26.9.09

La Brunetta e Papageno


Tutti l'abbiamo sentito.
Difficile non sentirlo, sia per i mezzi che l'hanno diffuso che per il volume e i toni utilizzati.
Ancora più difficile non scrollare il capo e deprecare. O incazzarsi come lupi, sia pure con un sottofondo di iraconda e disperata malinconia. Difficile, infine, sottrarsi alla sensazione di aver ascoltato i vaneggiamenti di un Goebbels in sedicesimo alla corte del Demente che governa questo sfigatissimo paese.
Parlo di Brunetta ovviamente e del suo discorso a base di cazzo e merda che gli italoforzuti a congresso hanno coperto di applausi. Brunetta è un ometto - in senso proprio, fisico e morale - di quelli che a sentirsi applauditi perdono quel filo di ragione che episodicamente li sostiene.
«Quelli di sinistra che non hanno mai lavorato!»
Applausi.
«Che sono dei parassiti con la puzza sotto il naso!»
Applausi.
«Che vadano tutti a fare in culo, bastardi, farabutti, coglioni…»
APPLAUSONI, APPLAUSONI…
Probabilmente più di Brunetta bisognerebbe mandare a dissodar le zolle un tale pubblico, ma non è questo il problema. Il problema più grossso - e interessante - è il tema così malamente affrontato dal Nostro.
Brunetta da giovane era di sinistra. Curioso ma possibile. In fondo era di sinistra anche Giuliano Ferrara. O l'ex-direttore del TG di Italia 1, Paolo Liguori. Non era troppo simpatico nemmeno allora, si mormora. Un po' sottovalutato, un po' disprezzato, riesce comunque a diventare il pupillo di De Michelis (quello a suo tempo condannato per corruzione) e inizia una carriera universitaria dove non combinerà molto in fatto di pubblicazioni ma si darà da fare per arrivare a diventare un ordinario. Lui sostiene di aver scelto la carriera politica rinunciando a un possibile nobel per l'economia. Pensando che il Nobel per l'economia l'hanno a suo tempo ottenuto Milton Friedman, Joseph Stiglitz, Paul Samuelson e Franco Modigliani qualche dubbio è inevitabile.
Ma nonostante questo Brunetta è insoddisfatto e infelice.
Si sente spregiato e snobbato da «quelli di sinistra».
Reagisce brutalmente, irosamente, velenosamente. Li accusa di non fare un tubo dal mattino alla sera e di campare felicemente alle spalle del popolo italiano. Popolo italiano che, detto per inciso, è fatto sempre di più da vecchi più o meno rimbambiti che diffidano di tutto e tutti e che, accampati sulla panchina, sono ben felici di sbavare male parole su tutti.
E Brunetta gesticola e urla davanti alle panchine ottenendo l'assenso e persino l'entusiasmo da un pubblico di suonati e rincoglioniti o di apprendisti tali. La sorte che gli aveva assegnato il destino, in fondo, se non fosse che il Demente gli ha garantito un pubblico ben più vasto, scatenando e sparando tra le galassie il cupo e tumultuoso IO brunettiano.
Se, putacaso, io affermo (pacatamente, gentilmente) che alcuni dei cosiddetti "intellettuali" di sinistra sono né più né meno figli di papà, che talvolta formano un gruppo chiuso ed esclusivo, che diffidano o snobbano chi non è del loro giro e che acchiappano (acchiappavano, ormai) tutti i possibili finanziamenti per presentare opere opinabili o opinabilissime, dichiaro qualcosa che chiunque può verificare personalmente e con minima spesa. Basterà ricordare - è soltanto un esempio a caso, ovviamente - «Il Flauto magico» curato da Baricco. Ognuno può pensarne ciò che desidera, ovviamente, ma personalmente penso si sia trattato di un cazzata esorbitante, più o meno come l'Iliade (mal)riscritta dal medesimo soggetto.
Con tutto ciò, io non mi sogno di arringare il popolo invitandolo a ribellarsi contro i cacicchi di sinistra. Non vomito sciocchezze, mosso da un rancore adolescenziale contro i compagnucci di classe "di sinistra". Non invidio e non disprezzo, forse perché non mi hanno fatto ministro.
O forse perché non sono mai stato il pupillo di De Michelis.
Se bastasse, sarebbe bello che chi ha a suo tempo umiliato e trattato come uno Smerdjakov il povero Brunetta corresse a riparare il danno combinato, invitandolo a cena e prestandogli la moto.
Ma è troppo tardi, ormai.
Inutile invitare Goebbels a cena.
Non resta che attendere l'inevitabile caduta, sperando sia soltanto sua e non di tutti noi.