26.6.10

Lovecraft e le minuterie


Siamo a una svolta.
Qui si parlerà dello stile, ovvero del particolare approccio alla scrittura che ognuno di voi/noi sceglie.
Quale lessico utilizzare e quanto debba essere rozzo o raffinato, ovvio o ricercato, banale o personale. È particolarmente curioso notare come la scelta di una stile, ovvero di un particolare lessico influisca profondamente - tanto da definire - il tipo di narrazione che condurrete.
O, nella peggiore delle ipotesi, che finirete per condurre.
Il conflitto tra forma e contenuto è del tutto virtuale, temo.
Ovvero immaginario.

L'orrido vacuo indicibile.


Avete presente come scrive Lovecraft?

Non fatemi aggiungere una sua pagina, cercate di ricordarvi il racconto che è stato presentato al seminario nel primo ciclo di incontri.

Il racconto dove c'è uno che scopre di essere un mostro dopo che tutti noi lettori abbiamo sofferto e patito con lui per l'orrida prigionia nella quale era ridotto.

Bella storia, costruita abilmente, ma non ricordate nulla dello stile? Forse un po' pesante, efficace, ma un po’ sovraccarico.

A cosa era dovuta la pesantezza?


Citati, l'avrete presente no?

Citati ha l'abitudine (lo si vede bene nell’unico romanzo che ha avuto finora il coraggio di scrivere) di utilizzare sempre ALMENO tre aggettivi per denotare anche il più miserando e inopinato sostantivo.

La sensazione data da una sua pagina è simile a quella di un Calzone al tonno, mozzarella. prosciutto, funghi. carciofini, acciughe, gorgonzola, dadi per brodo, ketchup e currie.

Troppo in troppo Poco spazio.


La sensazione che dà Lovecraft è diversa.

Essendo il solitario di Providence un geniale monomaniaco, teneva sempre sottomano una trentina di aggettivi (putrido, informe, orrido, vacuo, indicibile sono alcuni dei must) che disponeva con sapienza e amore lungo il percorso del lettore, (che accompagnava nel territorio dell'incubo valendosi di una lingua oscura e arcaicizzante) fino a estenuarlo.

Una pagina di Lovecraft funziona egregiamente perché quasi ipnotica (e rende male se letta ad alta voce).

Citati e Lovecrafi sono due esempi utilissimi a definire un altro aspetto dell'm (microstruttura): il vocabolario (ovvero il lessico).

Ne abbiamo parlato in lungo e in largo durante le sessioni dedicate ai generi. scoprendo spesso di avere idee piuttosto divergenti su come definire il lessico li un testo altrui.

Il fatto è che talvolta si rischiava di definire l'ampiezza della scelta lessicale in assoluto, piuttosto che in rapporto al tipo di brano. Saggiamente, abbiamo sempre finito per decidere che le scelte lessicali devono essere aderenti al genere scelto, e buonanotte.

E bene abbiamo fatto, ma dove e come, quali e quanti aggettivi, avverbi, congiunzioni utilizzare non abbiamo neppure provato a dirlo.

Bene, adesso è giunto il momento.


Minuterie


Minuterie indica le piccole parti in metallo deputate a tenere Insieme sia un paio di forbici che la corazzata Minnesota.

Senza minuterie le forbici non funzionano e la corazzata Minnesota va a fondo.

Sono minuterie cose come gli aggettivi, le congiunzioni, gli avverbi. Ma provate un po' a fame a meno?


- L'aggettivo possessivo.


Gino vide Pino sul lungomare Sfoggia va, gonfio come un tacchino, il suo parka.


Bene, di chi è il Parka?

Di Pino, apparentemente Bene, la frase seguente è:


Pino si avvicinò a grandi passi urlando: - Ridammi il mio parka, bestia! Possibile che ticchi sempre il naso nel mio armadio?


Se il parka in oggetto non è il tema del racconto come il cappotto di Gogol, il lettore sobbalzerà e probabilmente tornerà indietro a rileggersi la frase, eventualità da scongiurare. L'aggettivo possessivo è una gran brutta bestia. Vi invito a diffidarne e a utilizzano con parsimonia e attenzione. In taluni casi si potrà agevolmente sostituirlo con ”proprio", ma molto spesso le cose fileranno più lisce se rimanete sul vago. Se il parka di Pino diventa semplicemente "un bel parka”, vi eviterete un sacco di equivoci.


Punto: quasi tutto ciò che si può dire bene con dieci parole può essere detto molto meglio con cinque Si tratta di un paradosso solo apparente. Se fate attenzione buona parte di ciò che scrivete in prima stesura serve solo a voi per capire dove state andando, Un po’ un'impalcatura che al termine della costruzione va eliminata Bene, eliminatela. E' un lavoro snervante ma anche sorprendente (a patto di farlo con attenzione e un minimo di tempo davanti).


- Gli aggettivi specificativi.


Siamo nel mondo di Citati. Gli aggettivi specificativi danno colore, sostanza, forma, risonanza, splendore a ciò che scrivete.

Più ne utilizzate meglio è, o almeno così pare.


L 'uomo indossava un abito

L'uomo indossava un abito scuro

L 'uomo indossava un abito scuro, consumato dall'uso

L 'uomo indossava un abito scuro, opaco e consumato dall'uso


Siamo a tre aggettivi (due aggettivi e un participio passato. va bene, potete anche togliere "dall’uso", totale tre aggettivi tre)

Ma anche qui è un problema di sensibilità, di gusto e di equilibrio.


L 'uomo indossava un abito scuro, malandato, misero


Può fare altrettanto bene al caso vostro, ma tenete presente che siete pericolosamente vicini al sovraccarico di significati,


L uomo indossava un abito cupo, trasandato, miserabile


Cominciamo ad avvicinarci alla misura citatiana (e all'autocaricatura).


L'uomo si trascinava stancamente con il passo piegato, incerto, esitante dell'uomo provato da una vita avara, rude, impietosa. Indossava un abito tessuto di ombre logorate, miserando, penoso.


E qui siamo all'apoteosi citatiana. Non si tratta di una citazione ma un parodia (ma se avessi inserito una citazione non vi sareste accorti della differenza).

Solo i fighi bestiali scrivono così, rutilando di un intero vocabolario imparato a memoria.

Fatto sta che non è il numero o la raffinatezza degli aggettivi utilizzati a fare l'efficacia di una descrizione, ma la loro potenza iconica.


L’uomo indossava un abito scuro, anonimo e detestato.


Sono sempre tre aggettivi, ma raccontano la vita del personaggio, lo staccano dallo sfondo.

Non si è solo descritto l'aspetto del personaggio, ma anche delineato il suo approccio verso il mondo, fatto di rancore, di confuse ambizioni e di timori. La scelta del colore denota conformismo, e l'aggettivo anonimo contiene e implica logorio. povertà, consunzione.

Ultimissimo elemento. Aver inserito una congiunzione tra il secondo e il terzo aggettivo ha reso più leggera l’immagine, obbligandovi a fermarvi per una frazione di secondo.


- Complementi.


Disse in tono burbero.

Commenti con aria seccata

Osservò in tono pungente.

Sospirò con espressione esasperata


Disse burbero

Commentò seccato.

Osservò pungente

Sospirò esasperato.


Rileggete tutto quello che avete scritto in vita vostra e tutte le volte che trovate "In tono", “con espressione" ecc. ecc. ELIMINATELI. La vostra prosa ne guadagnerà enormemente.


- Le congiunzioni.


E/ed, 0/od, a/ad.

Baricco (ma anche Erri De Luca) sostengono la necessità di eliminare la D eufonica. Baricco (ma non De Luca) arriva a dire che si deve scrivere "stupido e ebete", "andare a appollaiarsi" ecc. ecc.

In realtà la cosa mi sembra di interesse alquanto limitato. Una volta tanto Baricco può anche avere ragione e posso concordare con lui che "ed edonista" evochi soprattutto l'immagine di un potente raffreddore, ma perdere più di un minuto a discuterne è già troppo.


- Gli avverbi.


Quelli che finiscono in -mente sono pericolosi.

Balzano all'occhio del lettore e anche se sono utili (lo spinse da parte violentemente, l'abbracciò affettuosamente) sono anche ingombranti. Molto spesso posso essere resi con un complemento (lo spinse da parte con violenza, l'abbracciò con affetto) o con una perifrasi.

Ricordate che il verbale di polizia o la pagina di cronaca nera sono sempre 'n agguato (... Si introduceva furtivamente nel locale disabitato dopo aver...). Due avverbi in -mente nella stessa frase danno spesso la stessa impressione che dà una valigia troppo piena, ovvero di un'imminente esplosione.


RICAPITOLIAMO:

L’aggettivo possessivo non è sempre necessario

L 'aggettivo specificativo deve specificare qualcosa sul personaggio e non sulla

cultura dell 'autore.

I complementi hanno da essere brevi

Gli avverbi in -mente devono essere numerati e pagare dazio


arrivederci alla prossima puntata!


23.6.10

L'ultimo, il primo e...


È uscito in questi giorni il nuovo LN, il numero 10.2, ovvero il numero 53, ovvero - dal momento che si tratta di un numero doppio - il 10.2.3 o il 53/54 o...
...Dunque.
C'è il nuovo LN.
Bello siccome un angelo. Nuovo di pacca, ricco di interventi, recensioni, narrativa...
Lo so somiglia molto a una pubblicità, ma non posso nascondere la legittima soddisfazione per un numero straordinario. Tanto più in un momento tutt'altro che facile per l'editore, cioé la CS.
Sia gloria a Marco Email che si è preso il mal di pancia di impaginare questo titanico numero doppio con risultati che bisogna proprio essere meschini per definirli appena men che magistrali.
Di nuovo odore di pubblicità, vero?
Beh, adesso mi limito a pubblicare l'indice e taccio.

MAPPE

Ristrutturazioni di Massimo Citi
Danzatori & Nomadi di Davide Mana
Gargoyle Books (intervista a P. De Crescenzo) di Gordiano Lupi
Il segnalibro Mancante di Piero Fabbri
Il principio Responsabilità di Maurizia Magro
Letture primaverili di Massimo Citi
Quattro passi in solitudine di Silvia Treves
Gli anni del «Corriere dei Ragazzi» di Gordiano Lupi
Spire d’Oriente, immaginario d’Occidente di Franco Pezzini
Adorabile Uragano di Mario Prisco

ISTANTANEE

Recensioni di Consolata Lanza, Enzo Baranelli, Gordiano Lupi, Silvia Treves, Luca Battisti, Massimo Soumarè, Piero Fabbri…

PAESAGGI

Primo amore di Consolata Lanza
Il Buio e la candela di Massimo Citi

Tutto qui. Chi volesse possederne una copia può scrivere a redazione@librinuovi.info o a cs_libri@fastwebnet.it.

Però, parlandoci tra noi, è proprio bello non trovate?

Ssshht, ebbasta!








16.6.10

Ruota di scorta / ruota di scarto


Ruota di scorta / ruota di scarto.

La base minima di una lingua intellegibile, che vi permetta di comunicare, anche non artisticamente, col prossimo, è la sua correttezza formale e la sua significatività.
Gente come Queneau e Perec (particolarmente quest'ultimo) hanno scoperto che la lingua è anche un sistema di convenzioni e di codici.
La narrativa, intesa come livello altamente significante di convenzione linguistica, è un vero labirinto di codici, una babele irta di leggi non dichiarate e di usi che si son fatti legge.
Conseguentemente hanno deciso di prendersi gioco della cosa.
Perec ha scritto alcuni esercizi deliranti come "Tentativo di esaurire un luogo parigino" e "La scomparsa" (lipogramma in e di trecento pagine) mentre Queneau ha scritto "Esercizi di stile", tutti brani nati con il preciso scopo di definire e denunciare alcune convenzioni della lingua scritta.
PUNTO: Se non li avete letti, leggeteli. A un certo punto della vita bisogna smetterla di essere scrittori e lettori ingenui.

Parrebbe che si sia lontani anni-luce dall'ispirazione (qualunque cosa sia, l'ispirazione). I due autori francesi hanno scritto a freddo, guidati, si direbbe, esclusivamente dall'emisfero sinistro. Pensate cosa dev'essere scrivere un intero romanzo senza fare uso di una delle vocali principali (la "e"), come in "La scomparsa" o declinare un evento banale in duecento e passa stili differenti, come in "Esercizi di stile".
Bisogna essere dei matematici fuori di cabina per scrivere simili testi, siamo d'accordo, e non credo che a nessuno di noi sia mai passato per la testa di fare una cosa del genere. Eppure, si tratta di testi preziosi.
La curiosità per la lingua, il gioco combinatorio, il neologismo, l'invenzione linguistica, il nonsenso, l'argot, gli ibridi di lingua e gergo, le deviazioni e rovesciamenti di senso (fino al paradosso di scorta/scarto del titolo) non sono solo giochini divertenti, ma testimoniano della vitalità di ciò che scrivete (quindi anche della vostra vitalità, curiosità e gusto dell'assurdo). Testimoniano dell'elasticità della lingua che utilizzate e, se non sono esclusivamente esercizi acrobatici, possono aiutarvi a spingere lo sguardo in direzioni inattese e sorprendenti.

Nota del GL
La lingua, rispetto alla matematica, è un sistema “aperto”, anche se formalizzato. Cosa intendo dire? Non lo so esattamente, ma mi sembra una differenza importante, che in un certo senso garantisca che i giochi linguistici non restino soltanto sterile enumerazione di combinazioni possibili.

Adesso leggetevi questo pezzetto di Queneau (tratto da "Zazie nel metrò") e meditate. Poi ci torneremo sopra.


Che si stan raccontando? - chiese Zazie mentre finiva di infilarsi i blucinz.
-Parlano troppo piano, - disse Marceline, con dolcezza, mentre teneva l'orecchio contro l'uscio della camera. - Non riesco a distinguere.
Mentiva con dolcezza, la Marceline, perché sentiva benissimo quel tale che cosi diceva: allora è così, è perché lei è una checca, che la madre le ha affidato la bambina? e Gabriel che rispondeva: ma se le dico che non è vero, certo, fo il mio numero vestito da donna in un naitclùb di culattoni ma non vuoi dir nulla, è per far ridere la gente, capisce, son tanto alto che se la fan sotto dalle risate, ma io, personalmente, non ce l'ho, quel vizietto, prova si è che ho moglie.
Zazie si guardava allo specchio, sbavando d'entusiasmo. In quanto a starle bene, nulla da dire, i blucinz le andavano benissimo. Si passò le mani sul culetto, modellato che non puoi desiderar di meglio, e sospirò profondamente, grandemente soddisfatta.
- Proprio non senti nulla? - chiese. - Nulla di nulla?
- No, - risponde con dolcezza Marceline. Sempre più mentendo, perché quello stava dicendo: «Non vuol dir nulla. Comunque non si può negare che la madre le ha affidato la piccola perché la considera una checca»; e a Gabriel era forza riconoscerlo: « Puoddàrsi, puoddàrsi », ammetteva.
- Come mi trovi? - disse Zazie. – Bello, no?

Beh, che ne dite?
Prima di tutto un'osservazione: l'autore riesce a rendere piuttosto bene la lingua parlata, non credete?
A mio parere Pennac - autore sicuramente piacevole e divertente - senza la lezione di Queneau non avrebbe ottenuto la velocità e l'efficacia del suo argot franco-maghrebino, né probabilmente sarebbe riuscito felicemente a costruire uno stile che fosse insieme paradossale e rivelatore.
Certe volte la lingua sembra vivere di vita propria, cogliere particolari che ne evocano altri, raccontare minuzie passate e presenti, sentire odori e suoni, mostrare vezzi, tic, emozioni e abitudini.
Rileggete le frasi di Gabriel (il travestito).
Non vi sembra di sentirlo parlare qui e ora? Non riuscireste a immaginarlo mentre parla del tempo, fa la spesa o l'amore?

James Baldwin, scrittore nero degli armi '50, diceva (cito a memoria):

Se provi a trascrivere un dialogo tale e quale non lo riconoscerai. La lingua scritta e la lingua parlata non sono la affatto la stessa cosa. Devi tradurre la lingua parlata, non copiarla, e questo é molto più difficile di quanto pensi. Ci sono le cose che non dici, i gesti, gli sguardi, le esitazioni, le frasi lasciate a metà. E poi l'accento, la cadenza, i silenzi, come in musica. Di fatto, devi scrivere due volte meglio e non una volta peggio, per riuscirci

Nota del GL
Un altro modo di dire la stessa cosa è questo, di ACHENG:
Solo quando la lingua parlata acquista credibilità in quanto lingua scritta può esistere una vera letteratura in lingua parlata.
Il che spiega perché lo skatz di Salinger è letteratura mentre i vezzi stucchevoli di Rossana Campo no.

La naivéte della lingua parlata è una balla colossale.
Ed è veramente interessante che a rendere egregiamente la lingua parlata sia proprio un autore come Queneau, capace di performance estremamente cerebrali.

PUNTO: enunciamo un paradosso (ma sì, dai, facciamolo!)
NON HA IMPORTANZA ciò che avete intenzione di dire, ma solo ciò che riuscite a dire. Sarebbe a dire che la massima semplicità, il maggior nitore, la purezza più cristallina la potete raggiungere se conoscete cento modi per dire la stessa cosa e da questi sapete estrarre l'essenziale.

Fate attenzione alla musicalità di quanto avete scritto. Bisogna avere orecchio (o comunque svilupparlo) per scrivere. Se una frase non vi suona del tutto convincente provate a rileggerla ad alta voce. Le sillabe hanno accenti e un suono ben distinto. Combinarne insieme una lunga serie somiglia molto al comporre. E quindi dovete badare a come suona il tutto, non preoccuparvi esclusivamente che il testo esprima appieno la vostra grande e superiore sensibilità.
Gli insegnanti di solfeggio jazz hanno l'abitudine di rendere taluni passaggi e accentature con l'uso di parole: tronche, sdrucciole eccetera (mo-bi-li-tà / mò-bi-li-ta). Non vi dico di solfeggiare il vostro testo, ma fate molta attenzione al suo ritmo complessivo. Se volete essere letti dovete avere ritmo (non velocità, ritmo!).

Baricco è un impostore, e adesso ve lo provo:

Benché suo padre avesse immaginato per lui un brillante avvenire nell'esercito, Hervé Joncour aveva finito per guadagnarsi da vivere con un mestiere insolito, cui non era estraneo, per singolare ironia, un tratto a tal punto amabile da tradire una vaga intonazione femminile.
Per vivere, Hervé Joncour comprava e vendeva bachi da seta.
Era il 1861. Flaubert stava scrivendo Salammbò, l’illuminazione elettrica era ancora un'ipotesi e Abramo Lincoln, dall'altra parte dell'Oceano, stava combattendo una guerra di cui non avrebbe mai visto la fine.
Hervé Joncour aveva 32 anni.
Comprava e vendeva.
Bachi da seta

(da Seta)

I rimandi a capo, le parole isolate hanno una propria risonanza arcana, esattamente come i bassi del pianoforte.
Avete mai sentito Rachmaninov?
È uno dei compositori più suggestivi ma anche più stucchevoli che siano apparsi in questo secolo.
La musicalità di Rachmaninov era per l'appunto basata su sonorità enfatiche, virtuosismi, automatismi drammatici.
Ecco, Baricco è tale e quale.
Non manca affatto di ritmo, ma prende in giro la gente valendosi delle sue capacita tecniche.
Si affida per intero al suo talento sonoro, ma, ahimé, non ha un beato cazzo di serio e importante da raccontare.

PER CONCLUDERE:

Leggetevi cosa ha scritto il grande pittore giapponese Hokusai.

Dall’età di sei anni ho sentito il desiderio di dipingere qualsiasi cosa vedessi attorno a me: dopo i cinquant’anni avevo già fatto un buon numero di opere ma non ero affatto contento del mio lavoro.
Solo adesso, all’età di settantatre anni, ho parzialmente capito la vera forma e il carattere di uccelli, pesci e piante. All’età di ottant’anni avrò certamente fatto ulteriori progressi: cosicché quando ne avrò novanta riuscirò a penetrare nella vera essenza delle cose.
A cent’anni raggiungerò un alto livello di perfezione e, all’età di centodieci ogni cosa che io creerò, ogni punto ed ogni linea che traccerò, saranno vita essi stessi.
Invito tutti quelli che allora mi conosceranno ad accertarsi della verità di queste mie parole.
Scritto all’età di settantatre anni da qualcuno un tempo conosciuto come Hokusai e oggi chiamato “un vecchio pazzo per il disegno”.

Non ho proprio nulI'altro da aggiungere.

RICAPITOLIAMO:

1) L 'Ispirazione è un invenzione di autori più o meno capaci (ma comunque non nullatenenti) per giustificare il proprio ozio. Balzac, che non era un cretino, si imponeva di scrivere una pagina al giorno, qualunque fosse il suo umore.
2) il ritmo di ciò che scrivete è essenziale. Può essere un Largo, un andante, una fuga o qualunque altra forma musicale vi venga in mente, ma un ritmo percepibile DEVE esserci.
E non pensate di cavarvela con la paratassi più singhiozzante, anche se lo fanno in troppi. Una paratassi troppo accentuata si fà leggere più velocemente ma non lascia tracce nel lettore.
3) La lingua parlata è lingua parlata e la lingua scritta è lingua scritta. Si può COSTRUIRE una felice traduzione dell'una nell'altra ma, come diceva Baldwin, dovete essere due volte meglio e non una volta peggio. Se non ve la sentite accontentatevi di una lingua convenzionale e "letteraria".
4) Esiste gente che perora la causa della lingua semplice e sincera, contrapponendola alla lingua letteraria: astrusa, cerebrale e falsa. Ecco un modo molto stupido di affrontare un problema reale. Di fatto, una lingua semplice (nel senso di povera) non è afflitto sincera. Se conoscete 300 parole (di cui 50 sinonimi attinenti alla copula) è molto difficile che riusciate a esprimere pienamente Perlomeno a parole) ciò che provate. La lingua povera nasconde invece di rivelare, confonde piuttosto che descrivere. Se per lingua semplice si vuole invece intendere la lingua letteraria di scrittori come Salinger o Baldwin non rimane che suggerire allo zebedeo in questione di provarci personalmente.

9.6.10

L'errore


Altra puntata del nostro piccolo manuale di scrittura creativa.
Dedicato a uno dei temi principali del narrare: l'errore, ovvero la PP o parzialità percettiva.
La PP è connaturata alla nostra breve sopravvivenza su questo pianeta. Il non capire, non afferrare, non intuire, non immaginare e, reciprocamente, comprendere, intuire, immaginare sono la palestra del nostro difficile vivere quotidiano. E, inevitabilmente, sono anche il punto centrale della narrazione e del suo esercizio. L'abilità nel destreggiarsi nella scelta dei possibili errori di valutazione dei vostri personaggi - dal giudizio su una persona alla valutazione del mondo nel quale vivono (e viviamo) - è ciò che può rendervi autori degni di essere letti e persino ricordati. L'accettazione della propria inevitabile parzialità nella comprensione delle coordinate del mondo reale può permettere ai vostri personaggi - e a voi stessi - di giungere a un grado maggiore di comprensione del mondo. Un risultato tutt'altro che disprezzabile per un breve, faticoso viaggio come quello che ci è stato concesso.
Buona lettura!

L' ERRORE

"Insomma è finora che ce la meni con la storia dell'Errore, ma finora non ci hai ancora spiegato un tubo. Così non si fa!”

Calma, calma! Cosa credete che io queste cose le sappia come si sa dell'Impresa dei Mille o della vita di Berlusconi? No, devo pensarci man mano che vado avanti (penso che sì veda) e scriverne. Quindi calma, che adesso ci arrivo (arriviamo).

Avete presente Novello? Si tratta di un disegnatore di vignette del Ventennio, a mio parere assolutamente geniale.

La vignetta che mi interessa presentarvi è questa (chiedo scusa per le piccole dimensioni del testo):



L’aspetto peculiare del personaggio è che, fuori scena, ha consumato un errore, ovvero ha dovuto constatare la discrepanza tra il giudizio che dava di se stesso e le sue effettive capacità nella realtà pubblica.

Abbiamo qui un rilevante esempio di cosa intendo per (P)arzialità (P)ercettiva, madre dell'ERRORE.

La PP é ciò che rende interessante il vostro romanzo, racconto, novella o diario

Di qui non si scappa.

Se provate a scrivere qualcosa, qualsiasi cosa con la pretesa di dire la verità, tutta la verità e nient'altro che la verità, o di farla dire a un vostro personaggio, scriverete una monumentale idiozia totalmente illeggibile. Anche se vestite i panni di Dio, quando scrivete, voi NON siete Dio, e nemmeno un vice facente funzione

Penso che in narrativa, per rendere interessante un personaggio o una vicenda, sia necessario concedere a lui come ad altri personaggi la più ampia facoltà di errore

Ma non bisogna esagerare con gli errori.

Mettere in scena una piccola turba di cretinetti che non capiscono un cazzo e le sbagliano tutte non è pertinente neppure in un romanzo dichiaratamente comico. Si può avvertire l'impulso di ridere vedendo un vecchietto cadere dalla bicicletta, ma questo genere di "cattiveria" va utilizzata con parsimonia ed equilibrio. Un racconto fatto tutto di vecchietti che cadono dalla bicicletta, come ne scrive il signor Ammanniti Junior, inducono nel lettore il sospetto che l’autore non sia affatto interessato ai propri simili in quanto esseri senzienti e sensibili ma solo in quanto zimbelli della sua supposta intelligenza narrativa.

La buona educazione, intesa come interesse genuino per i propri simili, è una delle premesse essenziali a qualunque narrazione.

«E il marchese De Sade, allora?»

Ma chi vi ha mai detto che Ms. De Sade sia maleducato? Nelle "Centoventi giornate di Sodoma" capitano le cose più truci e orripilanti, ma non vi sono compiacimenti, né artificiose prese di distanza dai personaggi. De Sade non si sente affatto migliore degli aguzzini più feroci che descrive e non vi chiede mai di essere suoi complici. É un autore dotato di un'etica, in sostanza, un 'etica deviante ma grandiosa, nulla a che vedere con il noir furbetto di gente come Ammanniti.

Bisogna essere PARTECIPI degli errori dei propri personaggi, personalmente trovo insopportabili gli autori che considerano con sufficienza i propri personaggi o, peggio, sembrano volersi appartare con il lettore per ridere alle spalle del malcapitato idiota che si agita nelle loro pagine.

L'Errore è tuttavia un concetto molto ampio e sfumato. Non significa necessariamente sconfitta, ma comporta la possibilità (e la necessità) di capire. Un personaggio che approda a un grado ulteriore di comprensione della realtà o che, reciprocamente, soccombe a una realtà immanente e inafferrabile è un esempio della funzione essenziale della narrativa: aiutarci a comprendere profondamente il mondo in cui viviamo.

Se c'è una cosa che si impara scrivendo, magari non bene ma almeno onestamente, è che la realtà è scomponibile all'infinito, esattamente come il comportamento umano non può mai essere completamente spiegabile e prevedibile. Adesso farò felice il GL, lo so, ma lo dico lo stesso: la narrativa è intrinsecamente olistica, quindi virtualmente infinita.

Quando provate a scrivere state dando l'assalto all'Infinito. Sarete (saremo) sconfitti, ma che brivido averci provato!


Perché mai vi ho fatto leggere e digerire i due pezzi di Böll e di Mozzi?

Il primo è un esempio semplicemente miracoloso di come di costruisce un personaggio. Leni di «Foto dì gruppo con Signora», romanzo che DOVETE leggere, è una ragazza non troppo intelligente, dotata di un carattere naif, apparentemente incapace di astrarre o di provare grandi sentimenti. Eppure ha il talento sovrumano di interpretare un maniera sublime un brano di pianoforte e pur non essendo una cima intuisce spesso da che parte è il giusto.

Böll non sposa mai il punto di vista di Leni, ma sceglie di raccontarla attraverso il ricordo di coloro che l'hanno conosciuta, disegnando per indizi parziali l'unicità della sua vita.

Nel secondo Mozzi, con semplicità, denuncia il PROBLEMA di qualunque narratore serio: i personaggi unilaterali, con un destino segnato. Ho scelto il suo brano perché spiegare il concetto meglio di così è veramente difficile.

Quando provate a scrivere chiedetevi: sto mettendo in scena una caricatura, una vita a perdere? La risposta può anche essere sì - se è questo il vostro scopo - ma abbiate sempre ben presente quello che fate.

Concludo con la storia dell'errore.

Ne «L'uomo che cadde sulla terra» di W.Tevis, alla base del fallimento del protagonista c'è un tragico errore: il suo giudizio sbagliato della specie umana.

Egli sa molte più cose degli esseri umani, è più civile, più intelligente, più gentile, più colto, più sensibile ma finisce comunque stritolato dalla macchina burocratica della polizia americana.

A parte il fatto che il libro è mooolto più bello del film (pur decoroso), mi sembra questo un ottimo esempio di come l'errore in narrativa possa essere il combustibile e la ragion d'essere di qualsiasi storia che meriti d’essere raccontata.

Se avete ancora dubbi in proposito leggetevi "Un'esperienza personale" di Kenzaburo Oe e dopo ne riparleremo.



1.6.10

Scrivere in Koro 15 anni dopo - Capitolo 4


Si parlerà qui di Sincronicità e Causalità.
La colonna - ovvero le colonne - vertebrali della narrazione.
Gli incontri imprevisti e quelli prefissati, gli eventi preparati e quelli improvvisi... Una partita che chiunque scriva ha dovuto affrontare e cercare di condurre alla fine.
Soltanto un consiglio, comunque.
Se avete un dubbio di come debba procedere un evento, comunque non barate.
Non immaginate un sogno dal quale il protagonista alla fine si sveglierà, permettendovi di inserire quello snodo che starebbe tanto bene lì ma che non osate condurre fino in fondo.
Non fatelo.
Si rischia che il lettore s'incazzi e dica di voi tutto il male possibile.
Davvero.

Sincronicità e Causalità


Il brano che segue e il grafico allegato sono tratti da: R.Rucker - La quarta dimensione - Biblioteca Scientifica Adelphi



La figura 185 illustra un evento che potrebbe essere sincronico. Qui due oggetti B e C distanti tra loro si scindono, per coincidenza, esattamente nello stesso istante. La scissione di B non è causa di quella di C, la scissione di C non è causa di quella di B: semplicemente capita che avvengano nello stesso istante.

Il punto è che causa ed effetto possono essere considerati come una sorta di strutturazione «verticale» dello spazio-tempo, mentre la sincronicità ne é una strutturazione «orizzontale». Causa ed effetto creano certe ramificazioni nel tempo; la sincronicità mette queste configurazioni al passo tra loro. Quando entrambi i processi di strutturazione sono all’opera, si ottiene quella complessa configurazione di eventi che è caratteristica della vita vissuta.

Sembra evidente che un universo di qualità davvero superiore debba contenere una miscela di entrambi i tipi di strutturazione dello spazio tempo.


Stiamo parlando ancora di M. Non vi allarmate, il fatto è che io credo al felice sposalizio tra cultura scientifica e umanistica.

Siete seduti alla scrivania.

Volete raccontare la storia n° 10. Vi piace l'idea che una persona possa, per così dire, trovarsi disancorata dalla propria vita grazie a un trauma o a un evento accidentale.

Cominciate a scrivere.

Di A si tratta di dire qualcosa, almeno come è arrivato a smemorarsi.

L’evento A1 ha determinato la smemoratezza di A.

Il rapporto è di causalità, ovvia causalità.

Ma se l'evento A1 consegue all'ingestione di una forte dose di psicofarmaci, a una ubriacatura, a un tentativo, in sostanza, di danneggiarsi?

Bene - dite voi autori - questo rende il personaggio di A più interessante. A ha tra i trenta e i trentacinque anni, a vent'anni aveva l'abitudine di fumare erba ed era batterista in una piccola band. Ha poi di abbandonato la musica per andare a lavorare con lo zio che ha una piccola impresa di prodotti chimici per l'agricoltura A è frustrato, stanco, il secondo figlio che sta per nascere (B è incinta) è un bel problema. A incontra C, un amico (o un amica) dei tempi dalla band (chitarrista / cantante), insieme decidono di prendersi una bella sbornia, come ai vecchi tempi, ma A beve troppo e picchia la testa (o qualcosa del genere).

Ecco, in questo sviluppo vi sono numerosi esempi di causalità (se A non avesse bevuto non avrebbe perso la memoria, ma non avrebbe bevuto se non si fosse trovato in una situazione difficile ecc. ecc.), ma la cosa realmente interessante è che ha INCONTRATO C.

A non ha cercato C (narrativamente sarebbe stato meno efficace), semplicemente, come nel diagramma del libro di Rudolph Von Bitter Rucker (matematico di Berkeley ed esponente di punta del Cyberpunk californiano) abbiamo qui una COINCIDENZA, ovvero un buon esempio di sincronicità.

Sapete cos'è un diagramma di spazio-tempo?

Bene, una volta stabilito che l'ordinata Y rappresenta il tempo e l'ascissa X rappresenta lo spazio, definiamo il percorso di spazio-tempo di A e C.



Come vedete a un tempo t(O) A e C si trovano l'uno in un luogo chiamato Qui e l'altro in un altro luogo denominato Là. E solo al tempo t(l) che i tracciati di spazio tempo di A e C si accostano.

Noterete come in un tracciato di Spazio-tempo non esiste il concetto di causalità.

La cosa realmente interessante è che su un piano Macroscopico (in termini fisici) causalità e sincronicità rientrano entrambe nel piano degli EVENTI. Come dire che non siete TENUTI - per costruire una vicenda il più possibile verosimile - a fornire la spiegazione di tutto, così come non siete vincolati poi troppo strettamente alla causalità.


... Perché a meno di cento metri da loro, più o meno dove si erano fermati i pompieri, si è schiantato un arnese del peso di un paio di chilogrammi. La vernice non c'è più, arrostita dalla discesa veloce nell'atmosfera, ma su un pezzetto di metallo che ha bucato i vetri della Mativa c'è scritto U.S.Navy.

Molto d'altro del coso non è rimasto, anche a voler cercare nel buco fatto nell'asfalto.

Comunque, come The End un banale satellite metereologico non poteva sperare di meglio.


Non poteva mancare l'autocitazione, da Le bambole in volo.

Ma ho anche le mie buone ragioni: ho qui utilizzato un esempio madornale di sincronicità, ovvero di incrocio di linee di universo (così si chiamano le traiettorie di un punto in un tracciato di spaziotempo), determinando l'incontro imprevisto tra un satellite metereologico e una fabbrica occupata.

Se siete dei fanatici della causalità dovreste supporre l'esistenza di una cosa che per comodità chiamaremo DIO che ha deciso di far naufragare i piani dei protagonisti del mio romanzo.

Se siete appena un po' meno mistici ne concluderete che cose del genere POSSONO accadere, ovvero che siamo sul piano della verosimiglianza.

Non è virtualmente possibile, penso, scrivere un buon romanzo senza utilizzare le coincidenze. Certo, se tutto sembra accadere senza una buona ragione e le coincidenze si fanno troppo frequenti la gente comincerà a ridere, come in certi film d'avventura particolarmente sgangherati. Ma anche nella realtà le coincidenze sono una quota non piccola di ciò che può accadervi.

Ricordate sempre le linee di universo: spezzate, contorte, imprevedibili e non pretendete di far discendere rigorosamente sempre Evento3 da Evento2 da Evento 1. Un romanzo o un racconto senza coincidenze, senza "i casi della vita" non è semplicemente vivo e non arriva neppure a essere divertente come può esserlo un romanzo con troppe coincidenze.

Tenete comunque ben presente che per ogni personaggio che inserite avrete la necessità di definire un minimo di linea di universo che lo riguardi.

E non confondete la vicenda personale con il punto di vista. Il punto di vista è quella cosa che trovate magistralmente interpretata da Rijnosuke Akutagawa in Rashomon (da leggere assolutamente]

La vicenda personale (linea di universo di ciascun personaggio) è una premessa al punto di vista, la condizione essenziale. Poche cose possono riuscire altrettanto irritanti quanto una percezione senza un percipiente (percettore? Percettente?) definito o almeno sufficientemente noto.

In Rosaura alle Nove e mezza di M.Denevi abbiamo un esempio magistrale e appassionante dì narrazione interamente basata sul punto di vista (e sull'errore). In Confessioni di un artista di merda P.K.Dick ha cambiato il punto di vista (ovvero la percezione soggettiva della stessa vicenda attuata da un personaggio particolare) in ogni capitolo.

Molto diverso è invece condurre avanti due o anche tre vicende insieme, destinate a incontrarsi a un punto determinato (o anche a non incontrarsi mai). Si parla di romanzo corale, in questi casi.

Tenete presente che anche nei Promessi Sposi vi sono accenni di romanzo corale (pensate alla vicenda dell'innominato o a quella di Fra' Cristoforo), come l'uso di diversi punti di vista.

Piccola nota personale: molti confondono l'intento edificante di Manzoni con il risultato. I promessi sposi è viceversa il primo e vero romanzo moderno in lingua italiana.

Il fatto che Manzoni sia riuscito, nonostante il suo intento moralista, a scrivere un buon romanzo è la riprova che una narrazione vive di vita propria, indipendente dalle intenzioni dell'autore, e che giudicare un romanzo solo in base alle opinioni politiche di chi lo ha scritto è, per quanto in voga in Italia, una pericolosa scemenza.


Non abbiamo affatto esaurito il problema della M, ma quantomeno abbiamo definito alcuni altri capisaldi:


R!CAPITOLIAMO:

1) Parzialità del punto di vista -> utile ERRORE.

2) Personaggio (o personaggio in complicità con l'autore) che percepisce costituisce la vera essenza del testo.

3) Personaggio frutto di un processo indiziario.

4) Lo stile è una finzione obbligata del tema scelta

5) Rapporto essenziale tra causalità e sincronicità.

6) Pluralità di vicende = pluralità di linee di universo, premessa a una pluralità feconda di punti di vista.