice (e anche LN) si trovano a tentare di sopravvivere. Un mondo dove il tessuto formato da librerie indipendenti, autori ingenui e volenterosi, bancarelle a metà prezzo, consigli, discussioni e innamoramenti, insomma tutto l'universo librario con il suo aroma di libri e di parole, dove è nato l'Indice e dove io stesso mi sono formato, si va sgretolando e rischia di svanire definitivamente.
Dappertutto tranne che in un solo luogo.
Già, internet. 
Per il momento ancora il luogo dei libri virtuali, delle speranze da verificare, degli esperimenti e delle invenzioni. Ma anche l'unico luogo dove si può scrivere anche senza un editore. E senza esibire un Nome. 
Dove il substrato delle idee non si presta a campagne di sconto e a silenziosi e massicci rincari.
Non è ancora facilissimo farsi pagare - anche per l'abitudine di molti navigatori al «free» a tutti i costi - ma è forse possibile pensare di trasferire una rivista e una casa editrice on line. 
Forse è vero che «Quando il gioco si fa duro, i duri cambiano il luogo dove giocare...»