27.2.10

Quando smetterà?


Lo so.
Non spetta a me dirlo. Non ho i mezzi, gli strumenti, la preparazione. Tutto, insomma.
Non leggo 4 o 5 quotidiani al giorno.
Sono scarsino in economia e sul piano politico sono un vecchio arnese con un minimo di formazione marxista. Ormai, nonostante il buffo parere di alcuni pensatori contemporanei Marx è passato di moda, di senso, di spessore, di significato.
Giudico lo stato delle cose appesantito da vecchie categorie - il moralismo, il puritanesimo di stampa vagamente luterano, qualche sfrigo di vecchie fissazioni da anarchico e figlio dei fiori - e, in genere, sbaglio clamorosamente a votare finendo sistematicamente negli «altri» sulle tabelle dei voti espressi.
Da giovane ho avuta una breve - e terribile - esperienza con la FGCI. Qualcuno si ricorda cosa significa questa sigla? Probabilmente "federazione giovani comunisti italiani" suppongo. Terribile, dicevo, perché ricordo ancora adesso una riunione nella quale uno - meno giovane della media degli intervenuti - ci spiegava la linea del partito. La "linea del Partito", eh. Mica bruscolini. Osservai che non mi pareva troppo democratico ascoltare un bischero lasciando spazio giusto per qualche commento stuoinamente o entusiasticamente positivo. Mi fu risposto, guardandomi con evidente freddezza e una punta di sospetto degno della 3a Internazionale, che il luogo della discussione non era una riunione della FGCI.
Noi al massimo potevamo dissentire.
In silenzio.
E se insistevamo potevamo anche andarcene.
Cosa che feci quella sera stessa.
Mi rimase una diffidenza e un'antipatia ostinata per il PCI e tutto ciò che in qualche modo aveva a che fare con lui. La CGIL, la Coop, l'Unipol eccetera. Un'antipatia in seguito ereditata dal PDS, dai DS e dal PD.
Da fare felice Berlusconi, apparentemente.
O forse no, dal momento che ciò che mi piaceva poco del PCI era l'inedia del dibattito interno. E in quanto a dibattito interno persino il PD è un'adunata di anarchici fumati in confronto al cimitero del PDL.
...
No, ciò che mi urgeva dire è che bisogna impedire a Berlusconi di parlare.
Farlo tacere, ma senza violenza. Per carità.
Farlo cantare, renderlo un one-man-band.
Offrirgli da mangiare e riempirlo di polenta e camoscio, pappardelle al cinghiale, ragù di lepre, timballo, arrostino al pepe, patatine fritte, sushi, insalata mista, gorgonzola piccante, noci, mandorle, torrone, cannoli, bignè, caffè e grappino.
Lo so, c'è della cacciagione e non si dovrebbe. Ma il berlusca sta a zero come coscienza ecologica.
Lo si potrebbe mandare sott'acqua con un potente respiratore. Un bel giro del Mediterraneo, per dire.
Regalargli un migliaio di cannuccie per produrre bolle di sapone.
Un basso tuba.
Un sax basso.
Un set di scacciapensieri. Dal soprano al baritono.
Insomma, farlo finalmente tacere.
In proposito si accettano idee, proposte, suggerimenti. Chessò, potremmo arrivare a Palazzo Grazioli - o dove accidenti si trova - recando con noi un grissino lungo 22 chilometri, un grosso chewing-gum, una presa di tabacco da mastico grossa come una balla di fieno. E offrirla al Nostro.
No, perché il problema è che sono stanco, disgustato e nauseato delle scemenze che spara tutti i giorni.
Stare qui a misurare i cali di vendite e sentirlo dire che tutto va bene, l'Italia si è salvata dalla crisi, il peggio è passato... beh, non se ne può più.
Davvero.
Non entro nel merito delle sue infinite, interminabili grane giudiziarie.
Mi accontento di un silenzio sul piano economico.
Per quanto...
Ecco, ma voi prendereste sul serio le parole di uno che non è andato dentro giusto per le prescrizioni - che si è prescritto da solo, comunque?
Ma voi credete alle chiacchiere di un megavenditore di megapentole?
Non vi viene voglia di cambiare canale?



17.2.10

Un nuovo/vecchio libro


L'abbiamo pubblicato noi, quindi è normale che qui se ne parli.
Anche se qualcosa di questa antologia qualcuno l'ha già letto.
Infatti in «Foglie multicolori» ci sono nove racconti già pubblicati in Fata Morgana.
Altri nove, invece, sono del tutto inediti. «Del tutto inediti» riguarda sia i racconti che gli autori.
Merita spendere 16,50 euro per nove racconti inediti?
Proviamo a rovesciare il ragionamento.
Merita spendere qualcosa per alcuni racconti già pubblicati?
Secondo me sì.
È una sfumatura sottile ma sensibile.
Nell'impaginare e correggere il testo ho riletto anche i racconti già pubblicati e già impaginati li ho apprezzati meglio della prima volta. Segno che i racconti erano buoni - e questo lo sapevo già - ma non solo. Averli inseriti in un'antologia di racconti nipponici li ha resi in un certo modo più evidenti. Il risultato è un libro che dà una buona idea dello stato attuale della narrativa - e della vita - nel paese del Sol Levante, mooooolto di più di un articolo o di un reportage.
Per citarne alcuni, senza più fare distinzioni tra edito e inedito, posso ricordare il bellissimo e struggente «Il letto di fiori» di Matsumoto Yuko, l'acido, freddo e tagliente «Seppure con rammarico» di Sakuraba Kazuki, il tenero e maliconico «La mano gelida» di Bando Masako, il delicato e disperato «Nè sicuro né adatto per nuotare» di Ekuni Kaori.
Racconti che non è facile dimenticare.

Nota: se questa breve tirata vi ha fatto venire qualche curiosità e desiderio potete scrivere a cs_libri@fastwebnet.it e ordinarne una copia. Ve lo spediremo senza spese postali. O, se abitate a Torino, potete passare in CS, via Ormea 69.

13.2.10

Un lungo ritorno

Un ritorno non so quanto desiderato e atteso, ma comunque un ritorno.
In gennaio vedo che non ho scritto qui neppure una riga.
Ho avuto un bel po' da fare, a chi interessasse saperlo. Lavoro da fare in libreria - non milioni di lettori, comunque, sia chiaro - ma lavoro di contabilità, lavoro nel preparare le rese e nel controllare le giacenze, lavoro per preparare l'antologia poi regolarmente pubblicata a fine gennaio, Foglie multicolori - racconti dal Sol Levante, lavoro per racimolare i soldi che servono per pagare le ricevute bancarie dei signori editori e altro lavoro per tentare di far entrare qualcuno in libreria.
Sono sopravvissuto ma quest'ultimo impegno, quello di fare venire qualcuno in libreria, non posso esattamente dire sia andato bene. Il gennaio 2009 è stato un pianto, ma il gennaio 2010 è stato persino peggio.
Perché?
Beh, posso avanzare mille e mille ipotesi ma, in definitiva, penso che basti il titolo in prima pagina del giornale di oggi: «Italia: crolla il PIL, mai così male da 40 anni». Bòn. Qualcosa da aggiungere?
Certo, gli ultimi due mesi del 2009 avevano creato qualche illusione, ma si trattava, per l'appunto, di illusione, ovvero, secondo il dizionario di italiano di « speranza infondata ».
Ci sono alcuni elementi, però, che inducono a ulteriori riflessioni e a qualche considerazione, probabilmente vana ma non necessariamente inutile.
I lettori.
In Italia sono pochi, ormai lo sappiamo o dovremmo saperlo tutti. Gli italiani che leggono un libro al mese sono più o meno tre milioni. In maggioranza - 60% contro il 40% - donne. Altri 20 milioni leggono di meno, in media 3 o 4 libri all'anno. Il totale dei lettori arriva intorno al 40% della popolazione. Il 60% - più o meno 36 milioni - non legge. Nè tanto né poco. Non compra al supermercato né in libreria. Un popolo grigio di milioni di persone che non ama i libri, anzi, ne è probabilmente spaventato o irritato.
Colpa di chi?
Si possono fare tutte le ipotesi possibili – l'azione nefanda di scuola e insegnanti , la mancanza di tempo, la scarsa familiarità con la lingua, le difficoltà della vista, la stanchezza dopo una giornata di lavoro, l'interesse per altri passatempi eccetera, ma il dato non cambia da una ventina d'anni a questa parte.
Anzi.
Alla fine degli anni '80 i lettori erano arrivati faticosamente a un 42% della popolazione italiana. Da stappare una bottiglia.
Ci si aspettava che col tempo i lettori sarebbero inesorabilmente cresciuti. Ricordo gli studi pubblicati all'epoca sulle pubblicazioni specializzate: «I bambini sono forti lettori, gli anziani deboli lettori se non semianalfabeti, quindi, fatalmente, se i bambini continueranno a leggere è fatale che i lettori aumentino...»
Non è successo.
I lettori (di libri non scolastici) tra i bambini sono addirittura diminuiti.
Tutti presi da internet?
Mapperpiacere.
Chi usa abitualmente internet lo ha aggiunto alle proprie fonti di informazione e conoscenza senza affatto disprezzare il libro.
Ma forse internet ha creato il desiderio di leggere gratis… E mancano i dati sui libri letti o scaricati da internet.
Possibile. Magari un'altra volta ci ritorno su.
Ma la sensazione è un'altra. Un dubbio che è diventato una modesta fissazione.
La qualità dei libri presentati al pubblico - mi rendo conto del paradosso che enuncio ma lo dico lo stesso - è ahimé diminuita.
Cerco di spiegare. Essendo, come mia abitudine, estremamente materiale. Anche se, possibilmente, dialettico.
Negli ultimi vent'anni sono letteralmente scomparsi, sostituiti da replicanti - semplici marchi senza sostanza propria - centinaia di editori. Non piccoli, intendiamoci. Garzanti, Nord, Giano, Guanda - solo per citarne alcuni - non sono più editori in proprio ma semplici ectoplasmi, scritte colorate sulla copertina. L'ultimo a cadere è stato Bollati Boringhieri, divenuto un feudo dell'impero Spagnol (leggi Longanesi - Messaggerie) e destinato a veder impallidire e scomparire uno dei maggiori cataloghi di saggistica italiano. Ne parlo con un minimo di conoscenza di causa dal momento che l'ex-responsabile commerciale dell'editore è mio amico personale e si è trovato, come si dice, buttato in mezzo a una strada da un momento all'altro.
La scomparsa di tanti editori mi preoccupa per un motivo fondamentale. Un biologo evoluzionista direbbe che la biodioversità è nettamente diminuita. E quando la biodiversità - nel nostro caso la bibliodiversità - diminuisce tira una gran brutta aria.
«Non ha senso stampare libri a tiratura medio-bassa o libri che vendono meno di cento copie all'anno», dicono i nuovi proprietari. A occhio un'osservazione ragionevole, se non fosse che di molti titoli se ne vendono effettivamente un centinaio di copie o giù di lì all'anno. Essere un editore di cultura - e non un grossista di tonno in scatola a basso prezzo - vuol dire anche tenere a catalogo titoli a bassa rotazione che hanno un elevato valore culturale.
E prima ancora un elevato valore umano.
I soldi possono definire molte cose, lo sappiamo, ma esiste un'area intangibile ai calcoli di borsellino.
O forse è giusto dire che esisteva.
Sembra un discorso che ha poco a che vedere con le premesse, ma non è così.
Oggi un cliente si lamentava che già i libri dopo un anno o due non sono più recuperabili.
Esauriti. Dimenticati.
Non parlava di capolavori assoluti, sia chiaro, ma comunque di buoni libri. Di libri intelligenti e gradevoli. Di libri che avrebbero probabilmente meritato una ristampa. Ma... il metodo originale del longanesi-sistema (poi copiato dagli altri editori) è questo: si stampano le copie pre-ordinate da librerie, librerie di catena e supermercati - senza sostanzialmente stamparne per eventuali riordini. Nel caso il libro si muova si procede con una rapidissima ristampa e così via.
Parrebbe un buon sistema.
Parrebbe, ma...
Difetti?
Beh, essenzialmente due:
1) la libreria che ha sottostimato le vendite possibili rimarrà presto senza il titolo. È ovvio che la piccola libreria, più oculata negli acquisti - o più povera, eddiciamolo via- sarà automaticamente espulsa dal mercato.
2) non rimangono copie disponibili per ulteriori, ritardate richieste.
Certo il libro può poi passare in collana economica, ma con le medesime regole.
Tempo totale di sopravvivenza del libro: 2 anni.
Q.E.D.
Applicando questo metodo alla saggistica che cosa se ne ha?
Brrrrrr....
Un libro su due non uscirà perché potenzialmente a tiratura troppo bassa. Il secondo verrà ristampato ma dovrà per forza trattarsi di qualcosa di specialissimo - o magari di adottato universitario - per giungere a occupare un posto definitivo nel catalogo.
Con questo genere di visione dell'editoria sembra così strano che una parte crescente dei libri che escono siano puro e semplice pattume? Pattume veloce e ben presentato, che si vende rapidamente e buonanotte. Più o meno come i venditori di miracolosi balsami universali che battevano le campagne nel XVI-XIX secolo.
È strano che i forti lettori siano stanchi, stufi, confusi e nauseati?
Io stesso sono qui che in certi giorni mi chiedo: «Ma non c'è proprio nulla di decente da leggere?»
Come posso chiedere ai lettori che entrano in libreria di sbavare a comando per «La bambina che non suonava la campanella» - seguito de «La bambina che talvolta suonava la campanella» - o «L'uomo che alle volte non ci sentiva» o «La donna che viaggiava sul sedile posteriore».
Eccitarsi per «Oh, prendimi dolce vampiro» o scodinzolare per «La compagnia della mezza montagna» scritto dalla dodicenne Ilaria di Saronno o ancora commuoversi per «La ragazza che odia gli uomini che disprezzano quelli che non odiano le ragazze» di Gundardan Allepallesson.
Trovare un buon libro dietro questo parete di nulla è diventato molto faticoso.
Non accetto domande per il futuro, in ogni caso.
Diciamo che se fossi in voi e se non facessi il mio lavoro mi dedicherei esclusivamente alla produzione della crescente galassia dei piccoli, sfigati editori. Esiste statisticamente la possibilità che un capolavoro possa uscire da lì piuttosto che dalle file normalizzate e normalizzanti dei grandi editori.
E non è poi detto che non lo faccia.